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Crescere o morire. Una santa alleanza per gli investimenti

rossi

C’è deficit e deficit. E ci sono investimenti e investimenti. C’è per esempio il disavanzo usato per varare misure di tipo assistenzialista e invece quello più orientato allo sviluppo e alla crescita. Allo stesso modo ci sono investimenti dispersivi di risorse e invece quelli più mirati e dunque dal maggior impatto sull’economia italiana. Ma come trovare il modo di favorire i secondi?

Da questa domanda è partito un importante dibattito Una nuova alleanza per lo sviluppo del Paese, organizzato ieri pomeriggio alla Camera dall’Accademia Aises e la società Universal Trust, nel corso del quale è stata sancita una sorta di “santa alleanza” nel nome degli investimenti sotto forma di gruppo di lavoro: la Global Investors Alliance, siglata da banche, assicurazioni e fondi di private equity.

Perché se è vero che un Paese come l’Italia ha un disperato bisogno di investimenti, soprattutto infrastrutture, allora è vero anche che bisogna saper scegliere molto bene dove mettere i soldi. Proprio per non buttare quelle poche risorse a disposizione che quest’anno, nella manovra d’autunno, dovrebbero ammontare, Ue permettendo, a 10-15 miliardi di euro.

Il senso dell’incontro, aperto dal presidente di Aises, Valerio De Luca, lo ha dato il direttore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, (in foto), con un’analisi precisa. “Investire oggi è qualcosa di importante, di fondamentale per questo Paese. Senza investimenti non c’è sviluppo, non c’è crescita. Ma un conto è dirottare le risorse su vecchi capannoni che non servono a nessuno, un conto è investire sull’innovazione. Questa è la scelta, cosa fare, dove investire e quanti soldi usare”. Rossi ha più volte sfiorato l’aggiornamento del Def (Bankitalia aspetta i numeri ufficiali prima di commentare), appena approvato. “La cosa importante è che laddove ci siano degli investimenti essi abbiano una forte spinta sulla ricchezza e vadano a creare crescita laddove non ce ne sta. L’errore sarebbe, prima ancora che non investire, impiegare le risorse disponibili in qualcosa che non dà crescita”.

Messaggio chiaro: investimenti sì, ma con la testa. Che è proprio quella che manca, almeno secondo Gabriele Galateri di Genola, presidente delle Generali e altro ospite eccellente dell’incontro nella biblioteca di San Macuto. Il numero uno del Leone ha puntato il dito contro l’assenza di una governance adeguata in grado di calibrare la spesa. Il problema sollevato dal presidente di Generali non è da poco conto perché senza una vera centrale operativa degli investimenti non è possibile pianificare alcunché. Non a caso, proprio ieri mattina, in un intervento pubblicato su Formiche.net, il consigliere del ministro Tria, Pasquale Lucio Scandizzo, ha rilanciato il ruolo di una task force interna al Mef per individuare gli investimenti più importanti e propedeutici alla crescita, quelli cioè in grado di accendere il Pil.

Detto della necessità di investire e una volta detto anche di farlo con criterio e senza sprechi, resta il nodo delle fonti. Non c’è solo lo Stato, ci sono anche le banche. Un tema su cui, si è soffermato lo stesso Rossi, parlando di un certo declino del tradizionale prestito bancario. “Oggi ci sono fonti alternative per reperire le risorse necessarie per investire, non ci sono solo le banche, ci sono per esempio i Pir o le obbligazioni. L’imprenditore che vuole investire può ricorrere a tanti strumenti e questo non fa che avallare una tesi: non si può sfuggire alla necessità di investire perché il modo e le fonti, si trovano”.

Il grande tema dell’evento è stato poi l’innovazione applicata al sistema bancario e più in generale finanziario. Non ci sono solo le strade e i ponti ma anche le tecnologie con le quali ammodernare le infrastrutture finanziare. Un tema sul quale si sono confrontati Pietro Sella, banchiere a capo dell’omonimo gruppo e Stefano Scalera, direttore generale dell’ufficio studi del Tesoro. “Oggi se si parla di innovazione, qualcuno, anzi più di qualcuno, pensa a una minaccia più che un’opportunità. Ma non è così. Nella banche c’è il fintech, un’innovazione che deve essere abbracciata”, ha spiegato Sella.

“La verità è che l’investimento in tecnologia dà più opportunità che problemi. Lo hanno capito già da molto tempo in altri Paesi. Faccio un esempio. A Londra negli ultimi anni per l’innovazione finanziaria sono stati spesi 1,7 miliardi, a Berlino 350 milioni. E a Milano? Solo 17. Questa è la cifra che indica il nostro livello di innovazione. Appare evidente come all’estero l’innovazione non sia temuta ma anzi, abbracciata”. Pochi dubbi sui vantaggi della tecnologia anche per Fabio Sattin, presidente di Private Equity Partners, per il quale “nei prossimi anni tutta questa tecnologia non farà altro che intersecare le diverse tipologie di investimenti, con un’incognita. L’impatto tecnolgico potrebbe essere così grande da stravolgere tutto quello che stiamo dicendo qui oggi”.

A tirare le fila di tutto il discorso, Pierpaolo Abet, ceo di Universal Trust. “Abbiamo davanti a noi un nuovo scenario, fatto di tecnologia e nuovo accesso ai servizi finanziari. L’impatto del fintech è enorme e questo significa che c’è anche un nuovo modo di reperire le risorse necessarie per finanziare gli investimenti. Il private equity e il venture capital se ne sono accorti da tempo, dirottando le proprie risorse verso i settori più innovativi dell’economia”. In questo senso Global Investor Alliance “vuole essere l’interconnessione perfetta per settori e mondi diversi, banche, assicurazioni e private equity anche per rivolgere un invito a tutti gli investitori al mondo: investite sull’Italia”.

 

 


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