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Effetto Rocco. Lo spread non si fida più di Tria. E gli italiani pagano

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Diciamo la verità, la giornata di Giovanni Tria non era iniziata nel migliore dei modi. Dopo il ko della Borsa di ieri (-2,7%) e lo spread abbondantemente sopra i 300 punti base, di buon mattino è arrivata la doccia gelata del Fondo monetario internazionale. Non che ci si potessero attendere buone notizie da Washington visto il taglio pressoché unanime delle stime sul Pil italiano da parte dei principali organismi internazionali e un downgrade a fine mese più certo che incerto.

E così anche l’Fmi non ha tradito le aspettative. Nel 2018 si crescerà dell’1,2%, per poi rallentare nel 2019 con un incremento di appena l’1%. E così, quando il responsabile del Tesoro ha varcato la soglia di Montecitorio per la sua prima audizione sul Def, lo spread segnava sul contatore 307 punti base. Non proprio un buon punto di partenza.

Il ministro non poteva non giocare la carta dell’ottimismo, tentando di trasmettere questo messaggio ai mercati. Sì, c’è un po’ di confusione sulla politica economica italiana ma presto, molto presto, l’assetto sarà definito. Dunque, se per il momento il differenziale tra Btp e Bund sale, ci può stare. Nel linguaggio di Tria, il governo gialloverde conta che “una volta che il programma di politica economica del governo sarà approvato dal Parlamento si dissolveranno le incertezze che hanno gravato sul mercato dei titoli di Stato negli ultimi mesi. E così le previsioni di crescita e di finanza pubblica potranno migliorare significativamente”.

Un altro tampone, è arrivato con le parole del ministro sul Pil, cioè sulla voce che più preoccupa i mercati, perché l’Italia non cresce. Il fatto è che i numeri inseriti nel Def potrebbero in un certo senso non rispecchiare la realtà, perché l’Italia il prossimo anno potrebbe anche ingranare una marcia diversa da questa. “Le stime di finanza pubblica programmatiche sono prudenziali e la previsione si basa su ipotesi caute se non addirittura pessimistiche e penso che le stime possano essere ampiamente superate”, ha spiegato Tria.

Fin qui un’illustrazione del Def che a detta del ministro non è quello che sembra visto che nel 2019 ci potrebbero essere delle belle sorprese. Il problema è superare il momento difficile. Come? Dando il classico colpo al cerchio e uno alla botta. E dunque, ha argomentato il ministro, da una parte la difesa del contratto gialloverde, con quel reddito di cittadinanza che sì costerà 9 miliardi di euro “ma serve ad evitare il crescere di sentimenti anti-Ue”. Dall’altra però c’è bisogno di crescita e dunque di investimenti. Per questo “chiederemo all’Europa maggiore flessibilità per tornare a un livello di investimenti pubblici pre-crisi”.

Il punto caldo sono e rimangono comunque le pensioni. Lo stesso Fondo monetario nelle sue valutazioni sull’Italia lo ha detto chiaro e tondo. Vietato toccare la legge Fornero. E Tria non se l’è fatto ripetere due volte. La revisione dell’attuale sistema pensionistico ci sarà, ma sarà graduale, con una “temporanea ridefinizione delle condizioni per il pensionamento, la creazione di finestre specifiche per consentire al mercato del lavoro di stare al passo con i processi tecnologici e di accelerare il rinnovamento assumendo nuove persone con nuovi profili.

Ora, dove sta il problema? Che terminata l’audizione del ministro, lo spread segnava quota 315 punti base, con un rendimento al 3,7% sul decennale. Ai massimi dal 2013.

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