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Qualcuno compra ancora il nostro debito. Ma la crescita rimane un miraggio

La buona notizia è che c’è ancora qualcuno all’estero che compra il nostro debito sovrano, prestandoci parte dei denari necessari a mandare avanti il Paese. Quella cattiva è che ancora una volta si leva una voce critica verso la legge di Bilancio, quella dell’Istat. Chi, cioè, ha il compito di fare i conti dentro e fuori le tasche del governo, per vedere se tornano. Il tutto mentre lo stesso esecutivo gialloverde si appresta a spedire a Bruxelles (il termine scade domani) la versione della manovra “rivista” nel suo impianto. Poco male, visto che i saldi di bilancio, che per l’Ue rappresentano il vero terreno di scontro, non cambieranno, a cominciare dal deficit. Collisione assicurata e procedura di infrazione più che probabile.

Detto questo, l’asta sui Bot a un anno di poco fa ha rivelato un dettaglio, non scontato. La domanda di debito c’è e costa anche un po’ meno in termini di interesse (qui un approfondimento di Formiche.net sui costi dello spread). Niente male per un Paese che dall’avvento del governo legastellato (stime di Bankitalia), ha già speso 1,5 miliardi in interessi sulle emissioni di titoli. Un altro esempio circa l’importanza di questi appuntamenti con gli investitori è l’asta di settembre: quando per prendere in prestito sei miliardi dagli investitori, il ministero dell’Economia ha dovuto promettere interessi per 26 milioni. A ottobre, nell’asta successiva, per una cifra equivalente, lo stesso Tesoro ne ha spesi 57 milioni. Finanziarsi sul mercato è stato quindi più caro di 31 milioni.

Oggi la nota intonata. Nell’asta odierna di Bot a un anno il rendimento medio è sceso allo 0,63% dai massimi da 5 anni toccati nel collocamento di ottobre allo 0,949%. Il Tesoro ha collocato così, mentre lo spread viaggiava sui 304 punti base, il massimo importo previsto di 5,5 miliardi di euro ottenendo un miglioramento della domanda che ha raggiunto quota 9,187 miliardi di euro con un rapporto di copertura in aumento a 1,67 da 1,63 dell’asta del mese scorso. Che cosa significa tutto questo? Che il debito sovrano italiano è ancora in grado di attirare investitori, perché considerato, ancora, sostenibile. Certo, le prove non sono finite visto che domani  il Tesoro metterà a disposizione degli investitori fino a 5,5 miliardi di euro di Btp a 3, 7 e 20 anni.

Fine delle buone notizie. Perché anche secondo l’Istat (nel pomeriggio toccherà a Confindustria dire la sua, gli obiettivi di crescita fissati dal governo si allontanano sempre di più. Secondo l’istituto di statistica, che ha aperto il nuovo round di audizioni sulla manovra, alla Camera, per conseguire l’obiettivo di crescita del pil all’1,2% nel 2018 previsto dalla nota di aggiornamento al Def  “in termini meccanici, sarebbe necessaria una variazione congiunturale del pil pari al +0,4% nel quarto trimestre dell’anno in corso”. E poco potrà fare la creatura a Cinque Stelle del reddito di cittadinanza visto che secondo i calcoli dell’Istat impatterà al massimo per lo 0,3%.

Numeri considerevoli se si pensa che nell’ultimo trimestre la crescita è stata nulla e che lo stesso l’istituto di statistica ricorda che l’indicatore anticipatore “registra un’ulteriore flessione” prefigurando una persistente “una fase di debolezza del ciclo economico”. Anche per questo il presidente Istat Maurizio Franzini ha rimarcato che “un mutato scenario economico potrebbe influire sui saldi di finanza pubblica in modo marginale per il 2018 ma in misura più tangibile per gli anni successivi”. Come a dire, o si cresce o si cresce.

E non è che in Confindustria siano più ottimisti. “La crescita del pil per il 2019 stimata a +1,5% dall’esecutivo è troppo ambiziosa e le manovra è insufficiente a realizzare gli obiettivi di crescita indicati dal governo” ha spiegato in audizione il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia. “L’esame del disegno di legge e la valutazione del contesto esterno ci portano a ritenere che questa stima sia troppo ambiziosa col rischio, tra l’altro, di rendere non sostenibili gli obiettivi del contratto di governo”.

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