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Def, manovra e crescita. Il diavolo si nasconde nei dettagli

Il diavolo si nasconde nei dettagli. Lo sfondamento al 2,4% di deficit del Pil forse andava comunque tentato. La scommessa del governo è audace: l’idea che fare un po’ di deficit possa boostare la crescita per successivamente recuperarlo in termini di aumento di Pil. Credo che i mercati non si stracceranno le vesti e l’Ue farà una difesa d’ufficio dell’austerità: infatti la commissione è in uscita e la situazione globale dei mercati è molto diversa da quella del 2011. All’epoca questi ultimi non sapevano come si sarebbe usciti dalla crisi finanziaria mondiale; oggi lo sanno. In questo senso il governo italiano potrebbe avere fortuna.

Ma occorrerà seguire i provvedimenti passo passo, in tutti i loro passaggi e fino in fondo. Senza di questo si rischia il fallimento nell’applicazione. Infatti è facile decidere di sfondare, molto più difficile seguire i processi. È su questo che in Italia siamo tradizionalmente deboli.
Va detto che il reddito di cittadinanza non porterà crescita. Né la revisione della legge Fornero. È sostanzialmente dalla flat tax che si attende la svolta. Se le imprese seguiranno sarà possibile sperare bene. Ovviamente andrà tenuto conto che giocheranno a favore del governo anche tutte le iniziative di quello precedente volte alla stessa: Industria 4.0 e i 150 miliardi di investimenti strutturali già stanziati.

All’apparenza la manovra che il Def vuole introdurre appare come una legge di bilancio tipicamente democristiana: soldi per tutti in deficit. La Dc utilizzò spesso questa linea per decenni allo scopo di contrastare il Pci sul terreno del sociale: benefici molto larghi e a fondo perduto per mantenere il consenso. Gli applausi e la soddisfazione post Consiglio dei ministri di ieri sera hanno questo sapore, a tanti non sgradito (molti di più di quanto si pensi: nel Pd alcuni si mangiano le mani di non aver avuto tale audacia dopo aver gridato contro Bruxelles). Ma i tempi sono cambiati e per l’attuale maggioranza tutto ciò non basterebbe: la sensibilità delle persone nei riguardi degli sprechi e degli interventi a pioggia è molto più acuta del passato.

Perché la manovra non finisca come le democristianissime pensioni di invalidità, distribuite a profusione – al posto della creazione di lavoro – anche a chi non ne avrebbe avuto diritto (e soprattutto al sud), il reddito di cittadinanza ha bisogno di essere “processato” con il massimo dell’attenzione e della cura possibili. Altrimenti addio onestà. La “buona scuola” finì male proprio per questo: buone idee, pessima attuazione, affidata ciecamente a un algoritmo… non puoi spostare la gente con una formula matematica, la devi invece guardare in faccia. Affinché il reddito di cittadinanza funzioni davvero le persone vanno sentite una per una, non basteranno scartoffie.

E qui si torna al dibattito che utilmente abbiamo fatto con Grillo su queste pagine: la burocrazia. Che i giornali scrivano che “Tria ha ceduto” ci può stare ma non deve essere questo l’atteggiamento dei politici che ora hanno assolutamente bisogno della collaborazione dei burocrati per far funzionare le nuove disposizioni. Quando si va a una distribuzione di risorse di questo tipo, le possibilità di blocco, rallentamento, deviazioni sono infinite, così come quelle di corruzione. L’amministrazione (centrale e locale) deve seguire e controllare, quindi deve esserne convinta e coinvolta. In questo senso è meglio non fare né ironia né trionfalismi previ: la storia della Repubblica è costellata di ottime idee finite male.


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