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Cir, i Btp a prova di spread. Ecco le opinioni di Rinaldi, Bonfrisco e Brunetta

Un Btp a prova di spread è quello che ci vorrebbe? Magari per consentire al governo gialloverde, ora che la missione di calmierare i mercati e di rassicurare l’Europa è riuscita, di lavorare con maggiore tranquillità ai più delicati provvedimenti di politica economica sul tavolo, una volta approvata la manovra d’autunno.

UN BTP A PROVA DI SPREAD

Il progetto allo studio del governo (che pare sia stato suggerito dal sottosegretario alle Infrastrutture, Armando Siri) annunciato due giorni fa da MF-Milano Finanza,  è sì allo stato embrionale ma un’idea precisa su cosa fare c’è già tutta. Si tratta dei Conti Individuali di Risparmio (Cir ) da inserire già all’interno della prossima legge di Stabilità. Uno strumento che potrebbe rivoluzionare il mercato del risparmio italiano e soprattutto da una parte rispondere all’esigenza di stabilità degli istituti di credito, i cui bilanci sono gonfi di titoli pubblici e dall’altra garantire a tutti i cittadini, anche quelli non dotati di patrimoni milionari, strumenti semplici in cui investire i propri risparmi. Di più. Visto che l’andamento dello spread rimane ancora fragile e molto sensibile (oggi il differenziale di rendimento coi bund è sceso a 240 punti base, ai minimi da luglio), una leva per aumentare il bacino di sottoscrittori di Btp potrebbe mantenere solida la domanda di titoli anche in un momento di nuova tensione sui mercati.

MENO TASSE, PIÙ TITOLI

Questo il meccanismo: i risparmiatori e le famiglie che investiranno in Btp attraverso un Cir potranno godere di vantaggi fiscali che aumenteranno il rendimento implicito dell’investimento. Per godere dei benefici i titoli dovranno essere mantenuti in portafoglio fino alla scadenza e i gestori non potranno scommettere al ribasso contro il debito pubblico (lo short selling). Inoltre i Btp all’interno dei Cir non potranno essere prestati o dati in garanzia per operazioni tipo pronti contro termine.

CHE COSA (NON) CONVINCE

Formiche.net ne ha parlato con il deputato di Forza Italia ed ex ministro, Renato Brunetta, il quale ha offerto una lettura in controluce della proposta che il governo mira a inserire in questa manovra. “In riferimento alla proposta del governo di inserire nella prossima Legge di Bilancio incentivi fiscali per gli investimenti in titoli di Stato italiani, crediamo che qualsiasi riduzione della pressione fiscale sia apprezzabile, ovviamente a patto che sia coperta da una riduzione della spesa pubblica o attraverso maggiori entrate tributarie”, premette Brunetta. Detto questo “ci sono forti perplessità sulla reale fattibilità di questa operazione dal punto di vista dei conti pubblici, qualora questi tagli venissero fatti grazie ad un aumento di deficit e debito, già significativamente alti”.

L’IMPATTO SULLE BANCHE

Secondo Brunetta, c’è un altro nodo nella proposta su un Btp più conveniente. E cioè gli scarsi benefici sul sistema bancario. Perché? “Credo sia opportuno ricordare che gli investitori istituzionali (banche, sim, società di gestione del risparmio) sono già dei lordisti, ovvero percepiscono per intero i proventi dei loro investimenti senza alcuna tassazione alla fonte. Le imposte sono pagate alla fine dell’anno civilistico in base alla loro soggettività fiscale. Quindi, per loro, il risparmio fiscale sarebbe nullo. Stessa cosa vale per gli investitori esteri, che attualmente sono i principali acquirenti dei nostri titoli di Stato”.

UN AIUTO AI RESIDENTI

Diverso invece il punto di vista sui benefici per le famiglie residenti in Italia. “In questo caso il vantaggio sarebbe importante e cambierebbe a seconda dell’entità del beneficio fiscale”, spiega Brunetta. “Occorrerebbe, però, mitigare, o meglio immunizzare, alcuni effetti negativi. Esiste, infatti, una disparità di trattamento fra i proventi dei titoli di Stato e gli altri strumenti finanziari. I primi sono tassati al 12,5%, i secondi al 26%. Questo vuol dire che lo Stato favorisce gli investimenti nel mercato obbligazionario rispetto a quelli nell’azionario. Questo differenziale deve essere ridotto, se si vogliono evitare effetti distorsivi sul medio periodo e possibilità di arbitraggio tra varie fonti di finanziamento. Auspicabile è, quindi, una riduzione generalizzata della tassazione sui mercati dei capitali, per favorire condizioni di accesso alle fonti di finanziamento più a buon mercato per le imprese”.

L’OPINIONE DELL’ECONOMISTA RINALDI

Formiche.net ha interpellato anche Antonio Maria Rinaldi, saggista e docente (qui una recente intervista), per il quale “tutto parte dall’esigenza di modificare il regime fiscale per chi detiene titoli per un periodo di almeno 36 mesi, anche per per poter equiparare il tutto al regime esentasse di cui già beneficiano gli investitori internazionali”. L’operazione, spiega ancora Rinaldi, “è volta certamente da una parte a calmierare lo spread, dall’altra a fornire a famiglie e investitori una spinta a investire in titoli di Stato. Ma anche restituire a questi titoli una funzione e una natura di risparmio piuttosto che essere strumenti funzionali al trading”. La sostanza del ragionamento è chiara. Se per esempio la temperatura dello spread dovesse salire ancora, un Btp più conveniente potrebbe garantire la domanda. Ma attenzione a non cadere in facili tranelli, avverte Rinaldi. “La cosa importante è che la revisione del regime fiscale sulle cedole non crei titoli di seria A e di serie B, questo sarebbe un danno. Infatti la proposta lanciata su La Verità del 13 agosto scorso prevede essenzialmente l’esenzione del regime fiscale del 12,5% per i soggetti residenti che detengano almeno i titoli per 36 mesi, mentre per le scadenze inferiori 18 mesi e per i BOT varrà l’intera scadenza”.

CHE COSA DICONO AL SENATO

Decisamente favorevole anche la senatrice del Carroccio, Cinzia Bonfrisco, per il quale la proposta del governo da inserire in manovra “è una proposta utilissima. Sono assolutamente favorevole perché una tale misura non può che permettere la rimessa in moto di un circolo virtuoso tra risparmio e investimenti: da una parte le famiglie che mettono al riparo dalle tensione i loro risparmi, dall’altro lo Stato che monetizza risorse non solo per finanziare il debito ma anche per investire, per esempio, nelle infrastrutture.

 

 

 



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