Da un partito antisistemico come il Movimento 5 Stelle non ci si può aspettare la completa istituzionalizzazione, ed è per questo che le parole di Rocco Casalino, portavoce del presidente del Consiglio Conte, non suonano strane all’orecchio di Massimiliano Panarari, docente della Luss Guido Carli e consulente di comunicazione politica e pubblica. Non stupiscono, ma certamente preoccupano. Questo episodio, spiega Panarari, è “fonte di preoccupazione e di inquietudine rispetto al quadro istituzionale e al tema della convivenza tra tecnici e politici”, soprattutto tenuto conto della situazione delicata in cui si trova l’Italia.
Intanto, il governo guidato da Di Maio e Salvini continua la sua luna di miele con i cittadini. Ma a cosa è dovuto questo successo? E perché la Lega di Matteo Salvini continua a crescere senza fermarsi, mentre il Movimento sembra aver registrato una battuta di arresto? Lo abbiamo chiesto al professore della Luiss, secondo cui i due partiti di governo devono ancora affrontare le vere sfide politiche su cui l’opinione pubblica potrebbe cambiare idea…
Professore, ha visto gli ultimi sondaggi politici sul gradimento del governo? Il governo gialloverde è ancora al 60% dei consensi. Da cosa dipende?
Sono una molteplicità di fattori: il primo è sicuramente che siamo in presenza di un’onda lunga di luna di miele, dal momento che i due partiti partner di governo sono stati votati da un amplissimo settore dell’opinione pubblica italiana e riescono a mantenere una campagna elettorale permanente che rinfocola e il consenso proprio in senso propagandistico e di annunci. Al tempo stesso, il tema dell’immigrazione, che ha giocato moltissimo dal punto di vista del consenso in particolar per la Lega. Su questo Matteo Salvini ha mostrato tutta la sua dimensione muscolare e quindi dal punto di vista comunicativo si è rivelato, ancora una volta, un eccellente comunicatore, riuscendo a tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica su questo tema in maniera quasi esclusiva.
Il secondo fattore, invece?
L’altro elemento è che, sempre nella direzione dell’ampio consenso che il clima d’opinione certifica, non sono arrivati al pettine ancora i nodi. Non siamo ancora al Def, non successe cose tali da mandare in risonanza l’opinione pubblica rispetto ai due partiti di governo. In fine è evidente che non c’è opposizione dal punto di vista politico e parlamentare. La debolezza e la fragilità dell’opposizione è impressionante e tutto questo fa sì che dal momento che non esiste un’alternativa convincente coloro che non la pensano come gli esponenti di questo governo all’interno dell’opinione pubblica siano disorientati e non si possa coagulare un’area di opinione alternativa significativa.
Gli stessi sondaggi dicono che la Lega è oltre il 30% mentre il Movimento è in calo. Cosa sta pagando, in questo momento, il M5S?
Naturalmente i sondaggi di opinione – che restano pur sempre volatili, soprattutto in questo momento storico – registrano un’avanzata della Lega. Quello che paga il Movimento 5 Stelle è l’assenza di una piattaforma politica chiara e unitaria e il patchwork di misure di destra e di sinistra e di centro è la loro piattaforma post-ideologica. La piattaforma della Lega è chiaramente di destra, radicale e populista e quindi quando si passa dalla campagna elettorale – che continua ad esserci e in cui anche il Movimento è formidabile dal punto di vista comunicativo – alla dimensione dell’individuare e di dare un segno alle policies, almeno virtualmente, è chiaro che l’egemonia leghista si impone perché queste misure sono chiare e anche naturalmente molto semplificate. Invece . Quando si passa dalla campagna elettorale alle policies è chiaro che l’egemonia leghista si impone. Ci sono dei temi forti, insomma, dall’immigrazione alla flat tax, nell’agenda leghista, mentre l’unica nota dominante in termini di policies di M5S, ossia il reddito di cittadinanza, sconta tutta una serie di problemi.
A cosa si riferisce?
Ci sono problemi di praticabilità, prima di tutto, ed è questa non a caso l’urgenza che Di Maio sottolinea nella richiesta, che forza anche i conti pubblici, al ministro Tria. Di Maio si rende conto del fatto che l’argomento – non dimentichiamo che il Movimento ha costruito il suo successo elettorale nell’invocazione dell’onestà e della bonifica della vita pubblica – nel momento in cui si va al governo non è più sufficiente. Questo non significa che il Movimento 5 Stelle stia subendo un crollo, tutt’altro, ma è chiaro che ci sono dei piccoli smottamenti che segnalano come il politico maggiormente in palla sia Salvini e non Di Maio
Salvini, invece, continua a crescere e non contento di governare con i 5 Stelle si ricompatta con il centrodestra per le regionali. Un comportamento inedito?
Nella storia politica nazionale è successo molto spesso, e questa possibilità è tanto più rilevante quanto più la legge elettorale è di tipo proporzionale, che consente insomma di variare le geometrie. In questo caso “il doppio forno” è un altro segnale della capacità politica di Salvini, del suo essere un professionista della politica. Lo sono anche i 5 stelle, ma su un tempo storico molto più corto. Salvini sa che serve un’exit strategy, un’alternativa, delle possibilità nella contrattazione politica di avere le mani libere o avere degli altri margini. Ma c’è anche un’altra cosa.
Prego.
Se volessimo leggere le dichiarazioni degli attori politici nella congruenza tra le parole e i fatti, cosa che non accade sempre ma in questo caso se volessimo rimanere alla lettera delle cose ambedue hanno sempre dichiarato di non avere un’alleanza politico-organica ma di avere una convergenza di interessi e interpretare un comune orientamento populista e antisitemico offrendo poi uno sbocco politico sicuramente sofferto che conferma come la loro non sia una prospettiva organica. L’altro elemento fondamentale è la gestione del potere che è un cemento per chi lo esercita, ma dall’altra c’è la scommessa della riconfigurazione del sistema politico nel quadro di un bipolarismo futuro di cui vogliono essere i soggetti competitivi e naturalmente, verosimilmente, diventeranno competitivi.
E il ruolo del centrodestra, in tutto questo?
L’egemonia leghista significa una riscrittura della piattaforma politica nella direzione di un soggetto potenzialmente unitario in cui si ribalta il centro-destra a destra-centro. Poi anche Berlusconi non è mai stato davvero un moderato, possiamo chiamarlo un estremista di centro, per certi versi. Ma quello che si sta configurando è che il centrodestra, che a livello locale ha una tradizione molto strutturata, non può rischiare di mettere in discussione alleanze che durano da decenni, sta configurando l’egemonia dalla parte della piattaforma politica, della Lega. I berlusconiani devono accodarsi, e questo segnala l’inquietudine di persone che hanno un profilo autonomo e hanno fatto una scommessa politica su un profilo più liberal-moderato, più filo-europeo, come naturalmente Antonio Tajani.
Questo governo, però, è guidato formalmente da Giuseppe Conte: si è spesso ironizzato sul suo silenzio, lei cosa ne pensa?
Mi sembra evidente quel che fin dall’inizio era piuttosto chiaro: ossia che il presidente del consiglio, contrariamente a una lunga tradizione istituzionale e costituzionale italiana, diventa una figura notarile che deve mediare, non è il primo attore, seppure il primus inter pares dal momento che siamo sempre in una repubblica parlamentare, ecco in questo caso si tratta del mediatore tra i due vicepremier che rappresentano il primato della politica e il primato partitico all’interno del governo e che, rappresentando bacini elettorali diversi, hanno bisogno di una figura che faccia da mediatore. In questo caso è ricoperta da un soggetto riconducibile a M5S perché, non dimentichiamolo, le urne del 4 marzo hanno consegnato dei rapporti di forza in cui il Movimento 5 Stelle era stata votato molto di più della Lega. Nel professor Conte, che è un importante ordinario, figura adusa a frequentare gli establishment, che ha un suo galateo istituzionale, c’è un’interpretazione istituzionale del suo ruolo, anche perché i margini non sono molto più ampi e la conferma del primato dei partiti sta anche nella conferma che il loro portavoce è il deus ex machina del Movimento 5 Stelle. Il premier è un professore ordinario importante, parla le lingue – cosa tutt’altro che scontata – è una figura accademica di rilievo, insomma una persona iper presentabile nei consessi internazionali, dove cerca anche di costruire relazioni personali in una chiave di diplomazia personale, ma è totalmente inserito in un quadro politico, in una gabbia, in cui c’è un primato dei partiti che viene ribadito costantemente. Per forze politiche che hanno costruito la propria forza sulla retorica anti-partitocratica le loro fortune elettorali ci restituiscono l’ennesimo paradosso post- moderno e l’ennesima contraddizione all’interno di questo quadro politico.
Oggi sui giornali si è parlato molto di un messaggio vocale in cui Rocco Casalino, il portavoce del presidente del Consiglio, parlando con dei giornalisti suggeriva di diffondere la notizia di una “megavendetta” contro il ministero dell’Economia da parte di M5S, colpevole, il Mef, di ostacolare i progetti del governo. Lo stesso Casalino ha poi sottolineato che si trattava di una conversazione privata, e ha poi raccolto la solidarietà del Movimento intero e del premier Conte. Un attacco di tale portata era mai successo prima?
Questa non è una novità, Casalino è una figura extraistituzionale, era il capo della comunicazione di un partito politico – un partito non-partito perché ci sono delle geometrie non codificate anche nei ruoli interni al Movimento – ma questo conferma che la comunicazione è il potere, l’elemento centrale a cui ruota la vita del Movimento 5 Stelle. Non è nuovo usare delle espressioni muscolari, l’ha fatto anche in altri casi, c’è evidentemente una voglia di purghe che serpeggia, che va al di là della dimensione dello spoils system consentito dal nostro ordinamento, e c’è questa continua volontà di forzatura istituzionale che è tipica di una forza politica antisistemica che nel momento in cui entra nelle istituzioni si prefigge per un verso delle velleità rivoluzionarie e per l’altro interpreta – con quell’atteggiamento di diffidenza che arriva al complottismo tipico della retorica del Movimento 5 Stelle – tutti quei limiti che vengono invece considerati dal Movimento come un tentativo di fare sgambetti o contenere una forza politica. Siamo in un quadro grave.
In che senso?
Siamo in un quadro in cui il galateo istituzionale che dovrebbe invece ispirare le attività e le azioni di una forza politica appena va al governo è sempre molto stiracchiato è sempre molto forzato. Aggiungiamo poi l’enorme differenza rispetto alla Repubblica dei Partiti in cui la dimensione dello scrupolo istituzionale era essenziale indipendentemente dalla forza politica, era il galateo istituzionale che conformava le forze politiche, adesso ci ritroviamo di fronte a una grandissima capacità comunicativa – Casalino è un professionista molto capace in grado di utilizzare anche la disinformazione, che ha un curriculum figlio della post modernità che l’ha visto fare il Grande Fratello e trasporta all’interno della politica una serie di coordinate sempre più evidenti e forti che hanno riscritto la mentalità e il quadro dei comportamenti politici che sono congruenti con una trasformazione che attualmente vediamo. E che io considero, di nuovo, fonte di preoccupazione e di inquietudine rispetto al quadro istituzionale e al tema della convivenza tra tecnici e politici.
C’è un rischio nell’equilibrio tra le forze che compongono l’assetto democratico?
C’è una volontà di forzare le competenze reciproche e quelle che devono essere necessariamente gli equilibri tra la burocrazia, la tecnica e la politica. Che è tipico di una forza antisistemica che nel momento in cui va al governo non assume l’atteggiamento di compatibilità ma considera i limiti dei vincoli e considera le regole degli lacci e laccioli. Non è solo il Movimento 5 Stelle, si è verificato anche in passato ad esempio con Forza Italia, ma la sua istituzionalizzazione ha delle caratteristiche necessariamente diverse. L’istituzionalizzazione del Movimento 5 Stelle è invece un tema che si riapre: l’istituzionalizzazione, probabilmente, non si è verificata, o è un processo incompiuto che gli stessi vertici del Movimento non vogliono compiere.