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Cosa si agita dietro le quinte della conferenza di Palermo sulla Libia. Parla Indelicato

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Libia e pace. Un binomio per anni taciuto e che solo da qualche mese riecheggia nella dialettica diplomatica, grazie all’iniziativa dell’Italia di mettere l’uno di fronte all’altro, alla conferenza del 12 e 13 novembre di Palermo, tutti i protagonisti della guerra infinita che dilania quel che rimane della ex Jamahiriya. Generali, Premier di governi che non governano e capi tribù chiamati a trovare un accordo e ad impegnarsi per la pace e la stabilizzazione della Libia al cospetto della comunità internazionale.

Funzionerà? Secondo Alaraby, un accreditato quotidiano arabo, Al Serraj, Haftar, il Presidente del Parlamento di Tobruk Aguila Saleh e il presidente dell’Alto Consiglio di Stato libico, Al Menshri, avrebbero raggiunto un accordo per far svolgere le elezioni nel settembre del 2019. “La Libia rimane sempre un’incognita” afferma l’editorialista Mauro Indelicato esperto di strategie militari.

Prospettive concrete?

Nella corsa contro il tempo, è stato il governo italiano alla fine a spuntarla. E’ stato messo in campo uno sforzo diplomatico importante, che adesso sta dando i suoi frutti. Roma può già considerare un successo per la sua strategia in Libia l’apertura dei lavori di giorno 12 a Palermo. Poi su tutto il resto bisognerà vedere come si comporteranno i principali attori libici ed internazionali seduti a villa Igiea.

Al Serraj e gli altri protagonisti libici accetteranno un’eventuale ratifica della leadership di Haftar?

Durante gli scontri di Tripoli, a settembre, in ambienti diplomatici italiani e tripolini iniziava a serpeggiare l’idea di un’uscita onorevole per Al Serraj. Con il premier libico imprigionato tra i fuochi incrociati delle bande di Tripoli, si dava per scontato un suo allontanamento. Anche l’inviato dell’Onu in Libia aveva iniziato a far trasparire questa ipotesi e, di riflesso, l’avvicinamento di Haftar a Tripoli veniva considerato solo questione di tempo. Ma in Libia le cose cambiano repentinamente. Al Serraj è sopravvissuto alle turbolenze degli scontri nella capitale, ha effettuato un rimpasto di governo e non credo che atterrerà a Palermo con l’intenzione di lasciare le chiavi del palazzo presidenziale ad Haftar. Discorso diverso invece per i settori più “moderati” di Misurata, fino a questo momento più vicini a Tripoli: Maitig, vice di Al Serraj, rappresenta questo settore e sembra ben visto da Haftar. Potrebbe essere, in tal senso, un importante ago della bilancia.

Atteggiamento ed eventuali contromosse della Francia?

Con questa domanda ci ricolleghiamo proprio al discorso di Misurata. Questa città ha al suo interno svariate milizie che hanno contribuito sia a rovesciare Gheddafi, che a sconfiggere l’Isis a Sirte nel 2016. Ben si comprende dunque il suo enorme peso politico e militare in tutta la Tripolitania e nella stessa Tripoli. Nell’ultimo rimpasto di Al Serraj, un misuratino è andato a guidare il ministero degli interni. Proprio alcuni esponenti di Misurata sono stati invitati a Parigi da Macron il prossimo 8 novembre. Non è un caso che l’incontro all’Eliseo si terrà a quattro giorni dall’inizio del vertice di Palermo. La Francia ha poche carte ancora da giocare, ma non vuole assistere passivamente ad un incremento dell’influenza dell’Italia sulla Libia. Convocare uomini di Misurata nella capitale francese, vuol dire cercare di incidere concretamente sia sul summit di Palermo che sul territorio della Tripolitania.

La conferenza vista dagli Stati Uniti?

Trump a giugno ha promesso a Conte di affidare all’Italia la cabina di regia sulla Libia e per Roma è da subito risultato molto importante organizzare la due giorni siciliana. Gli Usa, più che sulla Libia, sono concentrati sull’Africa sub sahariana: hanno soldati in Niger, hanno interessi economici in questa area ed il dossier sul terrorismo indica nel Sahel uno dei luoghi più “caldi” del pianeta. Per questo da Washington si è preferito, da un lato, di non esporsi in primo piano ma, dall’altro, di lasciare ad un governo “fidato” la questione. Retroscena strategie ed equilibri della conferenza di Palermo sulla Libia

Le prospettive della Russia?

Se gli Usa hanno dato il disco verde il vertice, la Russia dal canto suo ne ha permesso una prima parziale riuscita. L’organizzazione del summit di Palermo ha avuto un’importante accelerata proprio dopo la visita di Conte a Mosca. Putin ha assicurato la presenza di un alto rango dell’amministrazione russa, forse lo stesso primo ministro Medvedev. E questo ha avuto un positivo effetto domino: Haftar, molto vicino a Mosca, ha sciolto la riserva ed ha assicurato la sua presenza in Sicilia, altri attori libici ed internazionali a quel punto hanno iniziato a dare credito al vertice italiano. L’aiuto di Putin è dovuto, anche in questo caso, all’interesse russo di avere ottimi rapporti con Roma: il governo gialloverde potrebbe essere quello meno distante da Mosca in seno all’Ue, in futuro potrebbe mettere in discussione le sanzioni europee alla Russia, dunque Putin ha voluto dare la sua personale spinta al vertice di Palermo, sapendo l’importanza che riveste per la diplomazia italiana. Usa e Russia, per motivi diversi hanno l’interesse affinché il summit riesca. L’Italia dunque prova a sfruttare questa convergenza.

Ruolo dell’Inghilterra?

Londra dopo aver dato impulso, insieme alla Francia di Sarkozy, ai bombardamenti contro Gheddafi nel 2011, si è un po’ defilata dalla Libia. Ma non ne è uscita del tutto: forze inglesi sono sempre state presenti nel paese, soprattutto in Cirenaica. Il governo britannico però, in politica estera, ha altre importanti grane da risolvere e guarda ad altre priorità, come la Brexit ad esempio. Ecco perché l’esecutivo guidato da Theresa May guarda al vertice di Palermo come ad impegno di secondo piano.

Contributo della Merkel?

Se la May piange, di certo la Merkel per ora non ride. Ma è chiaro che la Germania non vuole mai tirarsi indietro dalle questioni internazionali più importanti. A prescindere dal contributo che può dare Berlino, la semplice presenza della Merkel conferisce comunque più importanza all’appuntamento siciliano.

Apporto dell’Egitto?

Il Cairo è l’alleato più importante di Haftar. Da anni il presidente Al Sisi assicura appoggio militare e politico al generale libico ed oggi il numero uno egiziano aspira ad essere il principale mediatore tra Italia ed Haftar. Sarà interessante vedere il comportamento de Il Cairo con i rappresentanti del Qatar, che hanno annunciato la loro presenza alla Conferenza: quest’ultimi sono accusati di finanziare la fratellanza musulmana tanto in Libia quanto in Egitto e forse, proprio nel contesto libico, questa circostanza potrebbe alimentare alcune delle più importanti tensioni tra gli attori che saranno della partita a Palermo.

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