Letizia Muratori
Spifferi
La nave di Teseo
pp. 110, € 17
Nonostante il vocabolario per il verbo spifferare annoti due significati distinti e cioè il raccontare senza riserbo e il fischiare tra le fessure, il sostantivo spiffero viene usato quasi esclusivamente con il secondo e conserva quindi un’energia improvvisa che si fa spazio dove non lo immagineresti.
I racconti di Letizia Muratori si intitolano dunque Spifferi e raccolgono dei soffi che rivelano qualche crepa nascosta attraverso la quale sbirciare oltre la superficie nei segreti dell’esistenza, cogliendo presenze fantasmatiche, identità imprevedibili, aspetti stravaganti e persino allegri, se non comici, che poi suggeriscono riflessioni amare e anche tormentose.
Al momento di trasferire in una casa più piccola i due anziani genitori, la figlia è costretta a fare i conti con i misteri della loro vita, compresa la linea fissa del telefono sulla quale da venticinque anni si svolge un surreale dialogo tra loro e un certo Dimitri, forse un antico paziente del padre medico, che ossessivamente cercava di tener vivo un qualsiasi discorso che riempisse i malinconici silenzi di una vita solitaria. Alla fine si scoprirà che Dimitri è morto da tempo e a telefonare, in realtà, è la madre in cerca di sollievo dal vuoto nel quale il lutto l’ha precipitata.
L’amicizia che dura dall’adolescenza ha ormai consumato ogni interesse e, una notte, i due compagni scoprono di non avere più niente da dirsi e che è ora di farla finita: a trarne le conseguenze sarà lui, riempendosi di sonniferi immerso in una vasca d’acqua fredda, e a lei non resta che rivolgersi a una sensitiva per cercare di rimettersi in contatto con lo spirito vagante.
In una tenuta toscana di ospiti si rincontrano due vecchi amici: lei è curiosa di scoprirne i segreti, lui, invece, tace e governa la struttura in solitudine; insieme, intorno i pezzi di una famiglia scombinata, si godono il benessere divertendosi con un cane giocattolo che abbaia a fatica mentre le pile si scaricano finché tutto tace.
In un’altra villa si sta preparando una cena importante, mentre senza motivo si spalancano le finestre e appare una figura di donna “alta, sottile, come una lama”, che potrebbe essere la madre di una di loro morta: come liberarsi di così subdola curiosità e restituire un senso a questa visione?
In un albergo tirolese a occuparsi della gestione sono rimasti un fratello e una sorella, che da soli accudiscono qualche decina di profughi e attendono per la settimana prossima la celebrazione del concorso di Miss Mucca, che del paese è la festa più importante, ma intanto una notte un incendio brucia un mucchio di stracci abbandonato davanti all’albergo e nessuno capisce perché, neanche l’inchiesta della Finanza ne viene a capo, salvo raccogliere la voce che “c’è una specie di nano con gli occhi bianchi che la notte gira per il paese e dà fuoco alle cose”, e in questo modo evoca l’immagine del padre scomparso tra le fiamme e che forse nel fuoco riesce ancora ad apparire.
Infine, traversando l’oceano, un genitore gay raggiunge la madre surrogata che non riesce a quietare le inquietudini dei genitori in attesa e per qualche giorno condivide il suo daffare accompagnandola in giro: in realtà si sente solo perché la relazione con la donna non è abbastanza coinvolgente e il suo umore scostante, tanto che sembra nascondere qualcosa: solo alla fine verrà fuori il rospo, il bimbo cioè è stato perduto e l’avventura deve ricominciare da capo.