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Dopo Ilva, Tap. Se il governo fa bene, va detto

Gas

Riprendono i lavori per la Tap, la pipeline che porterà il gas dall’Azerbaijan in Italia con l’attracco del tratto sottomarino proveniente dall’Albania a San Foca presso Melendugno nel Salento. Si è scritto tantissimo negli ultimi anni sul valore strategico di tale nuova fonte di approvvigionamento per il nostro Paese, sulle dimensioni dell’investimento privato che lo sta rendendo possibile e sugli accordi internazionali che lo hanno autorizzato: pertanto riteniamo di non dover ritornare sull’argomento, così come non è opportuno, a nostro avviso, richiamare le roventi polemiche che vedono contrapporsi da anni in provincia di Lecce (e non solo in essa) coloro che – come molti esponenti del Movimento 5 Stelle – sono assolutamente contrari all’opera e al suo approdo sulla costa di San Foca e coloro che, invece, a livello locale e nazionale, hanno più volte ribadito il valore dell’opera.

Vogliamo invece sottolineare la necessità e l’utilità – per tutte le parti in causa – di deporre per qualche tempo le contrapposte argomentazioni contro o a favore del gasdotto per riflettere sulle opportunità che la sua costruzione già comporta e ancor più potrebbe comportare per la Puglia.

Ora – a parte le tante giornate di cantiere già attivate o prevedibili per le opere realizzate e per quelle progettate per le maestranze impegnate nel prosieguo della costruzione, e i primi finanziamenti per molteplici attività erogati ad una pluralità di soggetti locali dal Consorzio realizzatore del gasdotto – una prima grande opportunità per l’industria locale potrebbe essere costituita da forniture di gas acquistabili a prezzi più contenuti di quelli che si determinano sul mercato, naturalmente da definirsi attraverso accordi contrattuali formalizzati fra le parti e validati anche a livello governativo.

Ed uno dei soggetti beneficiari di questa fornitura di gas a prezzi pari a quelli del carbone potrebbe essere l’Ilva di Taranto – come afferma da tempo il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, impegnato sin dalla sua elezione nel 2015 nella battaglia per la decarbonizzazione della produzione nell’impianto ionico – e che negli ultimi mesi avrebbe verificato la disponibilità del Consorzio ad assicurare uno stock di 700 milioni di metri cubi di gas a prezzi convenienti per avviare la produzione di preridotto di ferro da impiegarsi negli attuali altiforni, o in forni elettrici da impiantarsi nel sito.

Ora, intendiamoci bene, Arcelor Mittal, prossima nuova proprietaria dell’intero Gruppo e del gigantesco stabilimento tarantino nell’accordo sottoscritto a Roma con governo e sindacati si è detta disponibile a valutare anche la possibilità di impiegare il preridotto di ferro – di cui peraltro conosce la tecnologia usandola in già in un suo sito ad Amburgo – solo dopo aver superato la soglia di 8 milioni di tonnellate con gli attuali sistemi di produzione a ciclo integrale, per i cui impianti comunque ha previsto interventi di ambientalizzazione molto avanzati. E d’altra parte bisognerebbe tener conto che l’impiego del preridotto di ferro in nuovi forni elettrici avrebbe bisogno anche di rottame qualificato il cui prezzo sul mercato mondiale sta salendo, data la sua scarsezza relativa.

Inoltre un piano di riconversione a gas, sia pure parziale, del Siderurgico di Taranto, data la sua estrema complessità tecnica, avrebbe costi particolarmente elevati, da definirsi in un business plan molto preciso che deve considerare prezzo del gas, del rottame, dell’innovazione impiantistica necessaria ed altri fattori egualmente rilevanti, compreso quello occupazionale.

Però è significativa a nostro avviso l’apertura – per ora comunque solo verbale – del Consorzio Tap che ipotizza una fornitura scontata ad Arcelor Mittal. È un percorso ancora molto ma molto lungo quello che si dovrà intraprendere per migliorare sempre di più l’ambientalizzazione del Siderurgico tarantino, ma una prima possibile road map si incomincia a intravedere.

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