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Zitti zitti i cinesi si fanno una banca. Il caso del Banco delle Tre Venezie

OBOR, cina venezie

Le missioni del ministro dell’Economia Giovanni Tria e del sottosegretario al Mise Michele Geraci non hanno ancora chiarito se e quando la People’s Bank of China comprerà debito pubblico italiano. Nel frattempo però si deve registrare un crescendo di investimenti cinesi negli istituti di credito italiani. L’ultimo episodio è stato raccontato dal Gazzettino. Pga Investment, ramo finanziario e di investimento di Project Group Asia con base a Hong Kong, è entrato nel capitale del Banco delle Tre Venezie, istituto di credito privato che ha sede a Padova, Verona, Vicenza, Treviso e Mestre Venezia. L’operazione non è stata ancora confermata ma, secondo fonti accreditate sentite dal Gazzettino, sarebbe in dirittura d’arrivo e consisterebbe in un aumento di capitale dedicato agli investitori cinesi da oltre 22 milioni di euro (attualmente ammonta a 44 milioni) che deve ottenere il placet della Banca d’Italia. Per andare in porto, l’entrata del gruppo di Hong Kong dovrà avere anche l’ok della Bce, necessario non solo perché si tratta di capitale extracomunitario ma anche perché il 23% dell’istituto è in mano al portoghese Novo Banco. L’afflusso di capitale da parte di Pga è solo l’ultimo di un crescendo di investimenti e operazioni finanziarie cinesi nelle imprese e negli istituti di credito del Nord Italia. Solo in Veneto, si legge sul Gazzettino, sono 38 le imprese controllate dal Dragone. Dalla bellunese Acc acquistata dal gruppo Wanbao a Permasteelisa, multinazionale specializzata nella produzione di rivestimenti di edifici acquistata nel 2017 per 467 milioni di euro dal gruppo di Shenzen Grandland. Altri esempi sono la Clivet di Feltre, di cui l’80% è in mano ai cinesi di Medea, e la Quarella di Valpolicella, tra i leader mondiali per la lavorazione del marmo, trasformata in Qrgb dopo l’acquisto da parte della cinese Rykadan Capital.

L’operazione di Pga Investment nel Banco delle Tre Venezie non va sopravvalutata. Non solo per la modestia delle cifre in ballo, ma anche perché la controllante Project Group Asia ha sede a Hong Kong, una regione a statuto speciale che lascia alle sue imprese una libertà di iniziativa ben diversa da quella di cui godono le altre imprese nel Paese e che dunque merita una considerazione a parte. L’episodio si inserisce però in un quadro di crescente assertività dei cinesi nel Nord Italia, tanto negli istituti di credito quanto nel mondo delle piccole e medie imprese. La missione della task force del Mise, che si è occupata di internazionalizzazione delle imprese italiane e di digitalizzazione della distribuzione (qui l’intervista di Formiche.net a Michele Geraci) nel Dragone ha spianato la strada. La Banca Popolare di Sondrio, per fare un esempio, organizzerà a Shanghai una missione dal 18 al 21 novembre portando con sé una delegazione di aziende valtellinesi in cerca di nuovi sbocchi per l’export. Il Settentrione è meta privilegiata di questa nuova ondata di investimenti cinesi. Lo sarà ancor di più se le grandi aziende del Dragone riusciranno a investire nel porto di Trieste per farne il terminale privilegiato della nuova Via della Seta nel Mediterraneo (One Belt One Road). Modi, tempi e vincoli sono ancora da definire. Geraci ha promesso che il governo non “venderà nulla”, cioè non seguirà il modello del porto del Pireo, che ha ceduto ai cinesi di Cosco il 67% delle quote, ma faciliterà piuttosto investimenti mirati alla costruzione di un molo o all’ammodernamento tecnologico delle infrastrutture.

La presenza dei cinesi al Nord non si fa solo sentire nelle grandi opere o negli istituti di credito. Il mercato della ristorazione e della vendita al dettaglio in regioni come Veneto, Friuli e Lombardia ha visto un aumento di attività cinesi, soprattutto nelle tavole calde, nei tabacchi e nelle sale giochi. Trattasi per lo più di attività gestite da famiglie di immigrati di seconda generazione, arrivati nello Stivale non senza un notevole sforzo economico da parte dei familiari rimasti in Cina. Questo senso di riscatto, dicono gli esperti, è un motore non indifferente per le attività economiche della diaspora cinese in Italia. Un dato interessante è fornito da un rapporto dell’ufficio studi del Cgia di Mestre. Se negli ultimi nove anni le attività economiche in Italia gestite da cinesi sono aumentate addirittura del 64%, il totale di somme di denaro inviate da immigrati cinesi alle famiglie nella madrepatria nel 2017 ammonta a 136 milioni di euro, nulla a che vedere con i 2,6 miliardi del 2012. Come spiegare questa apparente contraddizione? Semplice, spiega il rapporto citato dal Gazzettino, le nuove generazioni di cinesi residenti in Italia hanno diminuito il flusso in uscita perché è aumentata contemporaneamente la loro propensione a investire nello Stivale. Detto in parole più semplici, le comunità cinesi in Italia hanno iniziato a tagliare il cordone ombelicale con la madrepatria per divenire parte attiva del panorama imprenditoriale e finanziario del Paese.

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