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Trump spinge Conte sulla Tap, che piace a tutti meno che al governo italiano

Il governatore delle regione Puglia, Michele Emiliano, ha detto ai microfoni di Radio 1 che mesi fa ha avuto una riunione riservata – da lui voluta – alla Farnesina a cui hanno partecipato l’allora ministro degli Esteri, Angelino Alfano, il suo omologo azero e il vicepresidente della Socar, l’azienda energetica di proprietà del governo dell’Azerbaijan. Emiliano ha raccontato che in quel tavolo di confronto ha strappato “uno slot da 700 milioni di metri cubi di gas” che arriveranno in Italia con il gasdotto Tap – il Trans Adriatic Pipeline, che porta il gas del Mar Caspio in Europa e che la Socar sta finanziando in alte percentuali – a prezzo agevolato per permettere la decarbonizzazione dell’Ilva di Taranto.

Il governatore, che fa parte della linea collaborazionista del Partito democratico che vorrebbe alleanze con il Movimento 5 Stelle, ha aggiunto di non averne parlato all’attuale ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, soltanto lunedì, durante una riunione allargata proprio per discutere il destino della più grossa acciaieria di Europa, alla presenza di coloro che si sono aggiudicati la gara d’acquisto indetta dal precedente governo, l’Archerlor Mittal.

Emiliano ha detto di aver proposto personalmente al Ceo della multinazionale lussemburghese l’idea già piuttosto discussa e criticata di decarbonificare almeno due degli alto-forni da ristruttura, e sostituirli con la “tecnologia a gas a forni elettrici” (alimentati col gas del Tap), teoricamente molto meno inquinante, e di aver ricevuto una risposta chiara: è questione di costi, servirebbe pagare il gas molto poco, come lo si paga negli Stati Uniti. A questo punto, dunque, se gli azeri mantengono la parola data al governatore, due grossi problemi pugliesi e italiani potrebbero essere risolti in un colpo solo: i cittadini delle regione potrebbero essere contenti perché si salverebbe la fabbrica (e le occupazioni), ma con un abbattimento sostanziale dei veleni inquinanti, e allo stesso tempo avrebbero un buon motivo per accettare il Tap.

Entrambe le questioni sono sul tavolo del governo, perché il Movimento 5 Stelle ha ottenuto oltre il 40 per cento dei consensi in Puglia anche promettendo una doppia risoluzione drastica: chiudere l’azienda e non fare il gasdotto. In mezzo una serie di comitati che hanno spinto territorialmente l’acceleratore del “no” facendosi sponda su questioni di carattere ambientale e valutazioni di necessità: sul Tap, per esempio, l’attuale ministro dell’Ambiente, Sergio Costa (ex generale dei Carabinieri in quota M5S) diceva che è “un’opera inutile” che verrà “revisionata” visto “gli attuali cali della richiesta di gas in Italia”. Costa era fresco di giuramento ed evidentemente non aveva avuto modo di leggere un report della società italiana che gestisce la rete del gas, la Snam, che parlava di un aumento della domanda secondo proprio le necessità generali di abbassare la dipendenza dal carbone, dando medie dell’1,1 per cento annuo fino al 2026 e 0,9 per il 2035.

Da lunedì la questione Tap sembra essere passata di mano al governo, perché gli Stati Uniti hanno fatto una pressione piuttosto secca sull’Italia per la realizzazione della parte conclusiva del gasdotto. Il dossier è stato al centro dei colloqui tra il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte e l’americano Donald Trump. Lunedì, nello Studio Ovale, i due “outsider della politica”, secondo definizione di Trump, hanno parlato a lungo di quel tratto di circa otto chilometri che dovrà attraversare un pezzo di territorio pugliese a chiusura dei circa quattromila precedenti di quella che il premier italiano ha definito “un’opera strategica per l’approvvigionamento dell’Italia e del sud Europa”.

La realizzazione del Tap è una questione strategica soprattutto per gli Stati Uniti, ma anche per Roma: oltre alle dichiarazioni contrarie di alcuni esponenti del governo (oltre a Costa, per esempio, potremmo segnalare quelle del ministro per la Coesione territoriale, Barbara Lezzi, che già in campagna elettorale s’era spesa nel dire che una volta al governo, avrebbe chiuso la pratica in 15 giorni e niente gasdotto: “Come si conciliano le Sue parole con quelle del capo del governo di cui Lei fa parte? Come potrà tornare tra i suoi elettori pugliesi difendendo le sue idee ed al tempo stesso la linea ufficiale del governo?” si chiede in un fondo il direttore editoriale di Formiche.net, Roberto Arditti), ci sono le posizioni di altri, come il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, che è stato da poco in Azerbaijan da dove, insieme al presidente Sergio Mattarella, ha rassicurato che l’opera sarà conclusa in Italia.

L’interesse americano sulla pipeline è legato al fatto che può rappresentare la possibilità di ridurre la dipendenza dal gas russo dell’Europa. I gasdotti sono opere fisiche che una volta costruiti creano legami di interdipendenza difficili da scavalcare, per questo Washington vede meglio il Tap che il raddoppiamento del Nord Stream, la rotta settentrionale con cui il gas di Mosca dovrebbe scendere in Germania.

La Germania ha una dipendenza che che va oltre la metà del suo fabbisogno dal gas russo, l’Italia oltre a un quarto, e per tale ragione il gasdotto che trasporterà il gas azero è considerato di valore geopolitico elevatissimo (la media europea ha raggiunto il “40 per cento dei consumi finali: non ci vuole un grande stratega per dire che la dipendenza è eccessiva” ha commentato Davide Tabarelli di Nomisma Energia in un’intervista su queste colonne). C’è di più: il Nord Stream potrebbe tagliare fuori parte delle rotte di passaggio del gas russo in Ucraina, e rendere più vulnerabile un paese che ha già subito un’aggressione in Crimea e ne sta fronteggiando un’altra a bassa intensità nella regione orientale del Donbas. Invece il Tap permetterebbe di premiare, per così dire, la partnership tra Washington e Baku.

L’Azerbaijan, con cui anche Roma ha costruito solidi rapporti, è uno dei pochi stati ex sovietici che mantiene relazioni buone con gli americani e in generale con l’Occidente, e – come fa notare Daniele Raineri sul Foglio – è un paese che si trova in una posizione strategica al confine con l’Iran; la dimensione geografica non è poco se si considera che l’attuale amministrazione americana sta tenendo con Teheran una linea molto aggressiva.

C’è anche di più: perché l’interesse sulla realizzazione del Tap è pure russo, che potrebbe subentrare attraverso il gigante statale Gazprom per aiutare l’Azerbaijan se dovesse essere troppo onerosa la costruzione. A Mosca, su cui un parte dell’asse Lega-M5S è inclinata l’opera non dispiace; e piace a Washington, con cui il governo Conte sta costruendo una relazione speciale. A questo punto se l’Italia cerca una collocazione politica internazionale è evidente che parti del governo dovranno abbandonare le promesse fatte ai cittadini per prendere voti e accontentare le richieste esterne. Le relazioni americane, adesso più che mani nell’era Trump, sono create su un rapporto molto schietto di dare-avere: Conte può vantarsi di aver ricevuto da Washington il riconoscimento di interlocutore preferenziale per le faccende del Mediterraneo, ma tutto ha un prezzo – nel caso, il Tap.

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