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Missili da Gaza. L’esercito israeliano punta il dito contro Iran e Siria

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40 missili lanciati da Gaza dalle 22:03 di ieri notte; 17 intercettati dal sistema difensivo “Iron Dome”; 87 obiettivi di Hamas e Jihad Islamico colpiti dall’esercito israeliano, tra cui: la sede dei servizi di sicurezza di Hamas, due campi di addestramento a Rafah e Tel a-Za’tar (nord della Striscia di Gaza), che si trova adiacente a una moschea e due scuole, una fabbrica di armi a al-Atatara (Bet Lahiya), 5 depositi di armi in diverse zone della Striscia, un deposito di armi sotterraneo legato a un tunnel (a Khan Yunis) e una postazione anti-aerea (a Bet Lahya).

Per ora non sono state riportate vittime tra i palestinesi, mentre la stampa riporta danni a infrastrutture, compreso l’ospedale indonesiano a nord della Striscia. 9 i feriti israeliani, 7 di attacchi di panico e 2 feriti lievi colpiti dall’esplosione di un missile.

Stamane è stato pubblicato il messaggio di Jihad Islamico, che rivendica il lancio di missili e promette una risposta aggressiva agli attacchi israeliani. L’Idf (esercito israeliano) punta il dito contro Iran e Siria. Per Israele il lancio di missili, il più intenso da agosto di quest’anno, dev’esser considerato in connessione alla politica militare iraniana in Siria, al riarmamento di Hezbollah e al terrorismo globale.

Israele inoltre accusa Hamas. Benché sia Jihad Islamico che abbia rivendicato l’attacco, Gerusalemme considera Hamas responsabile per quanto avviene a Gaza e in particolare per l’atmosfera di guerra che si è venuta a creare.

Jihad Islamico annuncia a mezzogiorno (ora locale) che un nuovo cessate il fuoco è stato raggiunto con l’intermediazione dell’Egitto, proprio mentre il Ministro della Difesa Lieberman era in seduta con l’esercito per valutare la situazione e le prospettive.

Il giornale libanese al-Akhbar pubblica un articolo che spiega la posizione palestinese. Alla luce dei tentativi egiziani di mediare un accordo con Israele, Jihad Islamico avrebbe lanciato un attacco per valutare la risposta israeliana e per vendicare i morti negli scontri del venerdì al confine di Gaza. Sempre secondo questo articolo, Israele vorrebbe dimostrare la propria forza di deterrenza, rendendolo inaffidabile per un accordo.

Dal 2006, Hamas governa Gaza con il pugno di ferro e ha sempre dimostrato la capacità di mantenere il controllo dei gruppi jihadisti. Inoltre, con il nuovo leader Yahya Sinwar, il coordinamento tra Hamas e Jihad Islamico si è intensificato. Sinwar ha inoltre dichiarato di recente che non vorrebbe un’altra guerra, pertanto può essere che la strategia politica di Hamas sia di usare Jihad Islamico per attacchi diretti a Israele, preferendo operare attraverso le manifestazioni al Confine di Gaza, che sono più spendibili a fini propagandistici. In realtà continuano i lanci di aquiloni incendiari così come i tentativi di oltrepassare il confine (20 casi di infiltrazione solo il 12 ottobre e 15 tunnel distrutti nell’ultimo mese).

Le manifestazioni sono organizzate con il titolo di “Marcia del Ritorno” (cioè il ritorno in quella che oggi è Israele) e proprio venerdì il Consiglio Nazionale della Marcia del Ritorno, una sorta di comitato direttivo delle manifestazioni, ha annunciato che venerdì prossimo lo slogan delle manifestazioni sarà “Sarà rovesciata la dichiarazione ignominiosa”, in riferimento alla Dichiarazione Balfour che nel 1917 impegna il Regno Unito a sostenere la creazione di un focolare nazionale ebraico in quella che l’anno successivo sarebbe diventata la Palestina mandataria. La dirigenza di Hamas continua a sostenere che le manifestazioni sono pacifiche e che hanno per obiettivo la fine dell’embargo a Gaza.

Gli attacchi da Gaza sarebbero non solo un campanello d’allarme per quello che potrà succedere ai confini nord dovesse Hezbollah decidere di aprire i depositi di missili ormai pieni, ma una presa di posizione molto più forte dell’Iran.
Secondo Ron Ben Ishai su Ynet, l’attacco di Jihad Islamico è un messaggio dell’Iran contro Israele e gli Stati Uniti, arrivato dopo la visita di Netanyahu in Oman, che potrebbe essere un mediatore tra israeliani e palestinesi. L’Iran vede la visita come un segnale di normalizzazione con Israele, la cui politica verso i Paesi del Golfo sta dando ottimi risultati. Inoltre, l’Iran avrebbe il timore che i piani statunitensi di arrivare all’accordo del secolo si stiano facendo strada. Pertanto avrebbe usato Jihad Islamico, per minare le possibilità di un accordo.

La sindrome di accerchiamento dell’Iran, che vede l’avanzamento delle relazioni tra Israele e Paesi del Golfo come una diretta minaccia alla Repubblica Islamica, e la determinazione a impedire un accordo tra israeliani e palestinesi che porterebbe gli Stati Uniti a trionfare in Medio Oriente, sono una combinazione che può portare Teheran, o meglio le Guardie della Rivoluzione, a decisioni ancor più drastiche con conseguenze dirette al confine israelo-siriano.

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