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Perché repubblicani e democratici esaltano la figura di McCain, ma Trump no

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Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha rifiutato di rendere pubblico un messaggio di commiato ufficiale per la scomparsa di John McCain, senatore repubblicano parte della storia politica del paese, in cui si elogiava il Maverick dell’Arizona come uomo, come politico e come eroe di guerra.

Nonostante fosse stato consigliato fermamente dai suoi collaboratori di lasciar perdere le distanze, di visioni politiche ma soprattutto personali, Trump ha preferito usare Twitter, scrivere un post freddo e risicato, e di farlo dal suo profilo personale anziché dal canale stampa ufficiale della Casa Bianca.

Secondo quanto riportato dal Washington Post (tramite fonti anonime dallo Studio Ovale) i più stretti collaboratori di Trump, come la segretaria Stampa e il capo dello staff, avevano già preparato nelle scorse settimane un messaggio per onorare la vita di McCain, dove si parlava apertamente di lui come un “eroe” e del lavoro svolto al servizio del paese. Il comunicato era stato aggiornato subito dopo la morte, sabato 25 agosto, ed era pronto per la pubblicazione, ma Trump ha fermato tutto e tutti, spiegando che preferiva uscire con un tweet asettico, senza troppi salamelecchi.

Invece, da sabato a domenica pomeriggio, vicepresidente, segretario di Stato, segretario per la Homeland security, segretario alla Difesa, consigliere per la Sicurezza nazionale, segretario Stampa della Casa Bianca, segretario All’istruzione, segretario dell’Interno e altri alti consiglieri del presidente, hanno tutti diffuso messaggi di commiato ricchi di elogi per il senatore. E con loro lo hanno fatto molti altri leader mondiali, per esempio il presidente francese Emmanuel Macron.

Quello che è successo con McCain, sebbene possa essere interpretato come un episodio, è importante e rappresentativo. Trump vede tutto come un gioco a somma zero attorno a se stesso: detestava il senatore repubblicano perché, dall’alto della sua esperienza, si era permesso più volte di criticarlo e attaccarlo pubblicamente – cosa che al momento, visto anche che le elezioni di metà mandato per il rinnovo delle camere si avvicinano, in molti vorrebbero fare, ma in pochi fanno tra i politici repubblicani meno radicalizzati.

McCain è stato la voce dei repubblicani scontenti – forse potremmo pure dire moderati, quanto meno classici – che non si trovavano a proprio agio con la presidenza Trump: e Trump per questo lo ha più volte attaccato. Addirittura, durante un comizio in Iowa nel 2015, nella fase di lancio della sua corsa elettorale, arrivò quasi a deridere gli oltre cinque anni di torture e prigionia subite in Vietnam del senatore.

E il presidente ha usato questo scontro per infuocare i suoi fan, raccontandolo come simbolico della battaglia tra lui e l’establishment esistente: e sui social network, le reazioni alla morte di McCain tra i fanatici trumpiani, ne sono dimostrazione.

Durante gli ultimi rally elettorali, con McCain ormai ritirato da tempo nel suo ranch di Sedona (in Arizona), pronto alla sconfitta nella lotta contro il cancro al cervello che lo affliggeva da mesi, Trump ha più volte imitato il gesto del pollice contro fatto dal senatore la scorsa estate, quando bocciò, col suo voto decisivo, la manovra politica pensata per l’abrogazione istantaneamente dell’Affordable Care (più noto come Obamacare, la legge sulla sanità).

Ultimamente, davanti alle telecamere piazzate nella sala stampa della base di Fort Drum per registrare il momento della firma sulla legge di bilancio per la difesa, che i colleghi del Senato hanno intitolato proprio a McCain (in onore, perché si sapeva che sarebbe stato l’ultimo importante atto legislativo mentre Maverick era in vita), Trump ha evitato di citare il senatore dell’Arizona – portandosi dietro già diverse polemiche.

McCain, d’altronde, aveva chiesto apertamente che Trump non prendesse parte al suo funerale, in un’altra situazione assurda, in cui il presidente resta escluso dalla cerimonia sacra di ricordo di quello che fino a venerdì è stato il più importante congressista repubblicano in attività.

Trump ha passato la domenica, il giorno dopo la morte di McCain, a giocare a golf in un suo campo in Virginia, ha scritto un paio di tweet contro le indagini che lo stanno avvolgendo, poi alla fine, soltanto dopo le otto di sera quello sul senatore – la tempistica serviva a segnare la poca importanza che stava dando alla cosa.

Sia Barack Obama che George W. Bush (invitati nelle ultime volontà da McCain) hanno parlato pubblicamente, e diversi commentatori americani fanno notare che McCain, nella morte, sta svolgendo un ruolo nel quale l’attuale presidente è congenitamente incapace: sintetizzare, su punti di alto respiro e profondi valori democratici (e quindi nazionali, americani), le divisioni tra Dem e Rep. Trump, invece, non perde occasione per esacerbare le divisioni, seguendo un’onda avviata da anni dai repubblicani più aggressivi, che ha portato all’attuale polarizzazione politica: per capirci sul clima, la candidata radical newoyrkese alla Camera Alexandra Ocasio Ortez è stata sommersa di insulti da parte di suoi sostenitori (che sono l’ala più a sinistra dei Dem) per aver scritto anche lei un ricordo positivo di McCain.

“Tutti, incluso lui (Trump, ndr), sono più a suo agio col fatto che non sia stato lì, ed è una cosa singolare di per sé, visto che è il presidente degli Stati Uniti, e questo è stato un senatore che è rispettato da entrambe le parti”, ha detto Bill Kristol, commentatore conservatore e direttore del Weekly Standard.  Sebbene c’è un precedente: quando Barbara Bush morì quest’anno, Trump fu tenuto lontano dal funerale, in cui per altro fu scattata una foto già iconica con quattro dei cinque presidenti viventi e Melania Trump al posto del marito.

A luglio, dopo il vertice di Helsinki con Vladimir Putin, McCain diede uno dei giudizi più atroci sull’imbarazzante performance del presidente americano: “Il danno inflitto dall’ingenuità del presidente Trump, dall’egotismo, dalla falsa equivalenza e dalla simpatia per gli autocrati, è difficile da calcolare. Ma è chiaro che il vertice di Helsinki è stato un tragico errore”.

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