A quattro giorni da l 13 novembre, giorno in cui l’Italia dovrebbe presentare una versione della manovra a prova di Patto di stabilità (qui l’articolo di ieri), Giovanni Tria aveva davvero poco scelta. Anzi, per la verità non ne aveva affatto. Difendere l’attuale impianto della legge di Bilancio, senza se e senza ma. A tutti i costi. Anche perché se quanto detto ieri dallo stesso ministro (che nei fatti ha accusato l’Ue di eccessiva disinvoltura nel fare i calcoli all’Italia) e oggi dai mercati è vero, la rottura nei fatti si è già consumata. Questa mattina Tria è intervenuto alla Camera per ribadire la bontà delle scelte economiche del governo inserite nella ex finanziaria.
Tutto, o quasi, è racchiuso in questa frase del ministro. “In questi giorni il governo è impegnato nella predisposizione di una risposta sugli aspetti ancora controversi della manovra, una manovra che il governo intende confermare nei suoi pilastri fondamentali”. Tradotto, il 2,4% è più che una certezza, è un dogma. Lo stesso Tria non ci ha messo molto ad ammetterlo. “Il governo è stato autorizzato dal Parlamento a realizzare un deficit massimo del 2,4%, il governo si è impegnato a rispettare questo limite”.
Il vero problema è però un altro, la visione essenzialmente diversa tra Roma e Bruxelles. Agli occhi del governo la manovra così com’è è l’unico modo per uscire dalla sacca della decrescita, per bucare la bolla che avvolge l’Italia. Per l’Europa invece, le misure allestite dall’esecutivo e i relativi saldi di bilancio sono solo un tentativo mal riuscito di mettere in discussione gli equilibri di Maastricht. “Il rallentamento dell’economia evidenziato dagli ultimi dati, anche alla luce dell’incertezza internazionale, rafforza ulteriormente gli obiettivi della manovra, contrastare il rallentamento della crescita e fornire uno stimolo con gli investimenti pubblici. La manovra 2019 è stata pensata per uscire dalla trappola della bassa crescita”.
E la certezza che ormai Italia ed Europa parlino due lingue diverse, è arrivata dal vice-presidente della Commissione europea con delega all’euro, Valdis Dombrovskis, il quale ha fatto intendere quello che nessuno in realtà voleva sentirsi dire. E cioè che l’Ue ha aperto il dossier procedura di infrazione per disavanzo eccessivo. “L’esecutivo europeo sta valutando la necessità di aprire una procedura se Roma non apporterà le modifiche richieste alla legge di Bilancio entro il termine di martedì prossimo: aspettiamo ancora la risposta ufficiale del governo italiano”.
I mercati sembrano credere a questo scenario, allo scontro in campo aperto. Lo spread è tornato a sfondare quota 300 punti base dopo due settimane sotto la soglia psicologica e i rendimenti sul decennale hanno toccato nuovi massimi, al 3,4%. Il segno che gli investitori che ci prestano 400 miliardi all’anno, sono pronti al peggio. Ancora una volta però, Tria puntella: “È chiaro e l’ho detto più volte, 300 è un livello di spread che preoccupa se viene mantenuto a lungo. Lo spread non può dipendere dal disavanzo per il 2019 al 2,4%”.