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Pompeo a Pyongyang: Trump non vuol farsi fregare da Kim

trump pompeo

Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, è in Corea del Nord: un viaggio già anticipato (ma mancava la data) per incontrare il leader nordcoreano, Kim Jong Un, e altri alti funzionari del regime. La sua missione: chiarire i dettagli di una dichiarazione congiunta vagamente formulata che Kim ha firmato il mese scorso quando ha incontrato il presidente americano Donald Trump a Singapore.

Da quel documento – celebrato da Trump cont toni trionfanti ma trattato da Pompeo e altre branche dell’amministrazione con le giuste misure – gli Stati Uniti hanno promesso garanzie di sicurezza alla Corea del Nord, come lo stop alle esercitazione congiunte con la Corea del Sud, mentre Pyongyang si è impegnata a “lavorare per una completa denuclearizzazione della penisola coreana”.

Ci sono tuttavia dubbi su quanto Pyongyang sia serio nel farlo, nonostante abbia inviato segnali (come l’abbattimento di parti del sito di Punggye-ri, che però era considerato già inutilizzabile, visto che era stato usato per tutti gli ultimi test atomici). La scorsa settimana, poi, alcuni funzionari dell’Intelligence Community americana hanno parlato con la Cnn e raccontato che, stando alle loro informazioni, i nordcoreani stanno spingendo sull’arricchimento dell’uranio nonostante i contatti intrapresi con Trump e le vaghe promesse. In più, sempre in quei giorni, si sono state diffuse nuove immagini satellitari che dimostrano il contrario degli impegni assicurati da Kim, ossia si vedono lavori di espansione in alcuni siti nucleari.

Lunedì, durante il briefing giornaliero con i giornalisti, il segretario stampa della Casa Bianca, Sarah Sanders, ha ricevuto una raffica di domande su questi report. “Non abbiamo intenzione di confermare o negare alcun rapporto dell’intelligence”, ha risposto Sanders: “Quello che posso dirvi è che stiamo continuando a fare progressi”.

“Pompeo sta andando a Pyongyang con un compito molto difficile”, ha detto sulla National Public Radio americana Abraham Denmark, direttore del programma Asia al Wilson Centre e un tempo quadro del Pentagono. “Kim Jong Un non ha assunto nuovi impegni a Singapore, quindi il segretario di stato è ora costretto a entrare a Pyongyang cercando di assicurarsi qualcosa che il presidente non è stato in grado di raggiungere”, dice Denmark, che poi ricorda il punto centrale: “La vera domanda però è se Kim Jong Un sia sinceramente interessato alla denuclearizzazione”.

Domenica scorsa, mentre Trump diceva alla a Fox News di aver fatto un patto con lui, “gli ho stretto la mano”, per questo il presidente crede “davvero che [Kim] intenda rispettarlo”, il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Bolton, intervistato invece dalla CBS, insisteva che l’amministrazione Trump non nutre illusioni sulla Corea del Nord. Pompeo a Pyongyang è esattamente il distillato di questo doppio approccio: il segretario di Stato, fino a pochi mesi fa direttore della Cia e che è già la terza volta che tiene incontri di alto livello con i notabili della satrapia, ha il compito di essere severo, pur mantenendo la linea diplomatica e lasciando aperte le porte del dialogo.

Il momento è delicato: infatti se le informazioni diffuse dall’intelligence americana sulla produzione di uranio sono vere, significa che di fatto ancora Kim non ha accettato di bloccare il suo programma nucleare, perché il continuo arricchimento è una necessità per mantenere attivo l’arsenale atomico.

Ci troviamo davanti a “una situazione potenziale in cui gli Stati Uniti pensano che [Kim] stia entrando in negoziati per la denuclearizzazione, mentre la Corea del Nord sta cercando di avviare negoziati per il controllo degli armamenti”, ha notato Denmark; siamo in una fase “in cui il loro programma nucleare e il loro programma missilistico sono limitati, ma ancora in grado di colpire, e fino ad un certo punto sono riconosciuti dagli Stati Uniti, dalla comunità internazionale”.

L’analista tocca in modo tangente anche la principale delle critiche ricevute da Trump sull’incontro: l’aver elevato a interlocutore internazionale il satrapo che guida una dittatura oscurantista e chiusa, che ha costruito in violazione dei precetti Onu l’arma atomica.

Durante un’audizione al Senato della scorsa settimana, il segretario Pompeo ha insistito che la Corea del Nord capisce molto bene cosa intendano gli Stati Uniti quando parlano di completa denuclearizzazione: “Se la Corea del Nord non si impegnasse in un processo di denuclearizzazione completo, verificabile e irreversibile”, ha chiesto a Pompeo il repubblicano del Montana Steve Daines (ripetendo tre aggettivi sul denuke usati dallo stesso Pompeo durante una visita a Pechino due giorni dopo del vertice di Singapore), “vorreste impegnarvi ad allontanarti dal tavolo dei negoziati?”. “Sì,” ha risposto Pompeo, “il presidente lo ha chiarito molto chiaramente.”

Però in tweet di tre giorni fa Trump ha affermato che tutto sta andando bene con Pyongyang. “Se non fosse per me”, ha detto “saremmo già in guerra con la Corea del Nord!”.



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