Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Lo stato dell’arte in Libia, fra migrazioni e influenze geopolitiche. Parla Villa (Ispi)

vertice libia mediterraneo

Nella regione libica la situazione appare non risolvibile in breve tempo. L’asse francese, promotore delle elezioni entro dicembre, appare ripiegato su stesso, ma tiene il punto e non sembra intenzionato a battere la ritirata dal Paese. In una conversazione con Formiche.net, Matteo Villa, esperto di migrazioni e research fellow dell’Ispi, spiega come si stanno evolvendo i rapporti geopolitici dei Paesi che si affacciano sul mediterraneo e quale sarà il futuro dell’Accordo di Dublino e, di conseguenza, dei grandi flussi che negli ultimi anni hanno investito l’Italia. “Molto probabilmente, a livello di gestione migratoria, ci sarà una stasi un po’ dappertutto e cercheremo di arrangiarci in maniera bilaterale. Dobbiamo sceglierci bene gli alleati, perché al momento quelli che l’Italia si è scelta all’inizio sono esattamente coloro che ora chiudono le frontiere”, ha spiegato Villa. Senza dimenticare il ruolo economico e strategico che un Paese come la Libia offre a chi vi opera. “Il petrolio è allettante, la Libia ne ha tantissimo e sono solo sei milioni di abitanti, quindi vuol dire una ricchezza procapite enorme. Quando la situazione sarà pacificata, si spera, sarà sicuramente il Paese più ricco dell’Africa del nord e con gli standard sanitari più alti di tutta l’Africa”.

Nei giorni scorsi c’è stato l’incontro tra Merkel e Sanchez. Merkel ha anche asserito che gli Accordi di Dublino non sono più funzionali, ottenendo a riguardo un feedback positivo dal Movimento Cinque Stelle. Cosa ne pensa? Come sta procedendo l’Europa sulla questione migrazioni?

Merkel è stata, dall’inizio della crisi libica ad oggi, il leader europeo che ha più aiutato l’Italia e i Paesi in difficoltà. E quando dice che bisogna riformare Dublino ha ragione. D’altra parte, però, non si può fare da soli, ci vuole il consenso di tutti gli altri Paesi. Per questo motivo mi aspetto che per il momento tutto resti uguale, identico per i prossimi anni. Dobbiamo farcene un po’ una ragione. Questo però non è nemmeno un enorme problema, come invece pensano gli italiani, perché se andiamo a vedere nei momenti non di estrema emergenza ma di normalità, un po’ incrinata dai flussi maggiori, quello che succedeva era che la gente arrivava in Italia ma che comunque, in barba a Dublino, si spostava negli altri Paesi. Questo è importante da riconoscere perché, di fatto, Dublino funziona, anche per l’Italia, perché è un accordo disfunzionale. Quello che dice sarebbe un grande problema per il nostro Paese, ma la realtà dei fatti è che solo alcuni di quelli che vanno in altri Paesi vengono poi beccati nei tempi utili, cioè nei dodici mesi in cui è ancora possibile rimandarli indietro.

E l’accordo con la Spagna?

L’accordo stretto con la Spagna è dettato dalla necessità di Merkel di provare a chi l’ha attaccata all’interno del Paese, come Seehofer, che si possono fare dei nuovi accordi bilaterali in deroga a Dublino che invece ha bisogno di procedure molto più lunghe. All’interno di questo contesto ci inseriamo noi. Dobbiamo prima di tutto riconoscere che a prescindere da tutti gli sbarchi sono diminuiti e che non è poi Dublino il problema ma lo è essenzialmente l’integrazione interna. E cioè come fare per far in modo che queste persone che arrivano compiano meno crimini. È vero invece che la Spagna in questo momento sta vivendo una situazione critica dal punti di vista dei flussi. Sono flussi molto bassi, non lontanamente paragonabili a quelli che vissuto l’Italia negli ultimi anni, ma il sistema di accoglienza spagnolo dimostra tutti i suoi limiti e con 25.000 persone arrivate è già arrivato al limite.

Cosa accadrà nel breve periodo?

Molto probabilmente, a livello di gestione migratoria, ci sarà una stasi un po’ dappertutto e cercheremo di arrangiarci in maniera bilaterale. Dobbiamo sceglierci bene gli alleati, perché al momento gli alleati che l’Italia si è scelta all’inizio sono esattamente quelli che ora chiudono le frontiere. E chiudere le frontiere all’interno dell’Europa significa, implicitamente, che dobbiamo far fronte solo noi al problema.

Andando direttamente in Libia invece, Haftar ha deciso di mantenere alto lo stato di allerta nella Mezzaluna petrolifera libica, la situazione sembra continuare a camminare sul filo del rasoio, un’altra crisi potrebbe star per scoppiare. Cosa ne pensa?

Faccio un passo indietro. La prima cosa che c’è da dire è che per misurare l’instabilità della Libia negli ultimi anni bisogna guardare la produzione petrolifera e quanto il Paese riesce ad esportare. Qualche mese fa si era tornati ad un milione di barili al giorno, e bisogna pensare che prima della caduta di Gheddafi i barili erano circa 1,6 milioni di barili quotidiani. Quel milione di barili era un po’ il metro di giudizio del governo italiano per capire se la situazione migliorasse o peggiorasse. Nei momenti peggiori della crisi, escludendo il momento in cui siamo arrivati anche a zero, dopo la caduta di Gheddafi, si era più o meno intorno ai 300.000 mila barili al giorno, circa un terzo quindi di quanto siano ora.

La situazione è così disastrosa come appare?

C’è stato il momento in cui si pensava che la situazione stesse un po’ migliorando. In realtà la situazione sta peggiorando, anche se le notizie che arrivano non sono così terribili come vogliono sembrare. È anche vero che se guardiamo la produzione degli ultimi mesi, questa si è dimezzata. D’altra parte però è difficile valutare cosa accade nella Mezzaluna petrolifera perché le città ormai sono quasi tutte disintegrate, e anche quelle che sono sotto il controllo di Haftar non lo sono realmente. Sono tutta una serie di milizie e gruppi tribali che talvolta si schierano dalla parte del generale solo per una questione di comodità, convenienza. Un po’ le raggruppiamo noi sotto quel fronte, un po’ sono loro stesse che quando devono comunicare con gli occidentali si presentano come affiliati di Haftar. In realtà, lo stesso generale che è ormai anziano, è andato in Francia per farsi curare, non riesce a tenere bene il timone. Anzi, qualcuno vocifera che proprio perché ormai è vecchio e fa annunci forse un po’ troppo sopra le righe, che risulta maggiormente controllabile.

Cosa si prospetta nel futuro?

La situazione comunque non è delle più rosee e non promette bene per le famigerate elezioni di dicembre. Ma non è niente di diverso da quello che ci aspettavamo, senza un processo di pacificazione la Libia resterà un frammentario panorama di milizie, che a volte vede maggior violenza e a volte meno.

La Francia, in questo contesto, mira al petrolio?

È ovvio che possano esserci questi tipi di interessi. L’unico gigante petrolifero che non è uscito per nulla da Paese è l’Eni, mentre Total è uscito. Ma devo essere sincero, in questo momento penso che prevalgano interessi politici generali. Vogliono creare la situazione per far rientrare la Francia bene nel Paese. Poi sicuramente il petrolio è allettante, la Libia ne ha tantissimo e sono solo sei milioni di abitanti, quindi vuol dire una ricchezza procapite enorme. Quando la situazione sarà pacificata, si spera, sarà sicuramente il Paese più ricco dell’Africa del nord e con gli standard sanitari più alti di tutta l’Africa. Dunque sì, è indubbio, la Francia ha delle mire e l’Italia le conosce, Credo comunque che non sia nemmeno negli interessi dei francesi affrettare una soluzione perché significa destabilizzare, e un Paese destabilizzato non conviene. Anche perché la Francia vuole farsi riconoscere sul territorio, vuole farsi percepire come l’attore che è riuscito a unificare il territorio e quella delle elezioni in questo momento credo che non sia la strategia corretta e sul lungo periodo non conviene nemmeno alla Francia. È più una questione simbolica, Macron ha bisogno di far vedere che è molto bravo in politica estera e a prescindere dalle mire economiche è proprio una questione politica e anche se ora c’è la consapevolezza di aver fatto un passo troppo lungo, per la Francia è difficile tornare sui suoi passi, anche semplicemente per una questione di orgoglio.

A questo proposito, qualche giorno Serraj si è incontrato con l’ambasciatrice dell’Unione europea confermando la volta di andare avanti con un processo elettorale che però dovrà svolgersi attraverso l’egida delle Nazioni Unite e deve fare seguito a un processo di stabilizzazione. Dunque elezioni in tempi brevi o no?

Non lo sappiamo ancora. Se le elezioni dovessero davvero svolgersi a dicembre, siamo molto indietro. Penso, dunque, che le elezioni non si terranno sicuramente entro la fine dell’anno ma verranno posticipate. Organizzare delle elezioni in tre, quattro mesi, con uno stato di quasi paralisi del Paese che non le renderebbe credibili in questo momento, fa pensare che gli stessi Paesi che le hanno sostenute, ora sono più titubanti a riguardo. Vedi l’Egitto, gli Emirati, la Francia.Farle sotto l’egida dell’Onu vuol dire far venire gli osservatori, stabilizzare prima il Paese, trovare un modo per far arrivare l’Onu in tutte le zone in cui ora non ha ancora accesso, a est del Paese. Dunque vuol dire temporeggiare per capire quanto effettivamente sia possibile riunire tutta la regione sotto uno stesso governo riconosciuto dall’Onu. Può sembrare, dunque, un discorso diplomatico, ma in realtà è un no silenzioso dovuto alla situazione non ottimale in questo momento.

Come inquadra comunque l’atteggiamento di Haftar che ha chiesto addirittura l’aiuto diretto della Russia e l’azione diplomatica di Vladimir Putin per la non interferenza straniera nel processo elettorale libico?

Un gesto che si inserisce più nel personaggio Haftar. Quando il generale fa delle dichiarazioni roboanti è più una questione di personaggio ed è anche un po’ il motivo per cui funziona e attira consensi. Lui ha agito fin da subito come il possibile unificatore del Paese e anche oggi quando fa delle dichiarazioni lo fa alzando molto i toni. Ricordo che un anno fa disse che per fermare le migrazioni servivano 30 miliardi all’anno. Una stima che non stava né in cielo né in terra ma che raffigurava un po’ quello che è il personaggio e cioè uno che quando dice una cosa, alza sempre la posta a mille. È comunque vero che i russi nell’est del Paese, come riportano molte informazioni che ci sono giunte, sono stati attivi, ma come lo sono stati molti altri Paesi. Bisogna comunque dire che molti attori internazionali, in un periodo delicato come questo, tendono a stare comunque fuori dalla Libia. È necessario che il processo per arrivare alle elezioni si svolga esclusivamente internamente, in modo che non si creino ulteriori divisioni e confusioni tra le parti. E Haftar è più di uno che è più solo, più isolato nella sua stessa coalizione, di quello che sembra. Ogni volta che fa una dichiarazione di questo tipo rilascia un segnale sulla sua debolezza più che della sua forza.

L’Italia come si sta comportando?

Noi diciamo che stiamo reagendo, siamo in una situazione reattiva. L’Italia infatti parte da una posizione strategica consolidata, lo dimostra sia il fatto che i flussi che arrivano nel nostro Paese non si siano mai interrotti dal 2015 ad oggi. E le milizie che gestiscono ancora in gran parte il traffico dei migranti hanno cambiato un po’ la loro strategia rispetto all’anno scorso. Dall’altra parte però negli ultimi mesi sono arrivati un po’ di segnali discordanti. Tra queste qualche gaffe dei ministri che sono andati in Libia. Salvini che ha dichiarato che avrebbero aperto gli hotspot ad est del Paese ed è stato prontamente smentito da Serraj. Anche l’ambasciatore Perrone, che a mio parere ha lavorato bene, è caduto in qualche scivolone come, per esempio quella di pubblicare una foto di Tripoli degli anni ’30. In generale bisogna fare attenzione ai toni che si utilizzano, anche se le opinioni che si esprimono sono assolutamente condivisibili e sarebbero state condivise da qualunque governo. Il tentativo dell’Italia deve essere quello di riunire le parti frammentate della Libia, piuttosto che gettare nuova benzina sul fuoco (che è un po’ quello che ha fatto la Francia cercando di scavalcarci e cercando di dare un’accelerata a un processo di pace prima invece di fare la cosa più importante di tutte).

Quale sarebbe?

La cosa più importante da fare, cercando di essere pragmatici e realistici, quando c’è una guerra, è quella di parlare con tutti gli attori in campo, anche con quelli che noi riteniamo essere dalla parte del torto. E questo perché il tentativo che si fa in tutti i contesti è quello di cercare di cooptarli, fargli lasciare le armi, fargli capire che potrebbero avere un futuro politico. Penso all’Iraq, penso all’Afganistan. È l’unico modo e viene prima del processo politico e delle elezioni, che invece in questo caso sono state interpellate subito. In questo modo la democrazia si costruisce, passo dopo passo.

×

Iscriviti alla newsletter