“Te ne prego, buon Mercuzio ritiriamoci:
la giornata è calda, i Capuleti son fuori di casa,
e, se ci incontriamo, non potremo evitare una rissa,
poiché in queste giornate di caldo il sangue, inviperito, ribolle.”
[Benvolio in “Romeo e Giulietta” Atto III, Scena 1]
Chiariamo subito una cosa: il clima della Terra è cambiato diverse volte nel corso della sua storia. Sappiamo che negli ultimi 650.000 anni ci sono stati sette cicli di grandi glaciazioni separati fra loro da periodi caldi in cui i ghiacciai si ritiravano. Queste alternanze fra glaciazioni e periodi interglaciali sono state provocate soprattutto da piccole variazioni della quantità di luce solare che colpiva il pianeta, causate a loro volta da minuscole variazioni nella sua orbita. Alcune oscillazioni termiche di periodo più breve sono state invece provocate da periodi di intensa attività solare evidenziata dalle macchie solari. A volte, la temperatura globale è diminuita a causa dell’immissione di grandi quantità di polveri finissime negli strati alti dell’atmosfera. Queste sono state prodotte da ceneri eruttate dai vulcani che hanno bloccato la luce solare rimanendo poi in sospensione per diversi anni prima di precipitare di nuovo a terra.
Ogni oscillazione ciclica fra climi estremamente rigidi e climi caldi è sempre durata decine di migliaia di anni. Così, tutti gli ecosistemi sono riusciti facilmente a compensare la lentissima variazione di temperatura alternativamente migrando lentamente verso aree più temperate oppure riconquistando altrettanto lentamente territori prima inaccessibili a causa delle basse temperature.
Poi, circa settemila anni fa, è terminata l’ultima Era Glaciale ed è iniziato il ciclo climatico attuale.
Dopo alcuni millenni di clima abbastanza costante, il riscaldamento globale a partire dalla metà del XIX secolo ha assunto caratteristiche completamente diverse. Questa volta il riscaldamento è stato rapidissimo: 0,85 gradi centigradi solo dal 1880 al 2012. E per giunta, non cresce solo la temperatura media di terre e oceani ma anche la velocità con cui questa si alza: negli ultimi tempi, registriamo aumenti di temperatura di 0,13 °C ogni dieci anni e ogni anno, praticamente ovunque, si registrano i mesi più caldi nella storia.
Questi dati sono accettati dall’intera comunità scientifica internazionale e sono verificati dal carotaggio di ghiacciai perenni, dall’analisi degli anelli di accrescimento di piante secolari o di barriere coralline altrettanto antiche oltre che, negli ultimi 200 anni, da misurazioni dirette.
Mentre in tutta la storia del Pianeta, le oscillazioni termiche avevano origini naturali e si estendevano su periodi enormi su scala umana, l’innalzamento della temperatura che stiamo vivendo ora è iniziato solo 100-150 anni fa ed è molto più rapido. La comunità scientifica mondiale è praticamente unanime nell’individuazione del colpevole: stavolta la colpa è delle civiltà umane. L’industrializzazione, l’urbanizzazione, l’aumento dei commerci su lunghe distanze, l’agricoltura intensiva e l’aumento del benessere nei Paesi più evoluti hanno richiesto e richiedono enormi quantità di energia. Questa è stata ricavata soprattutto estraendo e bruciando combustibili fossili liberando una grande quantità di anidride carbonica in poco più di un secolo e mezzo: la stessa quantità che era stata sottratta al ciclo della vita e che si era accumulata nel sottosuolo in centinaia di milioni di anni a partire dal Paleozoico.
Bene, la temperatura della Terra è salita solo di un grado in un secolo. Dove sta il problema?
Purtroppo non è un aumento trascurabile. Anche se un grado centigrado in più sembra poca cosa, variazioni anche impercettibili alla temperatura media globale possono provocare enormi squilibri nell’ambiente. Pensate che, nella storia della Terra, diminuzioni di temperatura comprese fra soli 5 e 9 centigradi hanno provocato le più rigide ere glaciali e coperto il continente europeo e nordamericano con ghiacciai alti fino a un migliaio di metri.
Allo stesso modo, secondo il gruppo Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC: la maggiore autorità internazionale sul cambiamento climatico riconosciuta dai governi di tutto il mondo), l’aumento della temperatura media provoca lo scioglimento di 3 mm di ghiaccio all’anno su tutti i ghiacciai e le calotte del pianeta. E questo può causare il completo scioglimento dei ghiacciai dell’Artico ed un innalzamento delle acque compreso fra mezzo metro ed un metro entro la fine del secolo.
Ma lo scioglimento dei ghiacciai può provocare danni non ancora facilmente quantificabili. Le terre non più coperte dalla massa di ghiaccio si solleveranno provocando frane e terremoti, mentre lo scioglimento del permafrost oceanico e la liberazione degli idrati di gas intrappolati lì sotto potranno aumentare la frequenza di tsunami.
Il permafrost copre solo il 9% del suolo terrestre, ma al suo interno sono intrappolati dal 25% al 50% dell’intera quantità di carbonio accumulato in tutta la crosta terrestre. Gli idrati di gas che verranno liberati sono costituiti da grandi quantità di anidride carbonica e da metano. Ma quest’ultimo ha un impatto sull’effetto serra ottanta volte maggiore della CO2 su un periodo di venti anni.
Mentre la comunità scientifica non ha dubbi sull’esistenza del cambiamento climatico e sulle sue cause, le previsioni sugli effetti variano molto. Ma nessuna di queste previsioni è positiva.
Il cambiamento climatico in atto provoca già sia un aumento della frequenza di periodi di grande siccità che – al contrario – di periodi di intensa piovosità. Ondate di calore e cicloni stanno aumentando sia come frequenza che come intensità.
Si prevede che la maggior parte degli ecosistemi sarà influenzata sia dall’aumento dell’anidride carbonica in atmosfera che dall’aumento della temperatura. Mentre piante ed animali stanno migrando verso i poli e verso le montagne, in pianura e nelle zone equatoriali e tropicali si vanno espandendo i deserti.
Negli oceani le cose non vanno meglio, l’aumento della CO2 disciolta nelle acque ne aumenta l’acidità danneggiando barriere coralline, il plancton (che sta alla base di intere catene alimentari) e le grandi colonie di pesci.
Anche le società umane saranno fortemente influenzate dal cambiamento climatico in atto; specialmente quelle a basse latitudini e con un minor tasso di sviluppo. Le infrastrutture vitali e gli insediamenti realizzati in isole, zone costiere e delta di fiumi (proprio dove si trovano i più grandi insediamenti) potranno essere gravemente compromesse dall’aumento del livello delle acque, dalla diminuzione delle aree coltivabili e dalla maggiore scarsità di pesci e animali. Questo provocherà migrazioni di popolazioni senzatetto che si riverseranno nelle aree meno colpite entrando in competizione sociale con le popolazioni autoctone più ricche.
Anche per queste ultime, quindi, il cambiamento climatico avrà forti ripercussioni. Ad esempio, su Nature nel 2014, scienziati delle università di Cambridge e del Colorado hanno quantificato il danno per l’economia dei soli Stati Uniti causato dallo scioglimento dei ghiacciai arrivando a indicare la cifra di 43 mila miliardi di $.
Lo sconvolgimento degli ecosistemi diminuirà la disponibilità di cibo (colture, animali e pesci) così come la quantità di acque potabili utilizzabili. Ed è facilmente prevedibile che questo innescherà competizioni violente per accaparrarsi le risorse ancora disponibili fra le popolazioni che sopravviveranno all’aumento delle epidemie diffuse da roditori, zanzare ed acari.
Nel 2014, una metaanalisi basata sulla combinazione di 56 studi scientifici ha portato a stimare che l’aumento dei conflitti sociali e delle azioni violente per accaparrarsi le risorse ancora disponibili pari al 20% in più per ogni aumento di un grado di temperatura.
Per evitare che questi scenari catastrofici si avverino, occorre mettere in atto strategie per il contenimento della produzione dei gas serra (in particolare della anidride carbonica) e per mitigare l’impatto delle attività umane sul nostro ecosistema. E farlo al più presto.