Il dado “energetico” è ormai tratto e non da ieri. E si intreccia sia con l’ambizioso progetto Vision 2020 targato MbS, il principe ereditario dell’Arabia Saudita, sia con il dossier idrocarburi che tocca, comunque lo si interpreti, due quadranti assolutamente strategici come quello medio orientale e quello euromediterraeo. Ma con la peculiarità che adesso Riad non crede più alle prospettive di produzione petrolifera della Russia.
GREGGIO
Il principe lo ha detto chiaramente a Bloomberg: il ruolo della Russia nel mercato petrolifero mondiale potrebbe diminuire in modo sostanziale entro il 2037, sottolineando addirittura che Mosca potrebbe smettere di esportare petrolio. Suscitando così la reazione russa, che ha epitetato come troppo pessimista l’uscita di MbS, pur convergendo sul fatto che al momento non mancano le criticità nel settore.
Lo ha ammesso a chiare lettere il ministro dell’Energia russo Alexander Novak: “La Russia è un leader dell’industria petrolifera mondiale e, nel lungo termine, manterrà questo status. La nostra strategia è di mantenere la produzione di petrolio al livello attuale”.
Per poi sciorinare i dati che dimostrano questo trend in diminuzione: Novak ha ammesso che nel 2021 Mosca sarà in grado di produrre 570 milioni di tonnellate di petrolio all’anno, contro gli attuali 553 milioni. Tuttavia, dopo il 2021, il volume di estrazione petrolifera diminuirà gradualmente, con il rischio di calare sensibilmente a 310 milioni di tonnellate annue entro il 2035.
TREND
Il primo punto debole, secondo alcuni analisti, risiede in Siberia, dove i giacimenti si stanno assottigliando costantemente, stando al meno 4% fatto registrare negli ultimi due lustri. A fronte di questa percentuale ecco il costo di produzione che è raddoppiato. Per cui il principale “fornitore” di greggio russo, la Siberia occidentale, potrebbe vedere calare la produzione dagli attuali 330 milioni di tonnellate all’anno a 180 milioni di tonnellate, con la prospettiva di un trend bassissimo di addirittura 146 milioni di tonnellate nel 2035.
Un quadro a cui si aggiungono le valutazioni analitiche e finanziarie relative al sistema di tassazione del petrolio in Russia che, per come è strutturato oggi, non incoraggia l’esplorazione petrolifera attiva, la ricerca tecnologica e lo sviluppo di nuovi giacimenti in aree caratterizzate da avverse condizioni di estrazione.
OPEC
Nel frattempo Mosca ha comunicato alle sue compagnie petrolifere che possono ripristinare la produzione di petrolio greggio ai livelli del 2016. Lo ha reso noto Gazprom Neft, il terzo produttore più grande del paese, in occasione di un vertice a Londra. “Non ci è stato impedito dal governo di aumentare rispetto ai livelli del 2016 – ha detto il vice CEO Vadim Yakovlev – Le istruzioni che riceviamo dal governo sono che possiamo ripristinare i livelli prima delle restrizioni”.
In base ad un accordo con Opec e altri produttori, la Russia si era impegnata a ridurre la propria produzione di 300.000 barili al giorno (fino a dicembre 2018). L’obiettivo era di ridurre la produzione di 1,8 milioni di barili al giorno.
Il problema però adesso risiede nel fatto che colossi come Gazprom e Rosneft sono zavorrati da sostanziali debiti in miliardi di dollari e al contempo i prestiti da parte di istituti finanziari stranieri sono molto meno agevoli per i produttori petroliferi russi rispetto al passato. Per cui ecco che proprio le sanzioni Usa rappresentano un oggettivo limite all’accesso a nuovi strumenti per lo sviluppo del comparto.
Sul punto si registrano le parole del numeno 1 di BP, Bob Dudley, in occasione del meeting Oil & Money tenutosi recentemente a Londra, secondo cui qualsiasi escalation di sanzioni per colpire le principali compagnie russe chiuderebbe i sistemi energetici europei, e ha sottolineato che BP ha avuto molta cura nel rispettare le sanzioni nelle proprie interazioni con Rosneft. “Se venissero applicate sanzioni a Rosneft o Lukoil o Gazprom, come accadde a Rusal, avremmo praticamente chiuso i sistemi energetici dell’Europa”.
SCENARI
Cosa potrà accadere adesso nelle relazioni energetiche tra Riad e Mosca? In occasione della Settimana dell’Energia promossa il 3 ottobre scorso a Mosca, il ministro saudita dell’energia Khalid al-Falih ha confermato una visione petrolifera parallela a quella russa e con essa intrecciata.
Ma la conferma della durata della partnership annunciata si avrà solo quando andranno apposte le firme su una serie di progetti comuni (che attendono il nulla osta) su gas e petrolchimico.
Lo scorso giugno, in occasione dei Campionati Mondiali di Calcio in Russia, il presidente russo Vladimir Putin e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman hanno ampiamente discusso su come aumentare la produzione di petrolio mantenendo la loro “petro-alleanza”, con un occhio a due elementi esterni ma influenti in questa partita: come le sanzioni statunitensi all’Iran e il crollo dell’industria petrolifera venezuelana.
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