Domenica scorsa, su quello che era il sacro suolo di Pontida, Matteo Salvini, (in foto con un rosario in mano), è tornato ad agitare il rosario come accompagnamento al solenne giuramento per la libertà dei popoli di “quest’Europa”. Guardando il rosario, il ministro dell’Interno ha detto di portarlo “nel cuore perché mi è stato donato da un parroco e confezionato da una donna che combatte in strada”. Più scalpore, forse perché era una novità, l’aveva fatto il giuramento di essere fedele al suo popolo, sul Vangelo (e con rosario in mano) del 24 febbraio scorso.
I CONTATTI CON L’ALA INTRANSIGENTE
Si è scritto molto nei mesi scorsi di un canale cercato dal leader leghista all’interno delle gerarchie ecclesiastiche, soprattutto in quelle frange che guidano – chi più, chi meno – l’opposizione all’agenda pastorale di Papa Francesco. Si è detto di un contatto con il cardinale conservatore americano Raymond Leo Burke, propiziato dai buoni uffici di Steve Bannon. Un’inedita alleanza fra il trono e l’altare, quindi, dove alle aperture e all’idea della chiesa in uscita si contrappone la chiusura a protezione del “popolo”. La Conferenza episcopale italiana, già prima del voto dello scorso 4 marzo, aveva fatto comprendere che la linea da perseguire non era certo questa, sottolineando l’esigenza di procedere a un’opera di “rammendo” del tessuto sociale italiano, come detto dal cardinale presidente Gualtiero Bassetti.
LA LINEA BASSETTI
Parole che lo stesso porporato ha ripetuto più volte, auspicando che la politica lavori per il bene comune (leggasi il discorso del papa a Cesena dello scorso ottobre) e favorisca un dialogo concreto tra le parti politiche – anche quelle avverse – per il raggiungimento di obiettivi concreti, soprattutto per quanto riguarda la povertà e la disoccupazione. Se a ciò si aggiunge poi quanto il papa ha detto a proposito dei “populisti che creano psicosi” è facile comprendere come i due binari siano destinati a non incrociarsi mai. E però l’interventismo leghista (o, meglio ancora, populista o nazionalpopulista) è tema all’ordine del giorno. Al punto che spesso l’opposizione più rumorosa alle linee-guida dell’attivismo salviniano arriva da esponenti della chiesa.
L’OPPOSIZIONE DELLA CHIESA
Ha fatto notizia quanto accaduto domenica scorsa a Martinsicuro, tra Marche e Abruzzo, dove don Federico Pompei, nell’omelia della messa pronunciata nella chiesa di San Gabriele dell’Addolorata, si è scagliato contro il ministro. Secondo i presenti, il sacerdote ha detto che “Salvini stava lavorando male e che avrebbe dovuto lasciar approdare le ong nei porti italiani, e accogliere tutti i migranti indistintamente in arrivo dall’Africa con i barconi”. Al di là della ricostruzione, vera o falsa che sia (magari solo esagerata nei toni), resta centrale la questione dello scontro che si fa possibile tra il secondo azionista del governo e la chiesa cattolica. Soprattutto in tempi come questi in cui si chiede ai cattolici di darsi da fare in politica. La risposta di Salvini? Un tweet che sostiene questo: “Messa contro Salvini, e a favore di mendicanti Rom e immigrati clandestini… Pare che alcuni fedeli siano rimasti contrariati. Anche a questo parroco invio un abbraccio, ricordandogli che cerco solo di applicare un po’ di BUONSENSO”.
L’IMPEGNO CATTOLICO IN POLITICA
Qualche settimana fa, in un’intervista a un quotidiano sardo, il sostituto della Segreteria di stato uscente, monsignor Giovanni Angelo Becciu, diceva: “Non do giudizi sulla situazione politica. Non mi spetta, ma da cristiano devo riconoscere che i cattolici in politica sono un po’ scomparsi”. Ma sono le frasi seguenti a chiarire un orientamento nuovo: “Resta una posizione individuale, manca un contributo organico dei cattolici alla politica. I valori del cattolicesimo costituiscono un contributo importante al progresso della società e al miglioramento dell’impegno in politica. Si deve essere convinti che la cultura cattolica sia un capitale di ideali”. Posizioni ribadite anche nell’intervista pubblicata oggi su Avvenire. Lo stesso Becciu, nel frattempo diventato cardinale, auspicando che all’onore degli altari arrivino anche figure eminenti del cattolicesimo italiano come Giorgio La Pira e Alcide De Gasperi, ha detto che ciò “servirebbe anche da sprone ai cattolici per capire che l’impegno in politica non è un optional, ma deriva dalla loro missione di cristiani. Perché, come amava ripetere il beato e prossimo santo Paolo VI, davvero la politica è la forma più alta di carità”.