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Avviso ai naviganti. Investire e crescere, con l’assistenza non si sopravvive

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Per dare il proprio giudizio al Def c’è tempo, visto che lunedì è in programma un’audizione alla Camera. Ma Bankitalia qualche messaggio sottobanco comincia già a mandarlo. Con tanto di indirizzo. Piazza Colonna 370, Palazzo Chigi, citofonare governo italiano. Il mondo della finanza, che risponde al nome di banche, imprese e assicurazioni, si è riunito questa mattina a Palazzo Altieri, in occasione della 50esima Giornata del credito in scena all’Abi. Tante le facce, ma un solo messaggio.

Quello racchiuso nella relazione introduttiva di Salvatore Rossi, direttore generale di Bankitalia che in 11 pagine ha racchiuso un pensiero piuttosto diffuso nei giorni del Def e della manovra. Qualcosa di già visto, sorta di dejà vu, ieri in Confindustria, l’altra sponda dell’economia (qui l’articolo con tutti i dettagli). La verità, nient’altro che la verità è che anche le banche vogliono crescita. Non se ne fanno nulla di un deficit al 2,4% se la contropartita non è una solida risalita del prodotto interno lordo. Fare del deficit, senza crescere, senza investire, concentrandosi solo su forme di assistenza sociale (reddito di cittadinanza, costo 10 miliardi) porta solo guai. Non c’è scampo.

Rossi lo dice in un passaggio finale. Linguaggio di Bankitalia, ma il senso è quello. “Rilanciare lo sviluppo economico nel nostro Paese, dopo oltre vent’anni di ristagno o di avanzamento troppo lento, è la priorità assoluta dell’intera società. Se la nazione non accumula più ricchezza alla fine declina, nonostante i talenti e le capacità che il mondo ci riconosce”. E ancora (messaggio subliminale, ma non troppo), “lo sviluppo deve essere armonico e sostenibile nel tempo, ma non può non esserci. Gli stessi equilibri finanziari del Paese possono essere ritrovati soltanto grazie a un maggiore sviluppo”.

Due considerazioni. Primo, se non si cresce si possono fare tutte le misure del mondo, ma sempre al palo si rimane. E per crescere servono robusti investimenti, a cominciare dalle infrastrutture, ma non solo. Innovazione e Industria 4.0. Secondo, dalla stessa crescita dipende l’equilibrio finanziario, altrimenti è il classico cane che si morde la coda. Se non sale il pil, la ricchezza prodotta non riesce a compensare la maggior spesa frutto dell’allargamento del deficit e la strada è segnata: aumento delle tasse.

Per le banche poi c’è una ragione in più, che si chiama Btp. Perché i bilanci degli istituti sono pieni zeppi di titoli di Stato e questo fa del settore creditizio uno dei segmenti dell’economia più esposti all’aumento dello spread. Che, se sale troppo, affossa i titoli quotati in Borsa oltre a mangiarsi il patrimonio di vigilanza, essenziale alle banche per non fallire, garantire prestiti e rientrare nei parametri europei di Basilea. Anche qui, la ricetta per fermare la corsa del differenziale Btp/Bund è una sola, la crescita, l’unica vera medicina in grado di placare la febbre dei mercati. Un Paese che cresce può permettersi anche una certa disinvoltura sui conti.

C’è un secondo inciso di Rossi che, forse più del primi, rende evidente il punto di vista della finanza, così lontano da quello della politica, almeno finora. “Come hanno fatto le altre economie a crescere tanto più di noi? Aumentando l’efficienza media delle loro imprese produttive, in particolare la componente dovuta alle tecnologie e all’organizzazione aziendale, quella componente che gli economisti chiamano produttività totale dei fattori. Dal 1997 a oggi quella componente è rimasta piatta in Italia: ha sospinto la crescita media annua dell’economia di mezzo punto percentuale in Germania e Francia, di 0,2 in Spagna”.

Dunque? Dunque “l’Italia è ancora un grande Paese avanzato, anche se è minacciato dal declino. Oggi lo sviluppo non può non incentrarsi sulle imprese e sulla loro capacità di innovazione e di crescita, perché sono le imprese a dover impegnare le risorse e i talenti del Paese per accrescere, attraverso il proprio successo, il benessere di tutti”. Chiaro no?

 

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