A Roma bisogna sempre andare ai funerali. Perché dicono molto della città, della Capitale e, quindi, della nazione. Raramente si è visto un concentrato di potere e di personaggi illustri come alle esequie di Carlo Vanzina, scomparso lo scorso 8 luglio, nella sua città: Roma. Ma quello che si è detto, letto e scritto sul regista nelle ultime ore ne consacrano la rivincita sociale, artistica, culturale, politica. Con i suoi Yuppies, Sapore di Mare, Vacanza di Natale, Eccezziunale veramente… va ricordato che Vanzina per anni, a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta, quasi non veniva considerato dalla critica cinematografica. Per alcuni non era neanche un regista. Le élite culturali di sinistra lo schifavano, voltandosi dall’altra parte.
La sua morte gli restituisce quello che in molti, per anni, non gli hanno riconosciuto: essere stato un regista, importante, nell’Italia degli ultimi trent’anni. Basti leggere anche solo qualche riga di quello che negli ultimi giorni ha scritto il Manifesto. “Vanzina regista lo è stato per davvero. Sapeva sempre come inquadrare un attore, come creargli intorno lo spazio per la circolazione delle battute. Sapeva filmare l’alchimia comica tra gli interpreti e, soprattutto, sapeva dissimulare la sua malinconia gentile che in fondo era difficile immaginare dietro un carattere non facile, pungente. E soprattutto aveva una straordinaria dimestichezza con le forme del tempo”, ha scritto Giona A. Nazzaro. “È stato il giusto e l’unico regista in grado di proseguire una grande tradizione di cinema italiano che aveva appreso dal padre Steno, ma anche da Mario Monicelli e Dino Risi”, ha scritto poi Marco Giusti. Che conclude così il suo articolo: “Elegante, divertente, sempre gentile e disponibile, Vanzina ha percorso il nostro cinema con uno sguardo ironico, allegro, consapevole dei vizi, dei difetti e delle qualità di chi aveva attorno. Come se avesse saputo fin dall’inizio come sarebbero andate le cose e cosa avrebbe potuto produrre, nel bene e nel male, il nostro cinema. Altro che grande bellezza”. Insomma, assolutamente sdoganato a sinistra.
Alla Chiesa di Santa Maria degli Angeli, alle esequie, c’erano Silvio Berlusconi (qui tutte le foto di Umberto Pizzi) e Paolo Sorrentino, Pier Ferdinando Casini e Maurizio Gasparri, Aurelio De Laurentiis e Gianni Letta, Paolo Mieli e Luigi Bisignani, Luca di Montezemolo e Giovanni Malagò, Franco Carraro e Francesco Rutelli (con Palombelli), Ferdinando Brachetti Peretti e Massimo Ferrero, Marisela Federici e Stefano Parisi, Fabrizio Del Noce e Roberto Zaccaria, Andrea Ruggieri (con Anna Falchi) e Giancarlo Leone (qui tutte le foto di Pizzi del funerale). Solo per citarne alcuni e tralasciando tutto il coté del cinema e dello spettacolo. Politica, economia, cultura. Pubblico e privato. Potere vecchio e nuovo. Tutto quel mondo che spesso Roma sa mettere in mostra, come una tavola ben imbandita, su una terrazza con vista sulle cupole all’ora dell’aperitivo. Quella mescolanza di generi (il “generone”, come lo chiama Roberto D’Agostino) che nella Capitale mescola destra, sinistra e centro, laici e cattolici, preti e industriali, maggioranza e opposizione, poteri forti e deboli. Nuovi personaggi in ascesa e nomi che sembrano eterni, come la città.
Tutto questo mondo ha reso omaggio al regista che ha saputo interpretare con i suoi film – quelli più riusciti e quelli oggettivamente brutti – i vizi e le virtù della società italiana. Con quella leggerezza che prima molti gli rimproveravano, e usavano come arma per definirlo “socialmente disimpegnato”. E che ora gli riconoscono come una dote, non solo cinematografica. Quel mondo si è ritrovato attorno a Carlo Vanzina anche forse per reazione al nuovismo imperante. Di Lega e M5S, infatti, a parte l’assessore alla Cultura del Campidoglio Luca Bergamo (presenza quasi dovuta), non c’era nessuno. Tutti rappresentavano più o meno il recente (e recentissimo) passato. Ma non il presente politico, dove a dominare sono Matteo Salvini e Luigi Di Maio, e le loro truppe barricadere e sovraniste. Quasi uno stringersi intorno a qualcosa che non c’è più o è fortemente in pericolo. Per quanto il potere vero possa essere disarcionato in Italia dove, per dirla come Leo Longanesi, “fare la rivoluzione è impossibile perché ci conosciamo tutti”.