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L’accordo Ue per la Brexit? È il funerale della politica. L’analisi di Sommella

Brexit may referendum regno unito

Dopo l’approvazione dell’accordo per la Brexit con l’Unione europea, la premier britannica Theresa May ha convocato il suo gabinetto di governo. Le tensioni non mancano, e in molti credono che la spaccatura tra i conservatori rischi di fare saltare l’intesa tanto sofferta. L’accordo potrebbe saltare all’interno del Parlamento britannico. Il voto è previsto entro il Natale. “Questo è il solo accordo possibile – ha dichiarato May -. Se le persone pensano che ci sia un altro negoziato da fare, non è così. Questo è l’accordo, ed è il risultato di un lungo e difficile periodo di negoziati, questo è l’unico accordo sul tavolo ed è il miglior accordo possibile, l’unico accordo possibile”.

Tra il nodo su Gibilterra e la questione delle attività di pesca, i punti delicati dell’accordo sono tanti. L’accordo prevede un periodo di transizione fino alla Brexit, fissata per il 29 marzo 2019. Se invece nulla cambia, il periodo potrebbe essere prorogato fino al 2022. Roberto Sommella, giornalista e saggista esperto di Europa e conti pubblici, direttore delle Relazioni esterne dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, fa luce su sugli effetti dello storico divorzio tra il Regno Unito e l’Unione europea in una conversazione con Formiche.net.

L’accordo dell’Ue per la Brexit è il funerale dell’Europa? C’è chi contesta alcuni punti, come gli accordi commerciali sui prodotti agricoli e sulle attività di pesca. 

Per ora è il funerale della politica e la vittoria del righello. Riletta con gli occhi di oggi la celebre affermazione di Napoleone, la politica è fatalità, risulta inappropriata. Quello che sta succedendo in Europa, l’avvento del sovranismo, la Brexit, le pulsioni italiane a non rispettare le regole contabili, sono tutte frutto della politica, che cerca in modo confuso di riappropriarsi dei suoi spazi a danno della tecnica degli euroburocrati, quella sì scandita da tempistiche fatali. E quelle tempistiche, che lasciano ingabbiata la Gran Bretagna nelle procedure europee fino a dicembre del 2020 per ora hanno avuto la meglio perché comunque Londra dovrà fare di tutto per restare per un po’ nell’unione doganale e per evitare il tracollo finanziario fuori dal mercato unico. E questo l’hanno capito anche i mercati e la sterlina, che restano alla finestra.

Chi vince e chi perde con questo accordo per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea?

Perdono tutti. Ha detto bene Jean-Claude Juncker, sono giorni tristi. La politica, quella che doveva evitare di arrivare a questo punto, ha abdicato alla tecnica. La politica, quella vera, quella che fu di Adenauer, De Gasperi e Mitterrand e che ci ha portato ad abbattere la povertà in Europa dopo la seconda guerra mondiale, in questo accordo, che ora è sottoposto ad un incertissimo voto a Westminster che mette in pericolo il governo di Theresa May, non c’è. È sparita. Che fine ha fatto il senso pratico della democrazia più antica del mondo, capace di battere proprio Bonaparte, e di dimostrare poi in due guerre mondiali che non c’è nulla di scontato o fatale, altrimenti sarebbero rimasti neutrali davanti alla furia di Hitler. Questa è la Gran Bretagna che ci sta salutando, un pezzo della nostra vita, della nostra storia.

L’Europa sembra andare a pezzi… Dal divorzio con Londra ai movimenti sovranisti che stanno spuntando ovunque, anche in Spagna. Come potrà l’Unione europea fortificare l’unità dopo l’addio dei britannici?

Siamo al paradosso del righello degli sherpa, che vince sul ragionamento dei capi di governo. Chi possiede i trattati, le procedure, le liturgie di Bruxelles, batte il tempo. L’Europa non va in pezzi per questa Brexit sciagurata, sciagurata perché l’accordo di Cameron per restare nell’Ue era nettamente migliore di quello della May per uscire, va in pezzi perché gli europei non capiscono più se esiste spazio per il loro destino negli estenuanti meeting che si susseguono su tutto: l’addio britannico, la manovra italiana, le politiche migratorie, la pesca in Groenlandia. L’Ue si dissalda perché parla il linguaggio solo dei numeri e non delle persone. Eppure c’è tantissimo interesse al tema del mercato unico, pensi che sto organizzando un Master su Antitrust, Brexit e tutela della concorrenza, per quante richieste di approfondimento giungono tra gli studenti che incontro alle lezioni, a partire da quelle del mio seminario all’Università Roma Tre per finire alla Bocconi di Milano. I giovani sanno che l’Europa è l’unica risposta, i politici non l’hanno ancora capito.

Alcuni economisti stranieri si dicono più preoccupati per la situazione italiana che per la Brexit. Secondo lei l’Italia è più pericolosa per la stabilità economica dell’Europa? Perché? 

Gli economisti spesso sbagliano. Esimi premi Nobel da anni prevedono la fine dell’euro, altri preconizzano un assurdo default dell’Italia. E invece siamo ancora qui, con la moneta unica più forte che mai. Certo, i problemi non mancano. L’Italia è un paese ricchissimo con uno Stato povero: prendiamone atto finalmente e agiamo di conseguenza. Le regole europee dell’Eurozona impediscono a qualsiasi governo una certa agibilità nella politica economica e per questo vanno cambiate. Mi sembra che ora anche l’esecutivo di Giuseppe Conte stia riconsiderando lo sforamento del deficit, rasserenando il clima. Ma non basta. Occorre capire che l’Italia è un’opportunità di riforma per l’Unione Europea, non certo un problema o addirittura un pericolo. Dobbiamo solo capire di essere forti, avere questa consapevolezza.

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