Su una cosa si può convenire: i rapporti tra l’Italia e l’Europa non possono essere ridotti ad una “questione di zero virgola”, come hanno ripetuto molti esponenti governativi. Troppo serie sono le questioni sollevate e le attese dei mercati. È bastato, infatti, mostrare una maggiore disponibilità al necessario compromesso per far “rimbalzare” la borsa e ridurre la corsa degli spread. Posizioni al ribasso, prontamente chiuse, per non incorrere in maggiori perdite. Ed un piccolo ristoro dopo la pioggia di vendita sui titoli italiani.
I mercati restano, tuttavia, guardinghi. Pattinano piuttosto che invertire le tendenze pregresse, sebbene la sottovalutazione del listino sia evidente. Ma questo non basta per impostare strategie nel segno del toro. Lo si è visto nei giorni immediatamente successivi al tentativo di invertire una tendenza di più lungo periodo. Situazione di attesa o meglio di stallo con un’inclinazione leggermente negativa. Se l’ipotesi di compromesso è l’unica praticabile, salvo voler percorrere strade avventurose, le contro proposte italiane appaiono deboli.
Purtroppo il discorso sui decimali è reversibile. Soprattutto non giustificato alla luce del duro confronto dei giorni passati. Se era così semplice, perché non accordarsi subito ed evitare di perdere denaro, come avvenuto per la crescita della spesa per interessi? Semplicemente perché non è una questione di decimali, ma qualcosa di maggior peso. Com’è facile vedere dai numeri stessi della “manovra del popolo”.
Nel corso dell’esame parlamentare, il governo può tentare di abbassare il tiraggio della spesa. Operazione comunque non semplice da realizzare. Da che mondo è mondo, quel doppio passaggio (Camera e Senato) non ha mai migliorato i saldi di finanza pubblica. Li ha sempre peggiorati, sotto qualsiasi latitudine e con qualsiasi maggioranza parlamentare. Naturalmente c’è sempre una prima volta. Si può quindi sperare che questa sia quella buona. Ma con quali risultati?
Dilazionando i tempi dell’entrata in vigore del reddito di cittadinanza e delle modifiche alla legge Fornero, più qualche manovra di contorno, si possono risparmiare 3 o 4 miliardi. I decimali appunto. Ma alcune poste “identitarie” restano comunque fuori dal conto. Per le pensioni di cittadinanza, ad esempio, non c’è un euro. La dimostrazione di un’altra promessa mirabolante. Per dare 80 euro (cifra simbolica) agli oltre 11 milioni di pensionati al di sotto della soglia di povertà ci vogliono più di 10 miliardi. E non si raggiungerebbe la soglia dei 780 euro promessi.
Con una serie di convulsioni per il 2019 il deficit, sempre che tutto vada bene, può comunque scendere al 2,1 – 2,2 per cento. Ma nel 2020 quelle misure saranno a regime. In altre parole non si potrà giocare con astuzie e rinvii. Sebbene per quell’anno le previsioni della Commissione europea siano ancora più catastrofiche. Con un’ipotesi di crescita del deficit oltre le colonne d’Ercole del 3 per cento. Iattura che, nella logica della Commissione europea, può essere scongiurata solo se si interviene fin da subito. E si sfrutta, per l’anno successivo, l’effetto di trascinamento.
Margini, quindi, fin troppo stretti per un negoziato allo zero virgola. Questa, purtroppo, è la sgradevole realtà. Ipotizzare possibili soluzioni, in grado di salvare capra e cavoli, è un difficile e forse inutile esercizio. Così stando le cose, l’Italia rischia di cadere dalla padella alla brace, ed essere costretta a scegliere tra due mali: una procedura d’infrazione da un lato, il ritorno a politiche di austerità dall’altro, di cui nessuno sente il bisogno. Triste conclusione che speriamo sarà smentita dai fatti futuri. Ma se, invece, così fosse, sarebbe meglio interrogarsi sulle ragioni più profonde di questa sconfitta. C’erano tutte le condizioni per fare bene e meglio. Peccato che il governo gialloverde non le abbia saputo cogliere.