Con l’ingresso ufficiale di Am Investco, controllata da Arcelor Mittal, nella gestione dell’intero Gruppo Ilva e del Siderurgico di Taranto inizia oggi 1° novembre una nuova fase nella vita della più grande acciaieria singola dell’Unione europea che resterà – pur con un numero ridotto di occupati pari a 8.200 unità – la prima fabbrica manifatturiera italiana per addetti diretti. È una svolta storica questa che colloca lo stabilimento sotto il controllo del primo produttore di acciaio al mondo. Lo rileviamo non per enfatizzare oltremisura l’evento – che peraltro è accompagnato da problematiche sindacali, tecnologiche, ambientali e sociali di grande complessità su cui torneremo fra breve – ma per segnalare il nuovo orizzonte societario in cui si collocherà d’ora in poi ogni rapporto fra management aziendale e rappresentanze dei lavoratori.
A 58 anni dal 9 luglio 1960 quando venne posta la prima pietra della fabbrica e a 54 dall’entrata in esercizio dei primi due altoforni avvenuta nell’ottobre del 1964, il sito ionico – la cui realizzazione si era collocata nel solco del Piano di riordino e rilancio della siderurgia pubblica italiana perseguito nel secondo dopoguerra da Oscar Sinigaglia il quale però, scomparendo nel 1953, non vide il nuovo insediamento nella città bimare – dovrà restare anche con la nuova proprietà uno dei pilastri del manifatturiero nazionale, fornitore di una buona parte dell’industria meccanica del nostro Paese la cui sezione prevalente è localizzata al nord, anche se quote crescenti di coils, lamiere e tubi in partenza da Taranto potranno essere destinate alle esportazioni. Questo, a nostro avviso, è il primo dato da sottolineare che ci auguriamo sia condiviso dalla nuova gestione, pur se è del tutto comprensibile che lo stabilimento debba integrarsi nell’assetto produttivo ed impiantistico sovranazionale dell’acquirente.
Pertanto in tale prospettiva è fondamentale che il siderurgico pugliese non venga declassato, conservi l’area a caldo resa più ecosostenibile e recuperi la produzione dell’intera gamma dei suoi beni intermedi – lamiere, tubi e coils – in particolare migliorando di questi ultimi anche la qualità in modo tale da recuperare stabilmente clienti come alcuni big player del settore automotive.
Gli investimenti per ammodernare i cicli produttivi e migliorarne l’ecosostenibilità, pari in totale a 2.393 milioni di euro, divisi fra 1.256 milioni in investimenti tecnici e 1.137 in quelli ambientali, dovranno essere realizzati nei tempi anticipati rispetto a quanto stabilito inizialmente, così come la copertura dei parchi minerali – da terminarsi alla fine del prossimo anno – mentre ci si dovrà preparare con particolare impegno a sperimentare anche l’impiego del preridotto di ferro, una volta superati (come stabilito) gli otto milioni di tonnellate prodotte, sia utilizzandolo negli attuali altiforni e sia in uno o più forni elettrici eventualmente da installare, previa accurata verifica dei costi del gas necessario per produrre il preridotto e soprattutto del ritorno degli ingenti investimenti prevedibili in tale ipotesi.
Si diceva in precedenza delle complesse problematiche che accompagnano l’evento odierno che in ogni caso, lo ripetiamo, assume una valenza epocale. E la prima riguarda le modalità con cui sono stati selezionati gli 8.200 dipendenti che da oggi sono in distacco dall’amministrazione straordinaria e che dal 1° gennaio del 2019 saranno assunti dalla nuova proprietà. Non sono mancati infatti nei giorni scorsi molti dubbi, forti perplessità e alcune recriminazioni di chi, pur non avendo optato per l’incentivo alle dimissioni, non rientrerà alle dipendenze della nuova gestione e transiterà nella cigs rimanendo così a carico dell’amministrazione straordinaria, con la possibilità di essere impiegato nelle bonifiche, sia pure in un numero non superiore alle 300 unità. I dirigenti sindacali hanno dichiarato che intendono chiedere spiegazioni al management Arcelor per cercare di evitare il più possibile eventuali contenziosi e consentire così un avvio relativamente tranquillo delle nuove relazioni industriali. Ed è auspicabile che i chiarimenti fra le parti avvengano con reciproca comprensione perché di tutto il Siderurgico ionico avrebbe bisogno fuorché di ripartire con nuove tensioni e conflittualità fra direzione di stabilimento e maestranze che, a loro volta, saranno così suddivise: 717 addetti ad altiforni e sinterizzazione, 1.312 nelle centrali di manutenzione e pezzi di ricambio, 424 nell’area cokerie, 164 nel facility management, 366 a materie prime e porto, 57 ai servizi ecologici, 1.607 nell’acciaieria, 509 alla laminazione a freddo e 616 ai prodotti piatti e tubi; ad essi poi devono essere aggiunti fra gli altri impiegati e dirigenti.
E se è consentito allo scrivente avanzare un (sommesso) suggerimento, sarebbe auspicabile – dal momento che non vi sarà più, come sembrerebbe da alcune anticipazioni di stampa, un solo direttore di stabilimento, ma tre nuovi direttori di divisione ovvero area a caldo, laminati e personale – che i nuovi manager chiamati a guidarle conoscano nel corso del tempo tutti gli occupati del sito, non per un esercizio di demagogia ma perché gli operai, i tecnici, i quadri, gli impiegati e i dirigenti che saranno riassunti hanno assicurato ogni giorno con grandi sacrifici il funzionamento della fabbrica, duramente stressata sotto ogni profilo dalle vicende avviatesi dal luglio del 2012: e pertanto, oggi e per i prossimi anni, saranno ancora loro se ben motivati a far funzionare al meglio con la loro professionalità la prima fabbrica siderurgica a ciclo integrale d’Europa.
Come con tutte le persone che saranno riassunte, così limpido ma fondato su esclusive logiche di mercato dovrà essere il rapporto del nuovo management con il vasto sistema delle aziende dell’indotto che hanno salutato positivamente la definitiva aggiudicazione del Gruppo Ilva ad Arcelor perché ciò ha significato l’atteso superamento di una situazione di incertezza che era divenuta ormai insostenibile. Ma se da un lato l’Ufficio acquisti della multinazionale indiana dovrà comprendere sino in fondo che un sito come quello tarantino è ben conosciuto dalla imprese impiantistiche (locali e non) che vi lavorano da molti anni, è altrettanto vero che quelle stesse aziende dovranno migliorare ulteriormente gli standard di qualità e di prezzo sia delle loro prestazioni interne allo stabilimento e sia delle lavorazioni di supporto eseguite in capannoni esterni ad esso, concentrati in alcuni Comuni dell’hinterland, come ad esempio quello di Massafra, le cui costruzioni meccaniche pesanti sono in larga parte alimentate dalla domanda del Siderurgico. In tale prospettiva sarebbe auspicabile, a parere di chi scrive, che si costituisse un consorzio di impiantisti locali, partecipato se del caso anche da imprese esterne ed anche straniere, per qualificare l’offerta complessiva di prestazioni che però dovrebbero guardare sempre di più ad altri committenti italiani ed esteri.
Aziende come Comes, Modomec, Stoma group, Serveco – solo per citarne alcune, senza voler far torto a tante altre – già hanno diversificato da lungo tempo i loro mercati, acquisendo commesse anche su alcuni di essi all’estero. Certo, lavorare per il primo produttore di acciaio al mondo nella più grande fabbrica siderurgica europea è un titolo di merito – è bene non dimenticarlo mai – ma Arcelor Mittal ha dimensioni di mercato e di subforniture di livello internazionale e con quelle dimensioni, piaccia o meno, bisognerà cimentarsi anche nell’indotto tarantino.
Altro aspetto complesso che sicuramente la nuova gestione della mega-fabbrica avrà valutato con grande attenzione è quello del rapporto con le Istituzioni cittadine e regionali, con il mondo della scuola e dell’Università, con tutte le altre autorità civili e religiose – anche l’Arcivescovo Monsignor Santoro è un interlocutore autorevole, equilibrato e molto attento da sempre alle problematiche dello stabilimento e del suo rapporto con la città – e con altre rappresentanze della società civile.
E se anche in questo caso è consentito al sottoscritto avanzare un consiglio (non richiesto) ai nuovi gestori suggeriremmo loro di essere sempre disponibili al dialogo e al confronto costruttivo con il territorio e i suoi rappresentanti che, a loro volta, devono comprendere con chiarezza che la conduzione di una fabbrica di quelle dimensioni che deve competere nel mondo – ripeto, nel mondo – non è neppure minimamente assimilabile a quella di un club culturale preposto solo ad alimentare dibattiti permanenti.
Taranto oggi è ad un bivio, lo sappiamo tutti ed è inutile ripetersi su questo punto: la grande partita per il rilancio competitivo ed ecosostenibile del siderurgico si può e si deve vincere a condizione che tutti – azienda, sindacati, Istituzioni e società civile – abbiano piena consapevolezza di cosa significhi questo in termini di comportamenti individuali e collettivi. Equilibrio, saggezza, trasparenza e lungimiranza da parte di tutti dovranno essere gli ingredienti necessari per scrivere una nuova pagina di storia industriale a Taranto, in Puglia, nel Mezzogiorno e nel Paese: una pagina che sia degna di tutti gli uomini e le donne di buona volontà.