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Ecco cosa prevede Goldman Sachs per l’Italia fra manovra, spread ed effetto Tria

L’inversione di prospettiva avanzata dal ministro dell’Economia Giovanni Tria al Forum Ambrosetti di Cernobbio non ha convinto solo la platea di industriali e imprenditori. Anche il mondo della finanza sembra voler dare una chance all’Italia dopo le rassicurazioni del Mef. Con un articolo su Bloomberg questo lunedì Francesco Garzelli, Advisory Director di Goldman Sachs International, una delle più grandi banche d’affari al mondo, sembra avallare la linea Tria: “Il più grande problema del Paese è la crescita anemica. Il Pil pro-capite ha continuato a scendere per decenni, ma riflette soprattutto la rigidità del lavoro e dei mercati dei prodotti, le inefficienze amministrative e legislative, e un’alta tassazione”.

L’esperto di Goldman Sachs prevede un autunno caldissimo. Molto influiranno le pagelle di Moody’s e Standard & Poor’s, dopo che Fitch ha confermato il rating BBB cambiando però l’outlook in negativo. “Un ulteriore declassamento farebbe cadere pericolosamente i titoli di Stato al di sotto dell’investment grade”,  continua Garzelli. Se arriva un altro downgrade l’Italia potrebbe perdere accesso agli investitori istituzionali. Lo stock di debito pubblico da smaltire non fa ben sperare. “La situazione è drammatica. L’Italia è una delle economie avanzate con il debito più alto. Circa il 20% è nelle mani di Bankitalia e il 50% ai privati italiani, per lo più istituzioni finanziarie. Ma non è soltanto un problema locale. I non residenti detengono circa 800 miliardi di dollari di titoli di Stato italiani, una cifra non molto inferiore all’ammontare di debito tedesco al di fuori della Germania”.

Per sostenere un debito pubblico così oneroso l’Italia ha sempre cercato di mantenere un avanzo primario di bilancio. Tria vuole continuare su questa strada – scrive l’economista di Goldman Sachs – ma per farlo avrà bisogno di risollevare la crescita. Secondo l’economista la legge di bilancio di Tria dovrebbe prevedere per il 2019 un avanzo primario dell’1,9% e un deficit corrente del 2,1%, simile alla media del biennio 2015-2017.  Il contratto di governo indica diverse soluzioni. Troppe, secondo l’esperto. “In teoria, i Cinque Stelle e la Lega sembrano più economicamente audaci rispetto ai predecessori. Le possibilità includono una grande riforma del reddito di inclusione e un taglio delle tasse sulle imprese. In pratica, il loro desiderio per guadagni politici veloci, e spesso conflittuali, potrebbe spingere i due partiti in direzioni diverse. Entrambi sostengono che correranno separati alle prossime elezioni e il mix di iniziative rischia di mettere troppa carne al fuoco”. Il crollo del ponte Morandi a Genova, peraltro, ha riportato l’attenzione su un’emergenza che dovrà trovare spazio nella legge di bilancio: il rilancio delle infrastrutture. La spesa netta nel settore, si legge su Bloomberg, “è il 60% rispetto ai livelli pre-crisi del 2008”. Non sarà facile intervenire sulle grandi opere, vista la resistenza dell’elettorato pentastellato: “l’ostilità verso le opere pubbliche, soprattutto interna ai Cinque Stelle, assieme ai rischi amministrativi e alla resistenza politica locale, rende difficile immaginare un decollo degli investimenti”.

C’è poi il capitolo spread, che angustia non poco via XX settembre. A Cernobbio Tria si è augurato un calo per la settimana a venire. Questo lunedì mattina c’è stato un riscontro positivo: buona l’apertura di Piazza Affari, lo spread cala a 253 punti e il rendimento decennale dei Btp rimane sotto il 3% (2,93%). È ancora troppo poco per Goldman Sachs. Secondo una ricerca della banca d’affari americana per raggiungere il “valore ottimale decennale” lo spread deve scendere al livello pre-elezioni del 4 marzo, cioè intorno ai 150 punti base. Se invece il differenziale fra Btp e Bund dovesse rimanere fra i 250 e i 300 punti base per il prossimo anno, “l’Italia spenderebbe 4-5 miliardi di euro in più rispetto a quanto pagherebbe con uno spread a 150. Una cifra che potrebbe essere usata per aumentare la spesa nelle opere pubbliche del 10-15%”.

Non è tutto. L’intervento della manovra di Tria sulla politica fiscale potrebbe stabilizzare lo spread intorno ai 200-250 punti base, ma “non risolverebbe il problema nel medio termine”. Con un aumento dei rendimenti Bund dell’1% previsto per il 2019, uno spread di 200 punti base si tradurrebbe “in un rendimento a dieci anni dei titoli di Stato italiani che supera il 3%”. Un aumento dei rendimenti di questo tipo può essere tollerato solo “con un approccio più severo al debito” e “una crescita sostenuta”, spiegano da Goldman Sachs. “La coalizione deve migliorare l’outlook di crescita” – conclude Garzelli – “ma per il momento non sembra ci siano le condizioni”.

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