Nella notte del 17 luglio 1918 affogò nel sangue la dinastia dei Romavov. Una delle più atroci e spregevoli pagine della storica dell’albeggiante Novecento, sul finire della prima grande guerra civile europea, venne scritta a Ekaterinburg, nella cantina umida e maleodorante della casa del mercante Ipat’ev, confiscata dal soviet locale per celebrare il grande evento della mattanza imperiale.
Regista della macabra messa in scena fu Jakov Michailovic Jurovskij, capo dei bolscevichi della cittadina degli Urali, diventata dopo l’eccidio capitale dell’orrore sovietico che le fruttò fama e sviluppo tanto che oggi, a cento anni dall’evento, è il centro industriale e culturale dell’Oblast’ di Sverdlovsk , quarta città della Russia per abitanti.
Una curiosa nemesi storica: Ekaterinburg, fondata nel 1723, venne intitolata alla Grande Martire Caterina, Santa patrona della zarina Caterina I di Russia, moglie di Pietro il Grande, l’artefice delle fortune della dinastia, che laggiù, lontana dal suo mondo, avrebbe visto finire tragicamente la propria storia. L’ultimo erede di una stirpe se non gloriosa, di certo tra le più potenti d’Europa per circa trecento anni, Nicola II, mai avrebbe immaginato succedendo a suo padre Alessandro III che il destino aveva in serbo per lui la morte più atroce, la disfatta più totale.
Con la moglie, le quattro figlie e lo zarevic Alessio attesero che i proiettili mettessero fine ad una lunga pantomima inscenata dai bolscevichi che neppure ebbero l’illuminazione di rappresentare una tragedia in grande stile, come pure si conveniva alla corte di Lenin che non aveva il genio criminale e le fattezze crudeli del suo successore, lo spretato Josip Jugasvili Stalin. Gli eredi di un grande casato furono ammazzati così, un po’ vergognosamente, quasi nella consapevolezza che si stava commettendo un’ingiustizia alla quale la vecchia Europa non fece cenno di voler reagire. E dire che i Romanov erano imparentati con quasi tutti i potenti del Continente.
Ascesa al trono dopo l’estinzione del regno imperiale dei Rjurikidi alla fine del XVI secolo, la famiglia Romanov il cui primo autocrate, Ivan il Terribile, mai avrebbe immaginato per essa una fine tanto cruenta, ha segnato il cammino della Russia tra spinte regressive di barbarie autentica, intrighi familiari e genialità politica mescolati ad un realismo che è stato il dato distintivo della dinastia perfino nei momenti di maggiore debolezza per via della inadeguata gestione del potere di alcuni zar.
La narrazione, avvincente e documentata, sia pur essenziale nello spazio di uno libro agile e ben scritto, che ci propone Raffaella Ranise (I Romanov. Storia di una dinastia tra luci e ombre, Marsilio, pp. 133, € 15,00), ripercorre i momenti decisivi dell’affermazione della dinastia, le molteplici tragedie che l’hanno segnata e lo splendore della potenza di Pietro il Grande e della Grande Caterina II, entrambi attratti dalla smagliante cultura dell’Occidente e dalle realizzazioni architettoniche, urbanistiche, artistiche rese possibili nelle maggiori capitali europee da uomini d’ingegno tra i quali numerosi italiani cui di servono le sublimi edificazioni di San Pietroburgo, di Mosca e di Kiev, vera capitale della “russità” dove tutto ebbe inizio.
Tra Carskoe Selo, la città degli zar, e San Pietroburgo soprattutto, ma Mosca ha pure avuto la sua importanza, si snoda la storia di una famiglia la cui fortuna ebbe inizio con una donna, in un tempo in cui la marginalità femminile era evidente. La figlia di Roman Jurevic Zachar’ina-Koskin, Anastasija Romanovna Zachar’ina, che sposò Ivan IV il Terribile , e fu incoronata zarina. Il loro matrimonio fu molto felice e la sua morte, prematura e misteriosa, nel 1560 rese Ivan un uomo privo di scrupoli e perciò fu detto il Terribile: convinto che la moglie fosse stata avvelenata, lo zar instaurò un regime di terrore e commise stragi, se a risparmiare neppure il primogenito che per un litigio venne uscio dal padre stesso.
Il più giovane Fëdor, principe mite, ma mentalmente instabile ereditò il trono, ma di fatto a governare fu suo cognato Boris Godunov. Una storia di sangue che la Ranise puntualmente riferisce, senza trascurare i numerosi complotti che la coronarono, fino a stabilire che una dinastia nata nel sangue non potere che finire nel sangue. In mezzo grandi imperatori e figure di dubbia fama tennero comunque le redini dell’impero fino a quando poterono esercitando un’influenza non indifferente nella politica europea soprattutto tra i XVI ed il XVII secolo.
Dopo Pietro il Grande, Elisabetta di Russia, Pietro III, Caterina II, con Paolo I si può dire che la decadenza incominciò inesorabilmente la parabola discendente. Anche questi venne ucciso in una congiura ordita a palazzo, ma la monarchia non subì contraccolpi grazie alla capacità di Alessandro I. Poi, la decadenza divenne evidente. La situazione politica, sociale ed economica della Russia era tale che chiunque ne sarebbe rimasto schiacciato. Nicola II non era certo quel che si dice un uomo di polso ed oltretutto era abbastanza riluttante ad assumere il ruolo che il destino gli aveva riservato. Il resto lo fece la marcia trionfale della storia che sempre s’incarica d’intervenire nelle disperate condizioni dei popoli quando questi non hanno più niente da dire e sentono vibrare dentro se stessi la corde del declino. Una malattia alla quale è forse inutile opporsi soprattutto quando la si scopre tardivamente.
I Romanov ne furono consapevoli, ma intanto l’orologio si era messo a correre come neppure Alessandro III sospettava. Eppure il presagio della fine dovette averlo quando alla sua vita attentò un giovane che si chiamava Aleksandr Uljanov. Giustiziato, suo fratello giurò che lo avrebbe vendicato, che avrebbe sterminato i Romanov. Era solo un bambino, ma intuì che quel mondo sarebbe presto finito. Si chiamava Vladimir Illic Ulianov Lenin. Non fu lui a dare direttamente l’ordine di sterminare gli ultimi Romanov, ma se ne gloriò come se l’avesse fatto. Un’altra dinastia si stabilì a Mosca, e non aveva nulla di regale, ma concorreva con quella monarchica in grandezza. Una grandezza tragica e oscura.