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La nuova crisi libica, tra equilibri geopolitici e nuove rotte migratorie. L’analisi di Valori

Il primo segnale dell’attuale, peraltro malamente sedata, rivolta di Tripoli è stato il colpo di mortaio contro l’albergo Al Waddan, vicinissimo alla ambasciata italiana a Tripoli. La tregua siglata il 3 settembre 2018 dalla Commissione di Riconciliazione libica, composta di membri da Tarhouna, Zintan, Tripoli, Misurata, Zawia consiste in un cessate il fuoco e nell’entrata a Tripoli di una “forza neutrale” composta da membri delle zone militari centrale e occidentale. La Settima Brigata l’ha subito rigettata e altri gruppi armati continuano, sporadicamente, i combattimenti. Senza una protezione forte del Gna esterna alla Libia, e quindi senza presenza militare credibile in quel Paese, non si darà quindi alcuna pace.

Un simbolo, più che un segno, l’attacco all’albergo. L’attuale guerra infra-tribale e tra le varie fazioni è però diretta soprattutto contro il nostro Paese. L’Italia infatti non ha riferimenti stabili per il finanziamento e il comando delle varie fazioni militari locali che, peraltro, oggi si autofinanziano con il controllo delle banche e dei mercati, oltre che degli esercizi commerciali. Abbiamo quindi a che fare con l’autofinanziamento delle fazioni, che non cesserà certo a breve. Intanto, il Daesh-Isis opera ancora nelle città strategiche per il petrolio, con piccoli gruppi di jihadisti che hanno oggi la loro base nelle città al confine meridionale della Tunisia e nel Chad. Non sono più interessati all’occupazione stabile del territorio, quelli dell’Isis, ma alla destabilizzazione con azioni di guerriglia. Intanto, nella guerra di tutti contro tutti si affaccia il 604° Battaglione dei madhkalisti, una setta islamica di tipo salafita fondata da uno shaikh al Madkhali, saudita, che fu invitato in Libia proprio da Gheddafi, per creare un contrasto dottrinale con la Fratellanza Musulmana. Anche un figlio di Gheddafi, Saadi, è oggi legato alla confraternita madkhalita. Nell’attuale equilibrio militare, però, la organizzazione che fa capo a Khalifa Haftar, è arrivata a controllare, direttamente o indirettamente, il 70% del territorio libico. Le truppe di Misurata sono oggi, in gran parte, legate a Haftar; ma il governo di Tripoli, fino ad ora, era capace di esercitare la sua autorità in quella città senza far troppo riferimento alle milizie locali. Ora non più.

Stiamo andando verso la stabile irrilevanza strategica del governo Gna di Tripoli diretto da Al Serraj, che deve pagare le milizie, anche quelle poco fedeli, con i soldi che non ha più. E, quindi, è cessata l’illusione degli ingenui occidentali, che hanno creduto alle “alcinesche seduzioni”, come le chiamava Benedetto Croce, dell’Onu, della democrazia di tipo occidentalista, da esportare nel deserto libico, oppure della pacificazione nazionale, in un contesto di appropriazione sempre più violenta delle sempre più scarse risorse. L’arrivo delle nuove organizzazioni militari tribali a Tripoli è, insieme, un ricatto al governo di Al Serraj, che pure dovette arrivare dal mare a Tripoli perché sapeva che all’aeroporto di Mitiga sarebbe stato ucciso; e inoltre una ricerca di aree della capitale per esercitare il taglieggio e la tassazione impropria sulle attività bancarie, commerciali, produttive. Non vi è quasi mai ideologia, nelle mosse delle “brigate” di una infinita guerra privata, alla base c’è solo il controllo dei vari mercati illegali, che sono ormai la gran parte dei mercati veri e propri e dell’economia libica. Non solo la Francia, naturalmente, è tra le responsabili delle nuove sommosse, anche se il ministro degli esteri di Parigi Le Drian ha visitato Misurata e Tripoli il 23 luglio 2018. L’emissario di Emmanuel Macron ha incontrato Al Serraj, i maggiorenti del suo regime, infine Khalifa Haftar e anche qualche maggiorente di Misurata. È probabile che gli uomini della brigade Action dei Servizi di Parigi abbiano anche conferito al capo delle forze di Misurata e a quello della brigata di Zintan un notevole sostegno finanziario cash. Intanto, i dirigenti dell’Operazione Dignità di Haftar affermano che i Servizi italiani, turchi e del Qatar “mirano a far saltare la pace in Libia e nell’ oil crescent”; mentre i Servizi turchi continuano il loro lavoro di copertura dei trasporti di contrabbando del petrolio libico dalle coste della Cirenaica. Erdogan ha programmato da tempo una “espansione africana” della Turchia, tra Etiopia, Sudafrica, Tunisia, Libia e Marocco, malgrado i pessimi rapporti attuali con il governo Gna di Al Serraj e i rapsodici scontri con Haftar. Non c’è solo la Francia, quindi, a destabilizzare la già distrutta Libia.

I Servizi di Arabia Saudita e degli Emirati sostengono peraltro l’Lna di Haftar, silenziosamente, mentre le intelligence del Qatar e della Turchia, con eguale riservatezza, sostengono debolmente il governo di Tripoli. L’intelligence del Qatar, poi, ha spesso operato nell’est libico, dopo la rottura dei rapporti diplomatici tra l’emirato e il governo di Al Bayda; ma con le tribù Toubou e Tuareg ha recentemente mediato un accordo, a Doha, tra esse e il governo di Al Serraj. Che, immaginiamo, apprezza molto gli “aiuti” generosissimi dell’Emirato. Ma Emmanuel Macron ha soprattutto un’altra idea: egemonizzare la frazionata Libia per controllare il mercato europeo dell’energia, il che vuol dire dominare l’economia UE, poi controllare la sicurezza del Mediterraneo, dalla sua principale costa Sud, poi ancora eliminare l’Italia e la sua Eni, per poi venderla a prezzi di realizzo alla sua TotalFinaElf, chiudere infine, con il controllo della Libia tutto il suo “quadrato” di Paesi che usano il Franco Cfa, un “quadrato” che avrebbe finalmente un accesso facile ai mercati Ue. Mediato sempre da Parigi. Per non parlare poi del progetto di Macron di creare una nuova egemonia anche verso la Germania, chiusa nel suo guscio terrestre, costretta a un rapporto ineguale con la Federazione Russa, inoltre emarginata dal nuovo equilibrio mediterraneo della sicurezza europea, sotto il futuro, prevedibile, controllo francese. Senza la Libia, non vi è pieno controllo, da parte di Parigi, delle 14 ex-colonie che usano, a loro danno, il Franco Cfa. Ma, tornando alle tensioni sul campo, si sono contate fio ad oggi oltre duecento vittime, con la rivolta della Settima Brigata di Tarhouna contro il governo di Al Serraj, mentre lo stesso leader di Tripoli, sempre più debole e isolato, è stato costretto a chiedere il sostegno al suo governo (e alla sua persona) delle milizie di Misurata, tradizionalmente legate ad Alba Libica, milizia che controlla anche oggi quasi tutte le città costiere fino al confine con la Tunisia.

E che ha molto a che fare con il “mercato” delle migrazioni illegali. Ma chi sono davvero i miliziani della Settima Brigata? Sono soprattutto gli uomini di Rahim al-Khani. Egli fa capo, fin dall’inizio, al governo di Al Serraj e collabora anche con la 22° Brigata, che fa riferimento invece al ministero della Difesa del Gna di Tripoli. Mentre la Settima Brigata ha preso recentemente possesso dell’aeroporto di Mitiga, la Brigata di Al Samud al Salah al Badi, figura legata ad Alba Libica, vecchia rete della Fratellanza Musulmana, ha preso invece possesso della base militare di Hamza, che è vicinissima ai depositi di petroli vicini a Tripoli. Una operazione coordinata, tesa evidentemente a chiudere la capitale del Gnain una morsa. L’obiettivo, sia ben chiaro, non è quello di spodestare definitivamente Al Serraj, che è troppo debole per fare paura, ma di sostituirsi alle “brigate” che oggi organizzano il racket a Tripoli. Non vi è allora nessuna vera linea politica in questi gruppi, c’è solo il controllo del petrolio e dei suoi traffici e, inoltre, l’organizzazione del “pizzo” da far pagare alle banche e agli esercizi commerciali di una determinata zona. Oggi, il “pizzo” arriva alle sole “brigate” e non sostiene più le forze militari legate al regime del Gna di Al Serraj. Tutto qui. E il governo del Gna non ha i soldi per sostenere le brigate storicamente a lui fedeli. Ecco il problema. Ed è infatti a questo punto che Al Serraj ha chiamato a sostenere il suo governo anche i “Rivoluzionari di Tripoli”, guidati da Haytam al Tajuri, le milizie Wasi, guidate da Mustafa Qadur, e i membri della brigata Ghanduia, diretti da Abdel al Khakli. Tutte forze, peraltro, di scarso addestramento e di ancor minore armamento. Quindi, alla fine, Al Serraj è stato costretto a richiamare in gioco proprio le milizie di Misurata, il cui capo è oggi ministro della Difesa del Gna. Ma l’uomo mandato da Al Serraj a Misurata, il generale Mohammed Al Haddad, è poi sparito senza lasciare traccia. C’è, molto probabilmente, la mano di Haftar in tutto questo concitato affastellarsi di fatti. Il capo militare delle forze di Tobruk, Haftar appunto, vuole soprattutto avere l’appoggio della tribù Warfalla, tra le maggiori della Libia; e anche della tribù Tarhouna, da cui sono tratti proprio gli uomini della Settima Brigata e che, comunque, rappresenta l’origine tribale di almeno un quarto della popolazione di Tripoli.

Agenti dei servizi egiziani e dell’Operazione Dignità di Haftar sono ormai di casa a Tripoli e nelle altre aree controllate dal Gna di Al Serraj; ed è molto probabile che, in un prossimo futuro, qualche tribù maggiore non passi dal Gna di Tripoli alle forze di Tobruk. Sarà soprattutto una questione di pagamenti alle varie “brigate”; e ci risulta che i Servizi francesi, egiziani, algerini e britannici stiano creando una nuova rete finanziaria tra le “brigate”, destinata a cambiare, alla fine, la dislocazione delle forze in campo. Anche l’Italia ha la sua politica locale, tra le infinite milizie libiche. Qualche milizia è a noi legata, ma è pagata anche da altri. Il che non è certo un bene. C’è chi dice, da noi in Italia, che occorrerebbe avere
rapporti migliori con Haftar, ma chi scrive ritiene che un rapido cambiamento di rotta non sia in linea con i nostri interessi. Il capo delle forze di Tobruk ha già molti sostenitori forti e antichi, quali la Francia e la Federazione Russa, mentre a lato di Al Serraj siamo rimasti noi italiani e gli Stati Uniti. Ci sarà poi da studiare la configurazione della nuova base russa in Cirenaica, che cambierà tutte le carte del gioco libico, e non solo libico. Per quanto poi sia risibile la retorica trita dell’unico governo libico “riconosciuto dall’Onu”, dalla parte di Tripoli noi abbiamo ancora un grande spazio di manovra, mentre da quella di Haftar saremmo gli ultimi, i più piccoli, peraltro degli ex-nemici. I dilettanti allo sbaraglio nel Governo italiano, invece di imitare la Russia, e di dare sostegno all’Egitto senza niente in cambio, dovrebbero creare una egemonia nostra nell’area del Gna. La questione, infatti, del ritiro dell’ambasciatore Perrone, che non piace a Tobruk, è già un segnale di debolezza e di indecisione. Per non parlare del fatto che la tensione libica sta innescando una ennesima crisi tra i nostri Servizi e il governo. I nostri Servizi, peraltro, hanno finora lavorato bene in Libia, anche se hanno a che fare con una classe politica inetta e del tutto incapace di pensare una qualche politica estera. Al Serraj non è un uomo forte, da solo, ma comunque il suo governo non è affatto trascurabile. Il suo vice, Ahmed Majteeq, già primo ministro del Gna per breve tempo, viene proprio da Misurata ed è un riferimento inevitabile per le milizie di quella città. Sono state infatti le forze di Misurata a far fuori l’Isis dalla Sirte, non dimentichiamolo.

Un altro importante membro del governo del Gna è Ahmed Al Aswad, uomo proveniente da Zintan, città dalla quale provengono le altre milizie a sostegno di Al Serraj. Poi abbiamo a che fare con Abdelsalam Kajman, uomo della Fratellanza Musulmana e del suo partito tripolino presente nel Gna, quello “della Giustizia e della Costruzione”. Infine, sono da tenere a mente le figure di Mohammed Ammari e di Fathi al Majburi, uomo, quest’ultimo, legato a Jadhran e alle sue antiche “Guardie Petrolifere” fino a quando lo stesso Jadhran non è stato espulso dalle città dell’Est dall’avanzata delle forze di Haftar. Ma, comunque, Tripoli non è mai stata egemonizzata da una sola milizia, mentre le truppe di Misurata e di Zintan, spesso collegate al business dell’emigrazione illegale, hanno come nuovi concorrenti il Battaglione 17 febbraio e quello dei Martiri della Capitale. Entrambe provengono dai monti Nafusa e hanno una buona percentuale di militanti che prima appartenevano alla rete di Al Qaeda in Libia, ovvero il Libyan Islamic Fighting Group. È però dal 2015 che il governo del Gna di Tripoli non può nulla senza il sostegno delle milizie locali. Le due ulteriori organizzazioni militari importanti, a Tripoli, sono quindi divenute i salafiti, la Forza di Deterrenza Speciale, (detta Rada) e le milizie Tajouri. Senza una continua trattativa tra il Gna di Al Serraj e le milizie, a Tripoli come altrove, fin dal 2015 non è possibile alcun controllo del territorio.

E oggi è proprio questo equilibrio tenue tra forze militari “private” e governo Gna è venuto meno. Viene in mente Machiavelli, quando nel Principe consigliava di usare le “forze proprie”. Colpa, però, anche degli ingenui occidentali, che hanno continuato a predicare il verbo democratico mentre la politica libica si trasformava in una guerra per bande e in un sistema economico e parlamentare di tipo mafioso. Alla fine del 2017, Tripoli è già diventata un grande territorio di scontro tra le varie milizie filo-Gna. E di qualche altra “brigata” che, probabilmente, fa già il gioco di Haftar. Già nel maggio di quell’anno, le brigate di Misurata vengono infatti espulse dalla capitale, il che accade da parte della “Brigata Rivoluzionaria di Tripoli” e della Brigata Abu Salim. E quest’ultima è il principale nemico, oggi, del Settimo Battaglione. Misurata sta oggi rientrando a Tripoli, attraverso la Brigata 301 che opera a sud della capitale. La brigata di Misurata, comunque, è ancora tra le più “ricche” del panorama libico, essa infatti viene sostenuta dalle donazioni personali di molti dirigenti del governo libico, poi dal “controllo” delle banche e delle imprese soprattutto petrolifere, infine da una quota che viene estratta dal mercato dell’emigrazione illegale.

Gli islamisti sono oggi ancora forti; e peraltro su tutto il territorio libico: se gli sciocchi occidentali li useranno contro qualcuno, sarà la fine. Loro e anche della Libia. I gruppi jihadisti maggiori sono già noti: Ansar al Sharia, Al Qaeda in the Islamic Maghreb, Aqim, il “Consiglio Rivoluzionario della Shura di Bengazi”, e il “Consiglio dei Mujahiddin della Shura di Derna”. L’Isis, è noto, ha controllato le città della costa, Derna e la Sirte, fin dal 2014. E oggi è stato eliminato dalle forze di Haftar. Ma non dobbiamo ritenerli spacciati, nel panorama politico-militare libico. L’Operazione Dignità di Haftar e altri gruppi locali hanno infatti eliminato il controllo del Califfato in quei posti a partire dal 2016. All’inizio del 2017, erano ancora segnalate delle sacche dell’Isis a Sebrata e a sud della Sirte. Il califfato, peraltro, è riuscito a deviare il notevole sostegno finanziario, saudita e emiratino, da Ansar al Sharia verso le sue strutture.

Ma tutto ciò si mescola inevitabilmente con le influenze dei maggiori attori esterni al quadro libico, che interagiscono con le lotte interne, di tipo tribale o para-politico. In effetti, le auto-designazioni delle varie “brigate” in campo sono sempre irrilevanti, i vari gruppi possono essere “gheddafiani” o filo-Isis o altro; ma quello che conta, per loro come per un osservatore attento, è il ruolo che hanno nell’economia criminale. E i soldi che riescono a prendere da qualche potenza esterna. Per esempio, il conflitto tra Toubou e Tuareg nell’area di Ubari, è stato risolto nel 2017 sia dal governo di Tripoli che dalle forze di Haftar; e questo senza che ci fossero azioni positive da parte dei francesi, dei Servizi italiani o di quelli algerini, attivissimi peraltro in tutto il quadrante libico. Se i Servizi italiani operassero di più con le “brigate”, avremmo qualche risultato in più. Ma la chiave di tutto, in quelle zone, sono state le operazioni dei francesi di Operation Barkhane in Niger, che hanno impedito i traffici sia dei Toubou che dei Tuareg in tutto il sud della Libia. E quindi anche di quelli riguardanti i “migranti”. Comunque, l’altra via di passaggio del traffico di esseri umani, oltre Agadez in Niger, linea che è sotto il controllo dei Toubou, è Ghat, in Algeria, sempre sotto il controllo dei Tuareg. La via di Ghat raggiunge Sabha prima di volgersi verso le coste del Mediterraneo. Sarebbe bene che l’Italia se ne occupasse, senza pensare che tutto il business dei migranti passi solo dal Niger. Ma non è questa la sola dimenticanza dei nostri politici.

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