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Carlo Alberto, sovrano riformatore da riscoprire oltre la retorica. L’opera di Niccolò Rodolico

La letteratura su Carlo Alberto, re di Sardegna per “grazia divina” e potere degli eventi, non è mai stata particolarmente copiosa, né equanime quando non pregiudizialmente irrispettosa. Un “Amleto” venne definito in vita e tale qualifica gli è rimasta con il passare del tempo, dimenticando che – a prescindere da come si è compiuto il processo di unificazione nazionale – a lui si deve la prima intuizione della necessità di raccogliere l’Italia “dalle molte genti” in uno Stato unitario. E se la sua formazione fu essenzialmente conservatrice e legittimista, gli eventi e l’irruzione nella sua giovane vita delle idee francesi imperversanti all’epoca in cui fu costretto a vivere a Parigi ne modificarono gli atteggiamenti politici fino ad accettare un certo i modernismo che avrebbe caratterizzato la vicenda storica a cui diede l’avvio.

rodolicoUna personalità complessa, non esente da un certo fascino quella di Carlo Alberto raccontata nei celebri tre corposi volumi di Niccolò Rodolico tra il 1931 ed il 1943 la cui “sintesi” è un prezioso libretto appena riedito da Aragno, Carlo Alberto (pp.163, €15,00), impreziosito da una prefazione di Francesco Perfetti, nel quale il grande storico propone, nelle linee essenziali, il profilo di un autentico statista qual è stato il sovrano piemontese, con le sue cadute, ma anche con le sue indiscutibili qualità di preveggente politico, incurante di se stesso, ma preso da un ardore quasi mistico (complice la sua formazione religiosa) nel preparare le condizioni che avrebbero portato alla creazione dello Stato unitario. Un obiettivo, come sostiene Rodolico, che vedeva realizzabile con l’ausilio del papato e del casato borbonico nella persona di Ferdinando II contro l’Austria che aveva tutto l’interesse a tenere sotto il suo giogo il Lombardo-Veneto per la liberazione del quale Carlo Alberto offrì tutta la sua opera di regnante e lungimirante politico imbarcandosi in guerre vittoriose ed altre disastrose fino alla disfatta di Novara dopo la quale prese la via dell’esilio ad Oporto, in Portogallo, designando suo figlio Vittorio Emanuele II quale legittimo successore.

Carlo Alberto Emanuele Vittorio Maria Clemente Saverio di Savoia-Carignano fu re di Sardegna dal 27 aprile 1831 al 23 marzo 1849. Morì a 51 anni il 28 luglio di quello stesso anno tormentato, segnato da illusioni e dolori che ne minarono la già fragile costituzione.

Come ricordato – e Rodolico vi si sofferma con accenti di particolare coinvolgimento emotivo – durante il periodo napoleonico visse in Francia, grazie a un vitalizio dell’Imperatore che lo gratificò altresì di titoli nobiliari e lo volle nel suo esercito, ma venne anche suggestionato dalle idee liberali senza tuttavia approdare al giacobinismo lontano dalla sua natura, il che tuttavia non mancò di alimentare la leggenda di un “principe sovversivo” vicino ai congiurati del 1821 che volevano imporre la costituzione a Vittorio Emanuele I il quale detestava il congiunto che mai avrebbe immaginato di prenderne il posto se taluni eventi dinastici non l’avessero favorito.

Assecondando le sue idee e non dimentico della prima educazione ricevuta, Carlo Alberto da conservatore qual era nell’animo partecipò alla spedizione legittimista contro i liberali spagnoli del 1823 e alla morte dello zio Carlo Felice, privo di eredi diretti, divenne re dello Stato sabaudo nel 1831.

Dopo aver fornito l’appoggio ai vari movimenti legittimisti europei, nel 1848 aderì alle idee ispirate a un federalismo ancora confuso e sostenuto dalla Chiesa in funzione antiasburgica: una prospettiva neo-guelfa, insomma, sostenuta anche da Gioberti, che non ebbe un grande successo. Nello stesso anno concesse lo Statuto Albertino, la carta costituzionale che rimarrà in vigore fino al 1947.

Guidò le forze che portarono alla prima guerra d’indipendenza contro l’Austria, ma, come si è detto, abbandonato da Papa Pio IX e da Ferdinando II di Borbone, nel 1849 dopo molti successi militari e talune sconfitte che comunque non ne piegarono la volontà, dopo la disfatta di Novara fu costretto a prendere atto della supremazia militare di Radetzky e mise fine alla sua parabola di sovrano che aveva acceso speranze negli intellettuali più illuminati del tempo, ma anche diffidenze da parte di altri come Carlo Cattaneo la cui impazienza federalista contribuì a pregiudicare l’esito di quella poteva essere la vittoria decisiva: la presa di Milano dove Carlo Alberto non soltanto fu sconfitto dagli austriaci, ma dall’indifferenza, prossima all’ostilità,  dei milanesi che non compresero il suo disegno e si dimostrarono palesemente avversi  a chi non nutriva altre ambizioni se non di ricongiungere la Lombardia al Piemonte ed al regno di Sardegna tutto, ponendo le basi di una unificazione che soltanto dieci anni dopo cominciò a prender forma.

Rodolico con il suo aureo libretto dà il senso di una battaglia condotta con abnegazione e generosità mostrando come l’ambizione di Carlo Alberto di liberare l’Italia settentrionale dall’Austria non aveva retro-pensieri dinastici, ma rispondeva alla convinzione maturata nella visione di un’Italia ed culturalmente ed identitariamente viva che aveva la necessità di costituirsi come Stato nazionale contrastando in primo luogo la rappresentazione che di essa era venuta fuori dal Congresso di Vienna.

Ma Rodolico dà anche conto dello spirito riformatore che animò l’azione di Carlo Alberto. Molte e all’avanguardia furono le opere che in diciassette anni di regno egli realizzò. Lo storico le enumera con dovizia di particolari e meticolosità quasi certosina rendendo giustizia ad un sovrano capace di guardare lontano, in linea, va ricordato, con quanto pensavano i suoi avi nel lungo periodo storico che andava dall’apparizione sulla scena europea dei Savoia a questo re voluto dal destino, ma osteggiato dalla sua stessa famiglia. Ereditò una struttura statale vacillante e, fedele alla lezione di Amedeo VIII ed Emanuele Filiberto, lo rimise in ordine. Fu un ricostruttore delle strutture morali e materiali del regno a cui affiancò riforme destinate a durare nel tempo. Ricorda Rodolico: “I provvedimenti amministrativi e finanziari subito adottati con efficacia di effetti ebbero la loro integrazione nella istituzione del Consiglio di Stato con l’editto del 18 agosto 1831. Quel Consiglio, sia pur modificato, continua ad esercitare l’alta funzione nella vita dello Stato italiano: segno indubbio della saggezza del fondatore e della opportunità della istituzione”.

L’impianto del Consiglio non poteva che essere napoleonico, comune a molte altre “costruzioni” giuridico-politiche dell’epoca, dai Codici alle Scuole di alta istruzione quale fu la Normale di Pisa. Ed il linea con l’ispirazione costituzionale francese, furono anche altre riforme di Carlo Alberto riede al suo regno la cui vastità non andava sottovalutata, estendendosi dal Piemonte alla Liguria alla Sardegna e potendo egli stesso vantare molti e prestigiosi titoli alcuni derivati dal Casato ed altri di nuovo conio. La riforma della giurisdizione feudale, per esempio, portò la fine di curie baronali, la soppressione di tributi e eccezione, limitò i privilegi nelle amministrazioni e le immunità tributarie, avviò una vasta opera di modernizzazione delle strutture civili del regno e s’ingegnò nella distribuzione equa della proprietà terriera anche se le riforme in questo ambito non riuscirono come lui le desiderava. Scrive Rodolico: “La terra ha bisogno, sì, di libertà, e questa era stata concessa, ha bisogno di braccia di lavoro, di volontà e di amore dei coltivatori, né questo mancava, ma la terra ha bisogno altresì di capitali, in particolare modo in un momento di trasformazione dell’economia agraria; ma la Sardegna era povera di capitali; né lo Stato era in condizione di venirle interamente in aiuto”. Un problema che avrebbe afflitto anche il conte di Cavour, non solo come primo ministro, ma anche come responsabile dell’Agricoltura, dicastero al quale mai volle rinunciare.

Bonifiche ed ordinamento giudiziario, industrializzazione dell’agricoltura e varo dei nuovi Codici civile e penale si aggiunsero ad un vasto piano di ammodernamento dello Stato. Tanto che poi poté dedicarsi al piano più vasto cui ci siamo riferirti.

“Un ritratto suggestivo” di Carlo Alberto, lo definisce Francesco Perfetti per il quale l’autore non lo vede soltanto “attraverso la ricostruzione della sua biografia umana e politica, ma anche attraverso l’analisi del contributo da lui dato alla trasformazione economica, amministrativa e legislativa dello Stato sabaudo e, soprattutto, attraverso il tentativo che egli portò avanti di ricomporre o consolidare l’unità morale del paese assecondando lo sviluppo della borghesia”.

Ce n’è abbastanza per riprendere tra le mani libri andati, che non si usano più, per riconoscere una figura come quella di Carlo Alberto quale riformatore consapevole e sovrano alieno dalle lusinghe del potere che non esitò a lasciare nel momento in cui ritenne più opportuno per favorire il successo di un grande progetto che il destino non gli fece vedere realizzato.

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