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Una sfida (globale) chiamata Artico. Perché l’Italia dovrebbe occuparsene

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I cinesi vogliono farci passare un tratto della nuova Via della Seta. I russi vantano una flotta da 40 navi, gli americani ne hanno solo una, un po’ malconcia, ma hanno in programma di costruirne altre nove nel prossimo decennio. Norvegesi, danesi, canadesi, svedesi, finlandesi si contendono le (sempre meno abbondanti) risorse naturali nascoste nel sottosuolo, investono nella ricerca scientifica, si spartiscono le zone marittime per la pesca. È il grande risiko dell’Artico. I ghiacciai del Polo Nord riescono a congelare grazie alla cooperazione nel diritto internazionale anche le più accese tensioni fra Stati che altrove nel mondo sono sul piede di guerra. Ma al tempo stesso covano una polveriera pronta ad esplodere, anche solo per un incidente. Fino a un decennio fa fra i ghiacciai artici si aggiravano solo navi rompighiaccio militari e commerciali, assieme alle petroliere e ai vascelli recanti squadre di ricercatori. Oggi ci si può imbattere facilmente in lussuose navi da crociera, spedizioni di turisti o scienziati, imbarcazioni private di ogni genere. E non è una buona notizia. È il segno inequivocabile, non se la prendano i negazionisti del cambiamento climatico, di un preoccupante innalzamento delle temperature. Che ha aperto rotte prima inaccessibili, come il passaggio a Nord-Ovest fra Canada e Alaska, e la rotta settentrionale in Russia. Una grande chance per il business nella regione, una condanna a morte per l’ambiente e le decine di specie animali a rischio estinzione, per non parlare dei 4 milioni di abitanti indigeni che di questo passo saranno presto costretti ad abbandonare le loro terre per andare a Sud, lasciandosi alle spalle secoli di tradizioni.

L’ITALIA NELL’ARTICO

Martedì a Roma la Sioi (Società italiana per l’organizzazione internazionale) ha ospitato il convegno “Arctic Connections” organizzato assieme all’Ambasciata di Norvegia in Italia e alla Nord University per fare il punto sul futuro della regione e il ruolo italiano assieme a diplomatici, accademici ed esperti stranieri. Può sembrare curioso, eppure l’Italia gioca eccome una parte importante nel risiko Artico. Dal maggio 2013 è osservatore permanente del Consiglio Artico, il forum internazionale nato ad Ottawa nel 1996 con lo scopo di regolare i rapporti fra Stati artici e osservatori nella regione polare, conciliare eventuali dissidi, favorire la cooperazione internazionale. Lo Stivale vanta inoltre una presenza nella regione di alcune delle sue più importanti aziende, tra cui Eni, Leonardo, Fincantieri, Condotte e Rebaioli. “La partecipazione italiana al Consiglio artico è di grandissimo valore strategico” – ha esordito il presidente della Sioi Franco Frattini, rivendicando il contributo della Sioi nell’“aumentare l’attenzione su quel che succede nella regione, dove l’unico modo per evitare un’escalation è la cooperazione sugli investimenti, la ricerca, lo sviluppo economico delle comunità locali”. Negli ultimi anni l’Italia ha rivolto particolare attenzione al dossier Artico. Ad esempio affidando un ruolo pivotale alla Marina Militare italiana, che proprio all’inizio del 2018 ha inviato al Polo Nord la nave polivalente di ricerca Alliance con 47 militari a bordo per studiare le correnti marine. “La Marina opera nell’Artico seguendo un approccio sistemico: tutela dell’ambiente, con la prevenzione dell’inquinamento da idrocarburi, crescita economica, ricerca scientifica” – ha spiegato alla Sioi l’ammiraglio Paolo Treu, sottocapo di Stato Maggiore della Marina – “soltanto il 50% dell’Artico è stato mappato finora, il ghiaccio si sta sciogliendo e può aprire una frontiera rivoluzionaria nei trasporti e nel commercio”. Gli ha fatto eco Carmine Robustelli, inviato speciale della Farnesina per l’Artico: “Non è più terra di esplorazioni, ma la regione che connette sia geograficamente che idealmente l’Eurasia all’Occidente; il ruolo centrale italiano è stato confermato dall’ultima legge di bilancio, che per la prima volta ha dedicato un’apposita linea di credito per la ricerca nella regione”.

IL POLO NORD CONTESO FRA MOSCA E PECHINO

La geopolitica dell’Artico è anzitutto geopolitica energetica. L’apertura di una rotta artica che permetta di trasportare gas naturale dall’Atlantico al Pacifico rivoluzionerà l’intero settore, relegando il canale di Suez a un ruolo minoritario. I primi esperimenti sono stati uno straordinario successo. La Russia vanta una presenza senza paragoni nella regione. Il viaggio inaugurale della Cristophe de Margerie, la rompighiaccio che nel 2017 ha trasportato gas dalla Norvegia alla Corea del Sud impiegando il 30% del tempo in meno rispetto alla rotta di Suez, è stato celebrato dal presidente russo Vladimir Putin come “un giorno memorabile”. I russi non sono gli unici ad avere piani ambiziosi per l’Artico. Anche la Cina, che non è uno Stato artico, ha rivolto lo sguardo a Nord. A maggio la pubblicazione della “Strategia per l’Artico” ha squarciato il velo sul nuovo progetto di Xi Jinping: costruire una terza via della Seta artica sfruttando lo scioglimento dei ghiacci. Finora la presenza dei vascelli commerciali cinesi lungo la rotta a Nord è stata sporadica, se si eccettuano giganti come Cosco. Ma in Europa c’è chi, come la Danimarca, si è accorto dei vantaggi economici, e di tempo, che il passaggio fra i ghiacciai garantisce alle navi commerciali. Le mire nordiche di Pechino potrebbero nel lungo periodo portare a uno scontro con i russi, che già mal sopportano l’imponente immigrazione cinese in Siberia.

L’ESCALATION RUSSA

Non tutto è rose e fiori fra i ghiacciai del Nord. Il Consiglio Artico non ha la fama di essere un covo di leoni, ma non mancano frizioni pesanti fra i membri permanenti. Preoccupa ultimamente l’espansione militare russa nella regione. Nessuno si avvicina alla flotta di navi e sottomarini che il Cremlino ha stanziato nell’Artico, oggi ai massimi storici dal crollo dell’Unione Sovietica. 40 rompighiaccio, di cui sei dotate di armamenti nucleari. Gli Stati Uniti al momento non possono competere. Con Obama il governo americano aveva riacceso i riflettori sulla deterrenza in funzione anti-russa, ma l’amministrazione Trump (che notoriamente è poco sensibile al tema climate change) non sembra interessata più di tanto. Il rischio di una nuova Guerra Fredda però, dicono gli esperti, è piuttosto basso. “Il Consiglio Artico è una delle poche occasioni che ci sono al mondo di ragionare di affari internazionali in modo non conflittuale. Se si apre una escalation di proliferazione nella regione artica il primo che ci rimette è l’Artico” – spiega Frattini a Formiche.net – “Malgrado le divergenze Russia e Stati Uniti riescono a convivere nella regione. La stessa Norvegia, che è un Paese Nato, di cui esprime il Segretario generale, collabora strettamente con la Federazione russa”. “L’Artico è una regione in cui la cooperazione con la Russia va avanti alla grande sia sulle trivellazioni petrolifere che sullo sviluppo ambientale” aggiunge Andreas Østhagen, ricercatore del Fridtjof Nansen Institute – “gli Stati Uniti segnano un grave ritardo, sono presenti con il Canada nell’Artico nordamericano, che è poco abitato e povero di investimenti; nell’Artico europeo invece un ruolo chiave è ricoperto dalla Norvegia, assieme a Danimarca, Svezia, Finlandia e Regno Unito”.

Foto: Vox.com

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