La Reuters ha informazioni dirette su un blocco di intelligence che si è creato contro la Cina: il Five Eyes, ossia l’alleanza tra Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda, che sta condividendo in modo continuo informazioni classificate con “altri Paesi che la pensano allo stesso modo” su Pechino, dicono sette fonti che parlano discretamente da quattro diverse capitali con i giornalisti britannici.
La collaborazione è più attiva con Germania e Giappone, Paesi di riferimento in Europa e in Asia, e questo indica la presenza di un fronte internazionale che sta giocando con impegno crescente contro l’allargamento degli interessi geopolitici cinesi. Per esempio, due giorni fa è stata ufficializzata la prima estradizione di un funzionario dell’intelligence cinese negli Stati Uniti: Yanjun Xu, vice direttore del ministero della Sicurezza dello Stato, è stato fermato in Belgio, ma aveva per anni cercato di reclutare i dipendenti di alcune aziende americane come la General electric aviation (che produce motori per gli aerei).
È la strategia dell’amministrazione Trump: creare i presupposti per un fronte unico contro la Cina – chi ci sta è un amico, chi si sgancia rischia. Per la Casa Bianca il contrasto alla Cina non è una semplice questione commerciale, ma ha una dimensione strategica globale, e per questo chiede il coinvolgimento dei più fidati alleati.
Di più: il rafforzamento di questo coordinamento della rete Five Eyes – creata dopo la Seconda Guerra Mondiale per combattere l’Unione Sovietica – suggerisce che, nonostante il Presidente americano, Donald Trump, continui a sostenere che è pronto a fare da solo nel confronto con la Cina, i lati operativi della sua amministrazione “stanno lavorando duramente dietro le quinte” per mettere insieme una coalizione informale, “al di sotto dei radar”, per contrastare Pechino. E in questo, la Cina potrebbe vedersi ridotte le speranze di agganciare i Paesi europei e spostarne l’asse di collaborazione più verso Oriente, usando la leva dell’America First, clave che si è abbattuta anche sugli alleati.
Sotto i radar certamente, ma a fine agosto, dopo una riunione di livello ministeriale dei Paesi membri del FVEY sulla Gold Coast australiana, è stata diffusa una dichiarazione in cui si parlava di “partenariati globali” che il gruppo dei cinque avrebbe utilizzato per accelerare la condivisione di informazioni sulle interferenze straniere.
L’oggetto principale della collaborazione è rispondere alla crescente influenza cinese, e certi effetti sono visibili. Per esempio, gli Stati Uniti hanno bloccato l’espansione della ditta cinese di telecomunicazioni Huawei perché ritengono che possa essere usata dalle agenzie di intelligence cinesi per attività di spionaggio. Sulla stessa linea s’è messa l’Australia e la Nuova Zelanda, mentre dal Regno Unito non sono arrivate decisioni definitive, ma il dibattito pende verso l’introduzione di limitazioni – e lo stesso in Germania.
L’Australia, che soffre il problema dell’influenza cinese da anni (per gli amanti della narrativa sul genere si consiglia la serie Tv “Secret City” del 2016, ndr) a dicembre del 2017 ha votato un pacchetto di regole che stringono i controlli sulle lobby straniere e sulle donazioni politiche dall’estero. Gli americani hanno promulgato il Firrma, una legge severa sugli investimenti stranieri. Il governo tedesco ha provato a stringere la cinghia lo scorso anno (dopo aver lanciato un’iniziativa di monitoraggio interministeriale collegata all’acquisizione della società di semiconduttori Aixtron del 2016), ma dopo una nuova ondata di acquisizioni cinesi ha già fatto sapere che inasprirà ancora di più controlli e limitazioni.
Sono misure nazionali, che però si allineano sulle posizioni di questo fronte internazionale anti-Cina discreto. La questione è piuttosto interessante anche per l’Italia, che ha alleanze solidissime nell’ambito delle intelligence occidentali, con un governo che sta aprendosi con fiducia alla Cina; mercoledì, per esempio, la ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, durante un’audizione programmata al Copasir ha anche parlato dell’impatto sulla sicurezza nazionale che la forte presenza della Huawei all’interno del sistema infrastrutturale delle telecomunicazioni italiane e del futuro ruolo nel programma 5G.
I funzionari sentiti dalla Reuters hanno parlato di una “raffica di consultazioni” negli ultimi mesi, con Washington che guida il coordinamento degli investimenti e Canberra che assume un ruolo guida nella sensibilizzazione sulle interferenze politiche. Contatti che coinvolgono figure di diverso livello, dai semplici funzionari dell’intelligence fino ai capi dei governi. “Stiamo vivendo in un nuovo mondo”, ha detto una delle fonti – che scrive la Reuters, viene da un Paese dei Cinque Occhi e “ha viaggiato in lungo e in largo per altre capitali nell’ultimo anno per discutere le attività estere della Cina”. “Lo shock improvviso dei regimi autoritari sta provocando un coordinamento più stretto e una vera espansione della condivisione dell’intelligence”.