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Cosa cambia con la direttiva Ue sul copyright? Rispondono Scorza e Da Empoli

scorza

Il disco verde di oggi dell’Europarlamento alla riforma del diritto d’autore “è un momento importante, ma va sfrondato di molta della retorica di queste ore: in una società moderna e connessa, editori e fornitori di servizi digitali non sono in contrapposizione, ma collaborano perché hanno bisogno gli uni e degli altri”.
È cauto Guido Scorza, avvocato e docente esperto di privacy e diritto delle nuove tecnologie, nell’analizzare il passaggio con cui la plenaria di Strasburgo ha dato il via libera – con 438 voti a 226, 39 le astensioni – al mandato negoziale del Parlamento per i colloqui con i ministri Ue al fine di giungere ad un testo definitivo della direttiva (dopo averlo respinto il 5 giugno, gli eurodeputati avevano proposto una vasta serie di emendamenti).

LE DIVISIONI POLITICHE

Il voto ha diviso il mondo politico comunitario e anche quello della Penisola. In un tweet, il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ha definito la direttiva sul diritto d’autore “una vittoria per tutti i cittadini”. Oggi, ha commentato, si è scelto “di difendere la cultura e la creatività europea e italiana, mettendo fine al far-west digitale”. Una visione, quella dell’esponente dei popolari europei e di Forza Italia, contrapposta a quella del Movimento 5 Stelle. Il vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio ha definito la misura come un modo per fare “censura dei contenuti degli utenti su Internet”. Oltre “all’introduzione della cosiddetta e folle link tax”, ha aggiunto il leader dei pentastellati, “la cosa più grave è l’introduzione di questo meccanismo di filtraggio preventivo dei contenuti caricati dagli utenti”.

L’EQUILIBRIO POSSIBILE

Ma la partita, spiega Scorza a Formiche.net, è ancora aperta e potrà portare, col contributo di tutti, a un risultato che soddisfi sia i soggetti economici coinvolti, sia i cittadini. “Quello di oggi è un passaggio decisivo su alcuni principi, ma non sui contenuti del provvedimento. Il trilogo sarà chiamato a fare un prezioso lavoro per bilanciare visioni che sembrano contrapposte, ma che in realtà sono complementari. Cosa farebbero gli editori”, sottolinea il legale, “senza le piattaforme che distribuiscono i loro contenuti? E cosa farebbero senza questi contenuti i fornitori di servizi digitali? Il problema, guardato in quest’ottica, cambia radicalmente”.

CHE COSA CAMBIA

Molte delle modifiche apportate dal Parlamento alla proposta originaria della Commissione europea mirano a garantire che i creativi, in particolare musicisti, artisti, interpreti e sceneggiatori, nonché editori e giornalisti, siano remunerati per il loro lavoro quando questo è utilizzato da piattaforme di condivisione come YouTube o Facebook e aggregatori di notizie come Google News. Questo vale anche per i cosiddetti snippet, dove viene visualizzata solo una piccola parte del testo di un editore di notizie. In pratica, le piattaforme dovrebbero pagare chi detiene i diritti sul materiale, protetto da copyright, che mettono a disposizione. Il testo richiede inoltre espressamente che siano i giornalisti stessi, e non solo le loro case editrici, a beneficiare della remunerazione derivante da tale obbligo di responsabilità.
La semplice condivisione di collegamenti ipertestuali (hyperlink) agli articoli, insieme a “parole individuali” come descrizione, sarà libera dai vincoli del copyright. Le piattaforme dovranno inoltre istituire dei meccanismi rapidi di reclamo (gestiti dal personale della piattaforma e non da algoritmi) che consentano di presentare ricorsi contro una ingiusta eliminazione di un contenuto.
Il testo esclude esplicitamente dalla legislazione le piccole e micro imprese del web, ma anche enciclopedie online che non hanno fini commerciali, come Wikipedia, o piattaforme per la condivisione di software open source, come GitHub.

IL TEMPO PER DISCUTERE

Queste indicazioni, dice ancora Scorza, “possono e devono essere discusse e migliorate. D’altronde è realistico pensare che il testo della direttiva possa compiere tutti i suoi passaggi, se tutto fila senza intoppi, non prima della fine di questa legislatura, ovvero tra un anno. E anche se tutto dovesse rimanere uguale, servirà poi altro tempo perché il provvedimento venga adottato dai singoli Stati membri. Un tempo nel quale anche i colossi del Web dovranno apportare importanti cambiamenti operativi. Insomma”, conclude l’esperto, “i tempi di questo cambiamento non sono immediati e nel frattempo il mondo digitale evolverà ancora in modi che oggi non possiamo assolutamente immaginare”.

I POSSIBILI PROBLEMI

Non mancano opinioni scettiche come quella di Stefano da Empoli, presidente del think tank Istituto per la Competitività (I-Com). “Gli effetti paradossali e potenzialmente contrari ai fini della stragrande maggioranza dei sostenitori dell’attuale testo”, sottolinea a questa testata, “potrebbero essere almeno due. L’impossibilità per le piattaforme di creare gratuitamente link alle notizie apparse su siti di informazione potrebbe sottrarre traffico agli stessi editori e ai rispettivi siti di informazione, a cominciare da quelli più piccoli e meno conosciuti. Fatto già sperimentato in Paesi come Germania e Spagna, che a livello nazionale hanno anticipato alcuni strumenti simili a quello proposto su scala europea. Senza al contempo determinare un effetto significativamente positivo in termini di maggiori vendite cartacee o digitali. Il prefiltraggio dei contenuti, attuato rigidamente ed associato alla responsabilità delle piattaforme”, aggiunge, “rischia di produrre un effetto censura su prodotti perfettamente leciti, limitando l’offerta per i consumatori ma anche la domanda per chi li crea. Già oggi le piattaforme più grandi stanno investendo somme ingenti in strumenti di filtro dei contenuti. Qui sarebbe decisamente preferibile la strada della collaborazione tra Internet company e industria creativa, immaginando un supporto per le piattaforme non in grado di mettere in campo gli investimenti e le soluzioni tecnologiche necessari”. Per da Empoli, “il rischio a questo punto è che, con una guerra tutt’altro che conclusa, l’esito della battaglio di oggi sia una vittoria di Pirro, che allontana una reale risoluzione dei problemi, che dovrebbe essere lasciata primariamente al mercato e agli accordi tra imprese”.

LA COLLABORAZIONE CHE SERVE

Sia Scorza sia da Empoli identificano ad ogni modo la via maestra nella collaborazione tra i soggetti in causa, più che in regole stringenti e vincolanti, spesso già vecchie una volta entrate in vigore a causa della velocità dei cambiamenti tecnologici.
Una delle best practice in questo senso, sottolineano, è l’accordo stretto due anni fa dalla Federazione Italiana degli Editori di Giornale (Fieg) e Google, definito un unicum in Europa pensato proprio per aiutare gli editori nelle sfide che la digitalizzazione impone. Sfide rispetto alle quali, rimarca ancora il presidente di I-Com, “una volta scappati i buoi dalla stalla – i diversi miliardi di ricavi persi, in parte certamente a causa delle nuove possibilità offerte dalla Rete – ed escludendo che possano rientrarvi grazie a un codicillo, un colosso di Internet con il know-how di Google ed editori tradizionali che sempre di più devono diventare editori digitali non solo possono ma devono allearsi. In positivo, ad esempio, per consentire alle imprese editoriali di sfruttare le tantissime informazioni che il web permette di acquisire, ma anche in negativo, per reprimere contenuti illegali. Come già accade nel Regno Unito, facendo virtualmente scomparire dai ranking dei motori di ricerca i link a siti che violino il copyright, segnalati dai titolari dei diritti d’autore)”.



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