“Non siamo un bancomat” è una frase ormai rituale ogni volta che categorie professionali o bilanci di singoli dicasteri vengono presi di mira da chi vuole approfittare delle risorse altrui per interessi propri. In questi giorni è al ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, che tocca replicare con “non siamo un bancomat” a chi pensa solo a tagliare fondi al suo bilancio con l’obiettivo di destinarli ai più vari scopi. L’ultimo esempio che proviene dal Movimento 5 stelle è una proposta di legge presentata alla Camera subito dopo le elezioni di marzo e il cui iter è stato avviato alla fine di ottobre nella commissione Ambiente.
Federica Daga, giovane parlamentare sarda eletta nel Lazio con il M5S, è la prima firmataria della proposta su “Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque”, il vecchio pallino sull’acqua pubblica, che tra termini come “fracking” e “watergrabbing” ha l’obiettivo di “raccogliere gli strumenti necessari per avviare un processo di ritorno a una gestione pubblica e partecipativa del Servizio idrico integrato”.
Con quali soldi? Oltre all’introduzione di un paio di imposte e a 2 miliardi da recuperare dall’evasione fiscale e premesso che il testo è stato presentato il 23 marzo, quando la nascita del governo e le politiche della Difesa erano imprevedibili, Daga e altri 204 parlamentari grillini (a Montecitorio in tutto sono 221, qualcuno s’è distratto) chiedono di utilizzare “le dotazioni finanziarie iscritte nello stato di previsione del ministero della Difesa a legislazione vigente, per competenza e per cassa, a partire dall’anno 2018, compresi i programmi di spesa relativi agli investimenti pluriennali per la difesa nazionale, le quali sono accantonate e rese indisponibili su indicazione del ministro della Difesa per un importo annuo non inferiore a 1 miliardo di euro, con riferimento al saldo netto da finanziare”.
Si precisa inoltre che “i predetti fondi sono destinati al finanziamento degli oneri derivanti dall’attuazione della presente legge” il che significa che se per ipotesi Luigi Di Maio volesse usarli per il reddito di cittadinanza non troverebbe più un euro.
A parte le facili ironie, il punto è che davvero la Difesa viene considerata un bancomat e questa proposta di legge, già in discussione, ha irritato il ministro Trenta che avrebbe rifiutato di incontrare i proponenti commentando che c’è bisogno di investimenti e non di tagli per un settore così importante. La legge di bilancio è in discussione e la speranza è che alla fine anche i tagli decisi possano essere ridimensionati, considerando che la Lega non sembra allineata e prima o poi Matteo Salvini dovrà prendere una posizione. Sullo sfondo persiste una posizione ideologica contro le Forze armate. Non ci sono soldi? Li prendiamo alla Difesa. Che non è un bancomat.