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Trump, Putin e la concorrenza sull’energia. Il commento di Clò

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Durante la conferenza stampa conclusiva, dopo il faccia a faccia con Vladimir Putin, il presidente americano Donald Trump ha parlato del mondo dell’energia come di uno dei settori in cui Russia e Stati Uniti — che a loro dire hanno la pace come traguardo — sono in concorrenza.

“Concorrenza è un eufemismo, diciamo che è un’ossessione di tutte le amministrazioni americane l’ingerenza negli affari energetici europei, soprattutto sui rapporti tra Europa e Russia”, dice a Formiche.net Alberto Clò, esperto energetico, ministro del governo tecnico presieduto da Lamberto Dini, già ordinario in Economia applicata all’Università di Bologna e direttore della rivista Energia.

“Un’interferenza che può farsi risalire agli anni Cinquanta contro gli accordi industriali/commerciali di Enrico Mattei con l’Urss, per riesplodere in una lite feroce tra Reagan, Mitterrand e Tatcher al G7 di Versailles del 1982 contro i gasdotti che si andavano costruendo dalla Siberia per veicolare il gas russo in Europa,  riproporsi contro la costruzione del gasdotto South Stream negli anni di Barak Obama o più recentemente contro il gasdotto North Stream 2, sottoposto a severe sanzioni dal Congresso americano lo scorso anno. Tutte interferenze avvenute nell’imbarazzante silenzio degli organismi dell’Unione europea”.

Noi, ha detto Trump, andremo a vendere gas naturale liquefatto (Lng) in Europa, anche se loro, i russi, hanno “una logistica migliore” perché sono geograficamente più vicini e stanno raddoppiando le pipeline. L’americano si riferiva al Nord Stream 2, il progetto infrastrutturale della Gazprom con cui raddoppiare i flussi del Lng russo dalla rotta settentrionale che passa dal Baltico e scende in Germania.

L’opera, su cui Trump dopo l’incontro con Putin è passato in modo leggero (considerandola solo come una questione di concorrenza commerciale) è stata fortemente osteggiata da Washington in un esempio delle interferenze di cui Clò parla. Non più tardi della scorsa settimana lo stesso presidente, seduto davanti al segretario generale della Nato, l’aveva definito un problema per la stabilità dell’alleanza, visto che in quel modo la Russia non solo rendeva la Germania fortemente dipendente, ma addirittura l’avrebbe tenuta “in ostaggio”. Da Mosca le critiche, ovvero Trump sta spostando l’attenzione su inesistenti questioni politiche per becero interesse economico. È la linea difensiva russa, fondata per altro su un precedente: quando qualche settimana fa la cancelliera tedesca Angela Merkel parlò con Trump alla Casa Bianca, l’americano fece pressioni chiedendole di rinunciare al Nord Stream e comprare il gas americano.

In precedenza, Washington aveva già fatto pressing su Berlino: la responsabile dell’ufficio che si occupa di politica energetica del dipartimento di Stato, durante una visita in Germania, era arrivata a dire che le aziende europee (olandesi, tedesche, francesi, e austriache: Royal Dutch Shell Plc, OMV AG ed Engie SA, BASF SE’s Wintershall unit, Uniper SE) che stanno lavorando per Gazprom sul piano da 9,5 miliardi di euro del NS2 avrebbero rischiato di finire sotto sanzioni secondarie americane.

“Gli americani, grazie alla ‘Shale Revolution’,  hanno aumentato del 40% la loro produzione di metano nello scorso decennio a 762 miliardi metri cubi nel 2017, con un ulteriore aumento previsto al 2024 a 982 miliardi metri cubi. Per collocare sul mercato questa grande abbondanza di offerta sono stati realizzati grandi investimenti nell’intera supply chain del settore, soprattutto nella liquefazione”, spiega il professore. “Cresciuta in un decennio da zero a 30 miliardi metri cubi e prevista crescere sulla base degli impianti in costruzione a 122 nel 2019”. “L’offerta incrementale di metano — aggiunge Clò — sarà in parte destinata al  mercato interno, per sostituire il carbone nelle centrali elettriche, ma dovrà necessariamente essere destinata soprattutto ai mercati esteri”.

Ma servono gli acquirenti. “Una produzione così grossa di Lng richiede mercati stabili, in forte crescita, in grado di assorbirla”. E dunque, chi meglio della Cina? “Esattamente: il novembre scorso, quando Trump incontrò a Pechino il cinese Xi Jinping, chiusero un memorandum di intenti proprio sulla partnership energetica. Un incastro perfetto: Washington aveva il metano, Pechino la necessità di sostituire il carbone, e per farlo avrebbe usato sì le rinnovabili, ma soprattutto proprio il gas”. L’accordo prevedeva grandi investimenti della Cina negli Usa, 84 miliardi per gli shale in Virginia, 43 li avrebbe messi la statale Sinopec per costruire pipeline dell’Lng Nord/Sud in Alaska.

”Gli Stati Uniti sarebbero potuti/dovuti diventare il primo fornitore cinese. Poi però Trump s’è dato la zappa sui piedi, ha dato il via alla guerra commerciale, i cinesi hanno risposto simmetricamente per rappresaglie, finché la scorsa settimana Pechino ha annunciato un dazio del 25 per cento su petrolio e metano: così le vendite americane sarebbero impossibili”.

Per questo adesso Trump cerca un ruolo nel mercato europeo? “In realtà gli americani hanno poche alternative alla Cina. La domanda di metano in Europa è prevista in calo o solo leggero aumento anche se le importazioni dovranno crescere per il calo della produzione interna, ma per quantitativi limitati rispetto alle capacità di assorbimento della Cina”.

Inoltre, spiega l’ex ministro italiano “per ritagliarsi spazi di mercato in Europa, l’Lng americano dovrebbe ridurre in modo sensibile i suoi prezzi non riuscendo comunque a competere, dati i suoi maggiori costi, con quelli ben più bassi del gas via pipe dalla Russia, forte di una grande flessibilità sia nei volumi sia nei prezzi consentita da una spare capacity di 170 mld. mc. Di fronte a politiche aggressive delle società americane quelle russe non si sottrarrebbero a una ‘guerra dei prezzi’ che vedrebbe le prime perdenti.  Ed ecco allora che Trump cerca la via politica, sostenendo di essere un fornitore più onesto e affidabile di Mosca. Un’affidabilità contraddetta dalle misure protezionistiche che ha appena adottato”.

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