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Umanesimo digitale, istruzioni per l’uso. Il dibattito sul libro di Tomassini

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É la tecnologia bellezza. Sono passati quasi sei secoli dall’umanesimo e si vede. In un Paese in cui nove italiani su dieci sono connessi quasi 24 ore su 24 (qui l’articolo di Formiche.net sull’ultimo report del Censis), ha senso parlare, ancora, di ruolo centrale dell’uomo? Sarebbe meglio dire macchina.

Dunque, meglio aggiornare il vocabolario con un nuovo termine, umanesimo digitale. Nolenti o volenti questo è il cambiamento in atto e da qualche parte bisogna trarne le conseguenze. E allora, prima di trasformarci tutti definitivamente in macchine, sempre che sia davvero così, perché non provare a governare il cambiamento anziché esserne governati?

Un vademecum di sopravvivenza, da usare a mo’ di bussola ci sarebbe. Per la precisione L’innovazione non chiede il permesso, costruire il domani digitale, di Luca Tomassini, una carriera da pioniere delle telecomunicazioni italiane fino alla creazione del gruppo Vetrya di cui è ceo, presentato alla Luiss da Andrea Prencipe, Rettore Luiss, Paola Severino, vicepresidente dell’ateneo, il docente di Economia e gestione delle imprese internazionali, Matteo Caroli e il giornalista Gianni Riotta.

Il punto di partenza è questo: il ritmo di crescita dell’innovazione degli ultimi cinquant’anni supera quello della storia dell’umanità, cosi come il volume delle informazioni e dei dati di cui oggi disponiamo. Diventano quindi centrali i temi degli equilibri delicati tra libertà e disciplina, della necessità di individuare nuovi strumenti per gestire vantaggi e pericoli delle nuove sfide poste dallo sviluppo del cyber e del digitale, della capacità di imparare a governare questi cambiamenti senza finirne succubi.

Un inciso del Rettore Prencipe, condiviso da Severino, è valso più di mille parole nella Sala delle Colonne della Luiss. “Prima di diventare macchine proviamo a governare questa straordinaria rivoluzione di questi tempi. La digitalizzazione è un qualcosa di pervasivo, che distrugge ma che crea anche molto. Per sfuggire a questo caos e produrre valore è quanto mai necessario seguire un approccio formativo pragmatico e multidisciplinare, che affianchi allo studio delle scienze sociali quello del data science e della tecnologia più avanzata”. Tradotto, viva la tecnologia ma occhio a non perdere la nostra natura, quella umana. Il rischio c’è.

Anche secondo l’economista Caroli, che vede nella rivoluzione digitale più ombre che luci. “Tutta questa tecnologia finisce spesso con l’avvantaggiare pochi e svantaggiare tanti. La grande sfida di oggi è trovare dei modelli sociali che soddisfino tutti altrimenti il rischio è ritrovarsi un’umanità di serie a, b e c. Quello che voglio dire è che la vera partita è contrapporsi a una tecnologia che però dobbiamo utilizzare per aiutare tutti e non solo gruppi ristretti. Faccio l’esempio del cosiddetto fast fashion, ovvero la riproduzione velocissima di capi, da vendere a basso costo online. Ebbene, idea ottima ma come la mettiamo con l’impatto sull’industria tessile? Ecco perché dico che la tecnologia deve essere un vantaggio per tutti e non per pochi”.

A dissipare i dubbi e riportare in alto il termometro dell’ottimismo ci ha pensato lo stesso autore del libro. “Noi oggi non possiamo fare a meno della tecnologia ma possiamo sfruttarne il meglio. Qualcuno dice che ‘forse era meglio prima’ ma io dico che non è così. La tecnologia è progresso, è crescita. Questo non lo possiamo cambiare. Certo possiamo raccogliere la sfida di non disumanizzare la figura umana ma il percorso è quello indicato”. Tomassini ha rincarato la dose di ottimismo sulla rivoluzione tecnologica.

“A chi dice che il digitale brucerà posti di lavoro io rispondo che no, non è così. Al tassista che teme Uber io dico che può salvare la sua professione, trovandogli una nuova collocazione. Ma questo non vuol dire che nel digitale ci siano solo cose buone. C’è anche del cattivo, penso alle fake news, anche se qui entriamo nel delicato campo dei dati e della cyber security. Ma datemi retta, il digitale alla fine, ci aiuterà a vivere meglio, non ho dubbi. Molto. E non dimentichiamoci una cosa: i pessimisti hanno quasi sempre ragione. Gli ottimisti cambiano il mondo”.

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