Rossella Milone
Cattiva
Einaudi
pp. 128
€ 16,50
L’esperienza della maternità per noi maschi resta un mistero, un incanto certo, nel quale la vita cresce dentro lenta e silenziosa, ma poi esplode autonoma dalla genitrice, pronta ad affermare che lei esiste e non è più parte di un’altra, che nel giro di poche ore quello stesso bambino che stava dentro, inquieto talvolta, ma dentro, ora è fuori e gli tocca cavarsela, respirando, mangiando, e imparando a sopravvivere.
Fino a un momento prima pensava a tutto lei, la mamma, ed era come galleggiare in un paradiso, dove a nutrirci pensava lei e l’orizzonte del bimbo si chiudeva attorno a proteggerlo, smorzando la luce, tenendo i rumori in sordina, e non c’era altro da fare che abbandonarsi al ritmo di una risacca che ninnava serena e sicura; poi, in una tempesta di contrazioni e dolori, di ansie angosciose, giunge il momento di tuffarsi all’esterno, di diventare soli: quando l’ultimo aggancio si scioglie e il cordone si spezza nessun altro può sostituire il bambino nell’impegno di vivere.
Dalla parte della madre la storia è identica ma capovolta: all’inizio c’è la sorpresa di non essere più sola, di portare notte e giorno con sé un’altra vita, un’altra persona che dipende da noi, alla quale dobbiamo provvedere per tutto; poi, quando ci si è abituati a questa assoluta intimità, il bimbo venuto al mondo comincia a chiedere, a pretendere e per farsi capire, poiché non ha ancora la parola, piange e urla e non c’è modo di calmarlo se non porgendogli il seno perché si riempia e poi stanco si assopisca.
Dopo la nascita le cose si complicano perché tutte le regole che valevano per due non valgono più, e neppure valgono gli impegni del lavoro, il terzo, infatti, comanda stravolgendo ogni cosa, forte della sua debolezza, sicuro dell’amore che lo circonda. Quello che è accaduto – una vita nuova –, per quanto sia sempre stato così, ogni volta è straordinario, difficilissimo da capire e ancor più da imparare: uno è diventato due ed entrambi questa esperienza debbono viverla da soli, in qualche caso persino l’uno contro l’altra.
Rossella Milone, sfidando tutte le retoriche della maternità, i suoi luoghi comuni, questa esperienza la racconta con grande sincerità e semplicità, cercando di ricordare il più possibile del suo vissuto e di confrontarsi senza pudori con le debolezze, gli sconforti, le paure che la hanno accompagnata nei primi mesi, e ha intitolato il suo libro Cattiva, dove non è chiaro a chi vada attribuito il giudizio.
Madre e figlia affrontano la loro convivenza coscienti di essere una di fronte all’altra, in una sorta di duello feroce e amoroso, tenero e caparbio, che mette a dura prova la resistenza di entrambe, ma soprattutto quella della madre, che ha partorito la sua aguzzina e non può più liberarsene. Eppure, sfinita dall’insonnia, derubata di ogni attenzione per sé, tormentata da desideri di fuga e di abbandono, la mamma durante questo ardua iniziazione scopre non senza gioia che la figlia, pur essendo sua, non le appartiene più, è un’altra, con la quale bisogna misurarsi in un dialogo che diventa più facile tanto si impegnano a comunicare, riconoscendo i confini che le tengono insieme e le separano.
Il nonno, che da buon maschio guarda con disincanto, glielo aveva detto: “i bambini sono creature complesse, devi dargli il tempo di abituarsi al fatto che sono vivi”; la storia, insomma, si ripete, ma viverla in prima persona è tutt’altra cosa e raccontarla un’altra ancora.