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La Brexit si farà, ma restiamo amici della Ue. Parla il sottosegretario Uk Robin Walker

È stato un mese difficile per il governo di Theresa May. Convocando i suoi ministri a Chequers, nella residenza immersa nelle campagne del Buckinghamshire, ha scoperto a caro prezzo che la coperta della Brexit è troppo corta per coprire le richieste della Commissione Ue e al tempo stesso soddisfare gli hard brexiteers. La virata verso una soft Brexit, sugellata dalla pubblicazione dell’attesissimo white paper, ha creato un solco nel governo costringendo alle dimissioni il ministro degli Esteri Boris Johnson, il segretario di Stato alla Brexit David Davis e il sottosegretario Steve Baker. Ora Downing Street fa fatica a fare la voce grossa con Bruxelles. E in più deve fare i conti con una Commissione tutt’altro che convinta dai passi avanti fatti con il white paper su confine irlandese e libertà di movimento (di persone e beni, ma non dei servizi). A nove mesi dalla scadenza per abbandonare l’Ue l’ipotesi di un no-deal si fa sempre più realistica. Per scongiurarlo il governo inglese deve cercare una sponda, prima ancora che nella Commissione, nei singoli Paesi Ue disposti ad aiutarlo, a partire da quello italiano. Per questo ha inviato a Roma uno dei volti più spendibili. Robin Walker, 40 anni, parlamentare Tory nato e cresciuto nel Worcester, sottosegretario di Stato alla Brexit dal luglio 2016. Inizialmente sostenitore del Remain (come Theresa May e altri membri del governo), oggi è uno dei più strenui traghettatori della Brexit, di cui cura in particolare i rapporti doganali con l’Ue e i diritti dei cittadini europei e inglesi. Lo abbiamo incontrato all’ambasciata del Regno Unito a Roma, inserendoci in un’agenda fittissima che ha previsto incontri con i sottosegretari Lucio Barra Caracciolo e Michele Geraci e il direttore generale di Confindustria Marcella Panucci.

Quanto pesano le dimissioni di David Davis e Boris Johnson sulla vostra credibilità nei negoziati?

Rispetto profondamente la scelta di David Davis, che ha fatto un passo di lato perché non sentiva sua questa linea del governo. Ciò detto credo sia molto chiaro che il governo inglese e la grande maggioranza del Parlamento vogliano veder rispettati i risultati del referendum e far sì che nasca una cooperazione pragmatica fra Regno Unito e Ue sui temi più importanti, dalla sicurezza all’economia passando per cose più semplici come le medicine che le persone comprano tutti i giorni. Il nostro white paper fa esattamente questo, indica delle soluzioni estremamente pragmatiche. Ovviamente alcuni politici non sono d’accordo con questo approccio, ma ci sono persone che lavorano insieme a una soluzione concreta tanto dal lato del Leave quanto da quello del Remain.

Il governo sembra sempre più diviso fra chi vuole una hard brexit e chi spinge per una soluzione soft..

Non nego che ultimamente il dibattito politico è stato molto acceso, ma il governo ha trovato i voti sulle proposte di legge che più aveva a cuore. Il recesso dall’Unione Europea è diventato legge perché è riuscito a superare 1300 emendamenti dell’opposizione, con quindici sconfitte nella House of Lords e una sola nella House of Commons. Siamo pieni di giornali che prevedono disastri sul Trade deal e il Custom deal, ma alla fine dei giochi siamo riusciti a difendere il nostro business.

Gli ultimi sondaggi dicono che un inglese su due vuole un secondo referendum sulla Brexit.

Non è quel che ho percepito io quando ho parlato alla gente della mia circoscrizione, né quanto ho visto dalle elezioni generali di un anno fa. L’85% dei parlamentari eletti vuole continuare sulla strada tracciata dal referendum. Due settimane fa abbiamo avuto un voto in Parlamento sull’opportunità di un secondo referendum: 13 parlamentari hanno votato a favore, 299 contro. Non è questa la soluzione. Il Regno Unito ha avuto un lungo periodo di riflessione sull’eventualità di un’uscita dall’Ue, il referendum non è comparso da un giorno all’altro. Anche le opposizioni, pur avendo idee diverse su come proseguire i rapporti con Bruxelles, sono convinte che indietro non si torna.

In un’intervista al Sunday Times il ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini consiglia alla May la linea della fermezza con Bruxelles. Ascolterete il suo consiglio?

Ascoltiamo tutti i politici europei e ci teniamo a sapere la loro opinione sui negoziati e al tempo stesso chiediamo di rispettare il dialogo in corso fra Londra e Bruxelles. Capisco gli appunti di alcuni politici italiani sulla sovranità del Regno Unito e la libertà di movimento, ma vogliamo rassicurarli sul fatto che alla fine dei negoziati l’Unione Europea sarà un amico e un vicino ancora più stretto. È bene parlarsi, per questo sono venuto in Italia ad ascoltare le istituzioni e le aziende. Nel nostro white paper facciamo proposte concrete per salvaguardare la cooperazione con l’Ue in materie come il commercio, il settore agricolo e quello industriale.

Per il presidente americano Donald Trump il white paper non rispetta il voto dei cittadini inglesi.

I cittadini inglesi hanno votato per riprendere in mano il controllo. Hanno votato affinché i nostri politici siano direttamente responsabili per le politiche che promuovono, per controllare le loro leggi, la loro economia, i loro confini. Il white paper spiega che metteremo fine alla libertà di movimento come è stata concepita fino ad oggi, controlleremo i nostri confini e le nostre leggi, su cui la Corte di giustizia europea non avrà più giurisdizione. Decideremo cosa fare del nostro denaro: ovviamente potremo continuare a impegnare i nostri soldi in alcuni progetti europei come l’Erasmus, ma lo faremo sulla base di una decisione sovrana e democratica.

Davvero il paper non è un passo indietro?

Assolutamente no. Il white paper rispetta il risultato del referendum e al tempo stesso i bisogni della nostra economia e di grandi aziende come Leonardo, un grande investitore nel Regno Unito che dipende da una catena di produzione complessa e beneficia dalla libera circolazione dei beni al confine. Non c’è il rischio che non rispetteremo l’esito del referendum. Stiamo lasciando l’Ue.

Per Bruxelles il vostro piano non trova una soluzione per evitare un confine duro con l’Irlanda.

Sono sicuro che troveremo un accordo per evitare un hard border. Dobbiamo capire che in Irlanda non si è mai raggiunta un’intesa senza un compromesso fra tutte le parti impegnate nel negoziato. Il Good Friday Agreement è fondamentale per il processo di pace nell’Irlanda del Nord e funziona solo grazie a una complessa rete di compromessi. Uno dei pilastri dell’accordo è il principio del consenso: lo status costituzionale dell’Irlanda del Nord non può essere cambiato senza una decisione dei nordirlandesi. La proposta della Commissione Ue di spostare il confine al mare irlandese sarebbe una violazione del Good Friday Agreement.

Voi cosa proponete?

Vogliamo assicurare la libertà di movimento attraverso il confine irlandese non solo delle persone, ma anche dei beni e dei prodotti agricoli. L’unico modo per trovare un accordo che soddisfi tutti è continuare i negoziati diretti fra Regno Unito e Unione Europea, cosicché gli irlandesi possano continuare a beneficiare tanto del commercio est-ovest quanto degli scambi commerciali con il nord.

Le persone potranno attraversare il confine liberamente?

Non abbiamo alcuna intenzione di costruire infrastrutture fisiche al confine. Io personalmente tengo molto a questo punto. Ho lavorato come assistente ministeriale nell’Irlanda del Nord e sono fiero di poter dire che mio padre è stato gravemente preso di mira dall’IRA negli anni ’80.

Anche per i beni rimarrà la libera circolazione?

Nel nostro white paper ci sono proposte concrete per un allineamento delle normative sui beni industriali e agricoli che permetterebbe di evitare frizioni al confine, così come proposte per evitare tariffe e norme di origine con i conseguenti controlli. Abbiamo già trovato un accordo per un’area comune di mobilità (Common Travel Area, ndr), un esperimento unico in Europa per la libertà di movimento. Le soluzioni sono davanti ai nostri occhi, abbiamo solo bisogno di comprensione reciproca. Per ottobre l’accordo per il recesso sarà completato. L’ultimo passo, espressamente previsto dall’articolo 50 del Tue, è delineare il quadro delle relazioni future fra Uk e Ue.

Come garantirete i diritti dei cittadini europei residenti nel Regno Unito?

Nella mia circoscrizione ci sono moltissimi italiani che con il loro duro lavoro danno un contributo fondamentale al sistema sanitario, alla ricerca, al settore privato. Il nostro messaggio è chiaro: vogliamo che queste persone restino e faremo di tutto per dare loro supporto. Abbiamo progettato un meccanismo rapido e semplice per richiedere il settled status (status che potranno richiedere tutti i cittadini Ue che hanno vissuto nel Regno Unito per cinque anni di seguito, ndr) con la collaborazione dei governi europei che forniranno le informazioni necessarie. A settembre organizzeremo un evento all’ambasciata italiana a Londra per informare la comunità italiana e renderla partecipe della definizione del settled status. Abbiamo promesso che metteremo i diritti dei cittadini in primo piano e così faremo.

 

(Foto: Worcester news)

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