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Da Ravenna ecco l’endorsement per Zingaretti

Nicola Zingaretti è la persona giusta: ci conosciamo da tanti anni, sono convinto che con la sua leadership il Pd possa riuscire a rilanciarsi“. Tra i sostenitori del presidente della Regione Lazio, già in corsa per la segreteria del Partito Democratico, c’è anche il sindaco di Ravenna, classe 1985, Michele de Pascale, che ha deciso di schierarsi apertamente al fianco di Zingaretti mentre ancora, nel resto del partito, prevalgono i tatticismi e l’attendismo.

I motivi della sua scelta, De Pascale, li ha spiegati in questa conversazione con Formiche.net nella quale ha anche indicato la strada a suo avviso da seguire per rimettere in carreggiata il Pd dopo la batosta elettorale e la nascita del governo gialloverde. A partire da una considerazione di fondo: la critica serrata alla gestione del post-voto da parte dei vertici del partito: “È comprensibile una fase di spaesamento modello pugile che scende dal ring dopo aver perso un incontro di box. Ma non è accettabile che sia mancata in tutti questi mesi, molto colpevolmente, un’analisi seria e rigorosa di quelle che sono, secondo noi, le ragioni della disfatta. E di cosa si vuole fare e cambiare per invertire questo giudizio negativo espresso dagli italiani nei nostri confronti“.

Di fatto mesi persi in attesa di non si sa cosa?

C’è stato un tentativo di rimozione del risultato. E l’illusione che dopo una sconfitta del genere il nostro rilancio dipendesse dai successi o dagli insuccessi del nuovo governo. Non funziona così. I potenziali fallimenti di questo governo, oltre a non essere augurabili – non si può sperare che il proprio Paese vada male – non determineranno automaticamente il ritorno del Pd. Ci sono in tutta Europa forze politiche, di diverso colore, che si sono direttamente estinte.

Addirittura esiste questo rischio?

Voglio dire che la nostra ripartenza non è un fatto da dare per scontato . Ma ovviamente non dobbiamo essere pessimisti. Siamo pur sempre una forza politica che conta sul consenso di quasi un quinto degli italiani, che ha un gruppo dirigente diffuso in tutto Italia e che amministra centinaia tra Comuni e Regioni. Il Pd è in difficoltà – non si può negare – ma ha tutte le carte in regole per potersi rigenerare.

In questo contesto come si inquadra la candidatura di Zingaretti alla segreteria del Pd?

Al di là dei contenuti, la sua iniziativa ha avuto il grande merito di riaprire il dibattito nel centrosinistra. Solo un pazzo può pensare che in una situazione come questa basti il congresso a rimettere in carreggiata il Pd, ma è anche vero che per iniziare a risolvere i nostri problemi dobbiamo chiarire la direzione in cui intendiamo procedere. Altrimenti continueremo a girare a vuoto. Il congresso rappresenta solo l’inizio del lungo lavoro che ci attende. Non si recupera la fiducia di milioni di cittadini in due mesi: occorrono fatica, umiltà, competenza, proposte intelligenti. In questo senso chi si oppone all’avvio di questa discussione fa un grande danno all’Italia.

Però sembra che nel partito siano tutti d’accordo sull’esigenza di andare a congresso. Non è così? 

Quando vedo che tutti sono d’accordo ma che poi le cose non si fanno, mi preoccupo: vuol dire che chi è contrario non si sta esprimendo. La franchezza è sempre meglio.

Dal suo punto di vista prima è e meglio è, giusto?

Assolutamente, penso che avrebbe dovuto concludersi entro quest’anno mentre con l’avvio programmato a fine ottobre terminerà nel 2019. Ricordo che a maggio dell’anno prossimo si svolgeranno le elezioni europee e comunali e che ci sono ancora nodi fondamentali da affrontare. Occorre chiarire la nostra proposta prima di imporla nell’agenda pubblica. Che modello di sviluppo proponiamo? Qual è la nostra posizione sulle politiche energetiche? Cosa vogliamo fare sulla sanità? Senza una visione chiara, non c’è speranza di incalzare il governo.

In questo senso non rileva, almeno in parte, quanto fatto nei cinque anni passati al governo?

In alcuni casi è giusto rivendicare il buon lavoro degli anni di governo ma in altri dobbiamo avere il coraggio di modificare la nostra linea, perché si è dimostrata sbagliata. E dove lo facciamo questo? In una franca e seria discussione e, magari, pure con un nuovo gruppo dirigente. Solo in Italia può accadere che una forza politica vada a elezioni, subisca una sconfitta come la nostra e non si ponga il tema di mettere in campo, in prima fila, una ventina di persone nuove.

Ma della candidatura di Zingaretti cosa pensa? 

Penso che Zingaretti sia la persona giusta per guidare il Pd. Per diverse ragioni. Ci conosciamo da tanti anni, sono convinto che con la sua leadership il Pd possa riuscire a rilanciarsi.

Perché?

Perché ha dimostrato di saper dire la propria opinione senza seguire le mode del momento. Ed è sempre stato molto leale – nessuno può ricordare azioni o atteggiamenti di auto-sabotaggio da parte sua – e sincero nell’esprimere le sue opinioni. E poi nel Lazio ha dimostrato di avere un profilo di buon governo e di essere in grado di far convivere le diversità.

E poi?

E’ un esponente politico che ha sempre vinto. Anche quando il partito ha perso. E’ accaduto nel 2008 ai tempi della corsa a presidente della provincia di Roma, nel 2014 quando è diventato presidente della Regione e anche lo scorso 4 marzo. Un aspetto non scontato: di bravi ne abbiamo tanti, ma di bravi che prendono anche i voti molti meno.

Alla Festa dell’Unità di Ravenna – dove Zingaretti ha chiarito i contorni della sua candidatura – avete avuto modo di confrontarvi. Cosa vi siete detti?

Ho consigliato a Nicola di partire il prima possibile con un grande giro in tutti i territori italiani. A mio avviso una delle chiavi da cui ripartire è questa. Come ha detto il sindaco di Brescia Emilio Del Bono, il Pd ha due grandi terreni di recupero: innanzitutto l’elettorato del MoVimento 5 Stelle, che proviene più da sinistra, in sofferenza per quest’alleanza con l’estrema destra di Matteo Salvini. Ma ce n’è un altro: il Nord Italia storicamente vicino alla Lega che aveva da sempre rappresentato un partito territoriale, federale, vicino allo sviluppo e alle imprese ma che ora sta facendo scelte in totale controtendenza. E’ fondamentale che Zingaretti mandi subito un messaggio in questo senso.

Com’è stato l’avvio della sua campagna elettorale?

Le prime due parole che ha usato sono state crescita ed equità: sulla seconda c’è una credibilità storica che il centrosinistra deve recuperare mentre sulla prima ci sono terreni vergini da andare a conquistare. A Ravenna Zingaretti lo ha chiarito molto bene: il tema dello sviluppo economico sarà determinante nella sua proposta politica. Parlare di redistribuzione della ricchezza senza produzione di nuova ricchezza è un esercizio retorico. L’ho trovato molto convinto di ciò. E poi bisogna dargli una mano, perché la cifra deve essere quella di una squadra.

Anche in controtendenza con quanto accaduto nel recente passato del Pd…

Il centrosinistra in questo momento esprime alcune sindaci di grande valore, ho citato Del Bono ma penso anche a Beppe Sala che ha speso recentemente parole lusinghiere verso Zingaretti. Penso che il Pd debba saldarsi a queste esperienze.

La preoccupa che Zingaretti sia sempre stato, finora, un politico locale?

A parte che è stato parlamentare europeo, di politici molto conosciuti e molto spendibili faticherei a fare un lungo elenco. Le figure che hanno avuto grande popolarità in questi anni sono quasi tutte molto logorate nell’opinione pubblica. Non essere stato sovraesposto in questi anni dal punto di vista mediatico, a mio avviso, è una grande opportunità: Zingaretti ha le carte in regola per rendere questa sua nuova proiezione nazionale un valore per il Pd.

Lei ha parlato di ex elettori di centrosinistra che alle ultime elezioni hanno votato M5s. Come si recupera il loro consenso?

Il primo elemento è la fiducia, che viene prima di tutto il resto. Se non mi fido di una forza politica, non l’ascolto neanche. Se il Pd non abbandona una certa saccenza e arroganza nel relazionarsi con i cittadini e se non riacquista un volto più umano e più amico delle persone, difficilmente riuscirà a invertire la rotta. Dobbiamo innanzitutto riconquistare la fiducia degli elettori.

E il rapporto con il MoVimento 5 Stelle invece? A Ravenna il presidente della Camera Roberto Fico è stato applaudito…

A me interessa soprattutto parlare con le persone che hanno votato MoVimento 5 Stelle e che non torneranno da noi solo perché i pentastellati hanno fatto l’alleanza con Matteo Salvini. Torneranno a votare centrosinistra solo se saremo in grado di dire qualche parola nuova. E pure a dirla con qualcuno di nuovo.

A questo proposito, cosa ne pensa del ruolo centrale che Matteo Renzi continua ad avere nel Pd?

Soprattutto nella sua prima fase, Renzi ha rappresentato un importantissimo valore per il Pd. Davvero, una fondamentale iniezione di energie fresche di cui c’era un disperato bisogno. Ma dopo è avvenuto il contrario, la sua gestione è stata troppo personalistica e divisiva. In ogni caso non dobbiamo fare l’ennesimo congresso tra renziani e anti-renziani.

Però sembra che possa profilarsi proprio una sfida del genere? 

Attualmente il consenso di Renzi non è ampio, ma chi lo sostiene lo fa con forza e decisione. Io penso comunque che sia vittima di una lunga malattia italiana per la quale i numeri uno, dopo essere stati tali, continuano a voler esercitare una funzione di guida politica. Peraltro, si iscrive a un lungo elenco di suoi predecessori.

Dopo la batosta del 4 marzo avrebbe dovuto fare un passo indietro più netto?

Ne sono profondamente convinto. E non ne faccio un fatto personale perché è una colpa che hanno avuto in tanti prima di lui. Abbiamo leader politici che prima di smettere vanno sotto il 5%: è successo a Francesco Rutelli, a Massimo D’Alema, a Pierluigi Bersani. Da questo punto di vista penso che Romano Prodi e Walter Veltroni rappresentino un modello diverso

Eppure il Pd e il centrosinistra aspettano che Renzi esprima il suo candidato alla segreteria del partito. E’ un’attesa che la preoccupa?

Il tema non dovrebbe essere chi presenta Renzi in alternativa a Zingaretti. Perché farsi candidare? C’è qualcuno che ha qualcosa da dire? Per dirlo ha bisogno che sia Renzi a battezzarlo come i cavalieri della tavola rotonda con la spada sulla testa? Se qualcuno ha qualcosa da dire, lo faccia autonomamente. Chi si candida a segretario, deve essere indipendente per essere autorevole. Il leader di una forza politica deve mostrare grande autonomia. Questa è stata anche la forza di Renzi.

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