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La ricetta per una sanità globale sostenibile. Parla David Salisbury (Chatham House)

“Grazie ai vaccini, negli ultimi 16 anni 640 milioni di bambini sono stati immunizzati e 9 milioni di morti sono state evitate. Purtroppo, però, vi sono barriere che frenano questo trend positivo, fra cui investimenti e risorse insufficienti, che spesso dimenticano quanto i vaccini e la prevenzione abbiano ricadute positive anche sull’economia. I costi per curare una malattia sono sempre maggiori di quelli per prevenirla”. Parola di David Salisbury, Associate Fellow Global Health Security di Chatham House, che Formiche.net ha avuto il piacere di intervistare a margine dell’incontro che si è tenuto al Senato, “Global health. L’Italia driver di best practice”.

Nonostante si stia diffondendo la percezione dell’importanza dell’immunizzazione e dei vaccini, vi sono ancora risultati non del tutto soddisfacenti in alcune aree del pianeta. Cosa frena questo trend positivo? Quali sono le barriere ancora presenti?

Le sfide da combattere sono fondamentalmente due. La prima è assicurare che ovunque nel mondo i bambini, e gli adulti, abbiano accesso a vaccini sicuri ed efficaci. Quello che manca nel mondo sono equità, parità e uguaglianza. I bambini dei Paesi industrializzati sono avvantaggiati perché godono di facile accesso ai vaccini, mentre i bambini dei Paesi non ancora sviluppati hanno difficoltà a reperirli per la semplice ragione di essere nati dove sono nati. Il problema, dunque, non sarà risolto finché non vi sarà uguale disponibilità dei vaccini in ogni parte del mondo, a prezzi accessibili a chiunque. L’altra, altrettanto importante, giunge proprio dai Paesi industrializzati, dove viene messa in discussione la sicurezza e la genuinità dei vaccini. Nel mondo industrializzato non si assiste più alla diffusione di malattie infettive, per cui non avendo più paura di quest’ultime, nasce la paura del vaccino. Ma solo perché non si ha la percezione di quanto sia pericolosa, invece, la malattia da cui li si protegge.

Immunizzazione e prevenzione, oltre ad avere effetti diretti sulla salute delle persone, hanno ricadute positive anche sull’economia. Eppure questa percezione non è ancora radicata. Cosa si può e si deve fare in questo senso?

Quando si riesce a dimostrare che investire in prevenzione rappresenta un buon uso delle risorse, sempre più governi prendono decisioni che portano a investire in programmi vaccinali. Nella maggior parte delle situazioni, però, i Paesi sono alla ricerca di risultati che dimostrino il rapporto positivo tra il costo e il beneficio dei programmi. Le vie da percorrere sono diverse. Spesso non basta guardare solo al mero valore o al mero costo del programma vaccinale, e quindi i risultati dei costi e della prevenzione rispetto ai costi del dover affrontare la malattia nella sua insorgenza. Si può adottare, invece, un approccio più ampio, calcolando anche i costi indiretti, come ad esempio i genitori che devono assentarsi dal lavoro per le malattie dei figli, oltre che per le proprie, oppure, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, il fatto che un bambino sano può raggiungere un livello di istruzione maggiore e migliorare l’economia del Paese. Oppure, ancora, raggiungendo l’uguaglianza di genere nell’accesso alle cure, ancora non garantita in tutti i Paesi, e vaccinando lo stesso tasso di bambine rispetto ai bambini. Anche questo garantirebbe un grande slancio all’economia.

Ci sono diverse forme di cooperazione che possono aiutare la diffusione dei vaccini. In primis, quella internazionale. In secondo luogo, le partnership pubblico-private. In che modo?

Credo che alla base della cooperazione internazionale vi sia il senso di responsabilità da parte dei Paesi che godono di maggiori privilegi nei confronti di chi, invece, questi privilegi non li ha. Molti Paesi europei hanno una lunga tradizione di generosità nei confronti di queste situazioni perché condividono i risultati dei privilegi di cui godono. Le partnership pubblico-private, invece, possono essere uno strumento molto importante perché, mettendo a fattor comune i punti di forza di entrambi i settori, i risultati sono di gran lunga superiori, senza mai dover compromettere l’indipendenza di nessuno.

Lei spiega che i vaccini aiutano ad arrestare la resistenza agli antibiotici. Si tratta di due sostanze medicali, i vaccini e gli antibiotici, spesso accomunati da una scarsa, e sbagliata, conoscenza degli stessi. Quanto è importante la comunicazione esterna in questo settore?

L’emergere della resistenza agli antibiotici è un problema molto serio che va affrontato al meglio e quanto prima. Ma come? Cercando di ridurre al minimo la richiesta di antibiotici quando non strettamente necessari. Ovviamente, meno uso se ne fa, minore è la possibilità di svilupparne resistenza. È necessario, dunque, che le persone e gli operatori sanitari capiscano l’importanza – e le conseguenze –di un uso non appropriato degli antibiotici. È stato dimostrato che la diffusione di infezioni può essere prevenuta tramite l’uso dei vaccini. Per cui se ci si vaccina, e di conseguenza non ci si ammala, inevitabilmente non insorgerà nemmeno la necessità di ricorrere agli antibiotici. È una sorta di circolo virtuoso ed è quindi fondamentale operare in questo senso.

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