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La vecchia sinistra è finita. È tempo di cambiamento (anche per il Pd)

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Convinciamoci. La sinistra è morta in Italia nel 1980. Ed è stata sostituita da un’altra cosa. Che, solo per una convenzione, abbiamo continuato a chiamare sinistra. E che anticipa, è vero ciò che dicono Emiliano e Orlando e, (paradossalmente, osserva Berlusconi) alcuni caratteri del “populismo” a 5 Stelle. Il primo colpo mortale all’idea di sinistra lo ha dato, spiace disturbare l’agiografia, Enrico Berlinguer. Lui fu, letteralmente, sconvolto dalla contestualità “profetica” di due fenomeni catastrofici: quello fisico del terremoto distruttivo al Sud e quello politico che, con i primi scandali, avviava il crollo del sistema politico della prima Repubblica. Berlinguer rinculò in un introverso e distruttivo isolamento. Che snaturò il Pci e lo avviluppò in pulsioni estremiste. Che ne avvieranno la fine e pesanti e rovinose sconfitte elettorali.

Le parole d’ordine della “svolta” di Berlinguer del 1980- diversità, austerità, questione morale- daranno i caratteri alla classe dirigente, nazionale e locale che caratterizzerà, specie al Sud, la classe dirigente della sinistra per oltre 30 anni. La chiusura di Berlinguer chiuse, definitivamente, alla possibilità della sola “altra” strada di evoluzione della sinistra: fare come in Francia e Germania. E, con l’unità col Psi, realizzare l’alternanza socialdemocratica alla Dc e ai conservatori. Ma Berlinguer pose solo le premesse. Furono gli epigoni di Berlinguer ( D’Alema, Occhetto e Veltroni) che completarono l’opera. E mettendoci del proprio. È con loro che si realizza la definitiva dissoluzione della possibilità, in Italia, di una sinistra “socialdemocratica” e di alternanza. Assistendo, compiaciuti e complici, alla liquidazione del Psi di Craxi invece che offrirgli “l’unità socialista”. Anche avendo il coraggio di contestare il giustizialismo politico di Mani Pulite. Con il nuovo gruppo dirigente post-berlingueriano avvenne il “grande mutamento” della sinistra.

Che, dopo il 1989 e il crollo del muro di Berlino, si illuse di liquidare, insieme al comunismo, anche la odiata socialdemocrazia e l’idea stessa della sinistra nel senso storico e occidentale del termine. Essi abbandonarono, infatti, i richiami “socialisti” per attestare, la sinistra post-comunista su una confusa identità “nuovista”. I cui tre capisaldi erano quelli indotti dalla “rivoluzione italiana” che liquidava la Prima Repubblica ( per via giudiziaria) e dalla critica “da sinistra” al compromesso socialdemocratico che, dagli anni 40, ha orientato le sorti dell’economia europea. Tre capisaldi: il giustizialismo ( la via giudiziaria al governo e la liquidazione dei vecchi partiti per via processuale) che introdurrà all’antipolitica, al moralismo e all’ anticasta come nuova “ideologia italiana”; l’ambientalismo declinato come conservazione, stagnazione e limitazione dello sviluppo. Che aprirà la strada a un sorgente “antindustrialismo”, col mito dello “sviluppo sostenibile”; il pauperismo, la retorica degli “ultimi”, la retorica degli esclusi che, nelle distorsioni, di una nuova sinistra radicale fungono da “surrogato” del declinante “conflitto di classe”. Questi tre capisaldi hanno segnato la dissoluzione definitiva della sinistra del 900.

In Italia prima ancora che in Europa. E ne hanno dissolto le possibilità chiudendola in una gabbia identitaria conservatrice, che postula lo stagnazionismo economico e in un minoritarismo politico estremista. E che anticipa, spiace dirlo, i caratteri insorgenti del populismo. Questa deriva identitaria (giustizialismo, ecologismo, pulsioni antisviluppo) per, oltre 30 anni, ha bloccato la sedicente sinistra. Ed è stato il refrain di tutte le incarnazioni della sinistra, dal Pci alla sinistra radicale e al primo Pd. Fino a Renzi. Che ha rotto la continuità e cambiata l’identità: da sinistra a centrosinistra con una nuova “piattaforma” di valori: garantismo, ambientalismo costruttivo e non conservazionista ( l’”Italia del fare”), ottimismo della crescita economica, innovazione, sviluppo ( senza aggettivi limitanti) come unica leva per la soluzione dei conflitti egualitari, riforma politica per la modernizzazione del sistema.

La vecchia sinistra si è alleata ai conservatori e il disegno innovativo di Renzi è stato sconfitto. Ma i cascami della “sinistra populista”, non più socialista, si sono inverati nella ideologia dei 5 Stelle e dei giallo-verdi al governo: antipolitica strombazzata come anticasta, giustizialismo medievale, ambientalismo conservatore, neostatalismo, antindustrialismo, decrescita. C’è qualcosa di vero in ciò che dicono Emiliano e Orlando: i 5 Stelle portano all’estremo alcuni dei cascami di dogmi e mitologie della sinistra degli ultimi 30 anni. Quella prima di Renzi. Che ha perso. Ora ci sono due strade soltanto: restaurare la sinistra “populista” di prima, sotto il nuovo brand a 5 Stelle o rimboccarsi le maniche, uscire dal 900, capire che il bipolarismo non è più con la destra ma col populismo. È tempo di qualcosa di nuovo.

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