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È ora di ricomporre la buona politica. Dalla ispirazione cristiana

L’Italia continua a vivere in una preoccupante stagnazione, nonostante i nuovi profeti nazionalisti, sovranisti, populisti, qualunquisti, che tanto avevano promesso durante i giorni della campagna elettorale del 4 marzo scorso fino a etichettarsi forze del cambiamento, ma a tutt’oggi non hanno dato prova di adeguato acume politico per migliorare la condizione del Paese.

Inondare di dichiarazioni gli italiani senza conseguenze concrete significa solo sprecare fiato. Con le roboanti affermazioni quotidiane, ora di questo, ora di quell’esponente politico o di governo non si va da nessuna parte. L’esperienza berlusconiana, quella dell’antica sinistra o variegata di oggi, dei nazionalisti attuali si sono tutte caratterizzate per evidente e conclamata inconcludenza, contribuendo a far annaspare gli italiani nella immensa palude nella quale sono immersi. Inutile approfondire capitoli aperti dell’odierna ingovernabilità del Paese, a che servirebbe se non ad esacerbare animi e a rendere i contrasti sempre più acuti tra le varie fazioni in campo, che non hanno neppure il bene di definirsi forze o partiti politici? Meglio dedicarsi alla pars costruens, visto che a quella destruens già ci pensano gli stessi esponenti di maggioranza e di opposizione a realizzarla. È giusto e opportuno occuparsi del futuro per ridefinire una linea di azione politica che dia nuova dignità all’Italia dopo gli anni di declino.

Esauriti i decenni di governo della prima esperienza repubblicana, si è passati agli anni degli asinelli, elefantini, margherite, querce, anonimi vessilli, che invece di aiutare il Paese ad uscire dal pantano ne hanno peggiorato la condizione, accrescendo il disordine politico-istituzionale, e di conseguenza l’ingovernabilità. Ritenute quindi insufficienti le varie esperienze di governo alternatesi fino ad oggi si è alla ricerca di una via sicura per ripristinare governabilità nella stabilità. Si potrebbe facilmente proporre il ritorno agli anni fecondi dal 1948 al 1992, ma indietro non si può tornare. Il passato è passato e la storia non si ripete.

È vero! Quando però non si hanno riferimenti certi per affrontare il futuro l’unico riferimento resta la storia. E la storia italiana del Novecento non può non suggerire i valori, i principi, le idee dell’età del “centrismo”, sviluppatasi durante gli anni che vanno dal 1919 al 1992, col dovuto intermezzo del ventennio fascista. A sostegno di questo paradigma politico che si fece azione concreta ci fu una cultura peculiare: il cattolicesimo, che metteva al centro della propria visione politica il valore della persona umana, funzionale alla crescita civile, democratica e di progresso.

Esistono documenti e testimonianze di notevole spessore culturale e politico che attestano che l’impegno dei cattolici in politica non è stato mai residuale, è stato sempre di aiuto per la ripresa del cammino e per risvegliare le coscienze dopo momenti di tragedie, di lutti, di dolore. Un tentativo simile in un tempo problematico della vita del nostro Paese, dove la frammentazione è il dato più preoccupante, non sarebbe oggi un pensiero sbagliato. Sollecitare e impegnare la sensibilità di donne e uomini è sintomo di vero coraggio, significherebbe, infatti, prospettare agli italiani una sintesi politica, mentre oggi nella vulgata comune prevale il frammento.

La divisione dei cattolici e la loro conseguente dispersione è stata una delle cause di crisi, che ancora oggi purtroppo permane. Nei momenti più preoccupanti in Italia essi hanno sempre saputo dare il proprio contributo con decisione e magnanimità, e grazie al loro credo, si sono adoperati per costruire la comunità degli uomini con trasporto, generosità intellettuale e morale. C’è una grave crisi di identità che va affrontata, tutto è sfilacciato, bisogna ricomporre. Ancora non si prende coscienza che la crisi è morale e spirituale e che gli attacchi alla vita e alla famiglia non sono fini a se stessi ma carichi di conseguenze, anche per l’economia e lo sviluppo. Quando si parla di riforme non si percepisce che tutti i settori della vita politica, economica e sociale hanno bisogno di essere riformati. Guardando il Paese nel suo insieme non si riesce ad avere una visione complessiva riformatrice. È necessario allargare gli orizzonti, ridare entusiasmo e rinvigorire le coscienze interiormente lacerate, soprattutto in questi ultimi anni, perché la sintesi possa essere definita in modo netto e prevalere sul frammento.

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