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Nuovo referendum sulla Brexit? Conseguenze e rischi

Brexit may referendum regno unito

Sono giorni che in Gran Bretagna tira un’aria piuttosto pesante, nonostante si sia alla vigilia della pausa estiva. E sono giorni che la campagna per un secondo referendum sulla Brexit, di cui si era iniziato a parlare mesi fa, è tornata al centro dell’agone politico. Tanto che adesso anche la stampa inizia a schierarsi in favore con in testa The Independent.

L’idea nasce sicuramente da un approccio di Theresa May che non ha messo d’accordo tutti. È, infatti, grossa la fetta della politica inglese convinta che il parlamento sia nel caos. L’impasse, secondo la stampa inglese, lascia pensare che si arriverà ad una Brexit quasi “accidentale”. In realtà le cose non stanno esattamente così, e gli inglesi lo sanno bene. D’altra parte la proposta per un secondo referendum, sia esso da intendersi come un annullamento del primo o come un interpellare i cittadini sul come lasciare l’Ue, non è una richiesta che arriva direttamente dagli elettori, ma dalla classe politica e dal mondo dell’attivismo.

Un secondo referendum, dicono, non è un gesto antidemocratico, ma un tentativo di ristabilire l’ordine in una nazione che sicuramente in parlamento risulta divisa. Dopo la pausa estiva le divisioni potrebbero risultare acuite, e qualcuno già pronostica nuove dimissioni in casa Tory. Ma tutto ciò, ad oggi, è impossibile da prevedere.

I Brexiteers dal canto loro tengono duro e non hanno intenzione di fare alcun passo indietro. Lo sguardo fisso sulla Brexit è l’unica cosa che conta da qui al divorzio e sono sempre di più a sostenere il famoso “un non accordo è meglio di un cattivo accordo”. La possibilità di salutare Bruxelles senza un accordo, idea che si manifesta sempre più plausibile proprio in queste ore, non sarebbe un tradire la volontà popolare espressa, piuttosto chiaramente, nel referendum del 2016.

Nel frattempo, a soffiare sotto il fuoco dell’idea di tornare alle urne, c’è anche una polemica, in parte alimentata dai  labouristi – sebbene Corbyn non sia mai stato uno strenuo sostenitore del Remain -, che non è mai  stata superata:  David Cameron in occasione del referendum inviò un volantino del governo ad ogni famiglia raccomandando il voto per restare in Europa e la cosa è costata ai contribuenti circa £ 9 milioni.

Detto ciò un nuovo voto potrebbe includere tre scelte: lasciare l’Ue; rimanere in un’Europa riformata o sostenere la ‘Brexit morbida’ proposta dalla May. L’idea solletica non poco, e da tempo, l’ex leader laburista, Tony Blair che non è mai scomparso dall’orizzonte politico e che non fa che condannare il “disordine cronico” del governo.

Ma nel frattempo May conduce il suo gioco e non sembra troppo turbata dalle polemiche tutt’intorno. Solo ieri ha annunciato che da ora in avanti sarà lei stessa a dirigere i negoziati con l’Ue e non più il neo ministro Dominic Raab. Il primo ministro è preoccupato per le recenti evoluzioni delle trattative con Bruxelles e ha deciso per una soluzione drastica: limiterà il potere del segretario di Stato per la Brexit, che farà le sue veci quando sarà opportuno.

“È essenziale che il governo si organizzi nel modo più efficace per permettere al Regno Unito di uscire dall’Unione europea”, ha scritto la May direttamente in una lettera indirizzata al parlamento britannico. Si tratta di una scelta concordata con Raab, ma che si presta a doppie interpretazioni. C’è chi vi vede una decisione assunta per rimediare alla spaccatura con i Brexiters, e chi scorge solo un segnale del caos imperante.

Jenny Chapman, ministro ombra della Brexit, ha dichiarato: “Dominic Raab è stato messo da parte dal primo ministro prima ancora che abbia avuto la possibilità di rimettersi in piedi”. Eppure si tratta dell’unica dichiarazione arrivata dall’opposizione che è silente da un bel po’. Primo fra tutti Corbyn. I labouristi sono infatti alle prese con l’ennesimo scandalo sull’antisemitismo nel partito. Margaret Hodge è stata minacciata di azioni disciplinari per aver definito il leader labourista “un antisemita e un razzista”.

Nel frattempo, proprio in queste ore, si è inserito nello scenario già intricato, anche il vice primo ministro irlandese Simon Coveney, che, al programma Today della BBC, ha detto che il parlamento britannico non può legare le mani di Theresa May nei negoziati sulla Brexit. E allo stesso tempo ha bocciato l’idea del no deal .

E poi, “se la Gran Bretagna chiede più tempo e se ciò è necessario per ottenere un accordo ragionevole, lo appoggeremo. Certo che lo faremmo”. Ma adesso, all’orizzonte, c’è solo la pausa estiva: resta da vedere con che spirito i parlamentari torneranno alla Camera dei Comuni.

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