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Onu ed elezioni. A Palermo la ricetta di Salamè per la Libia non prevede competizioni

palermo libia

La Conferenza per la Libia è cominciata, le porte di Villa Igiea a Palermo si sono aperte alle delegazioni libiche e internazionali. E se si attende ancora di capire se il generale Khalifa Haftar sarà presente al tavolo delle trattative – da fonti diplomatiche sembrerebbe che, pur essendo presente nel capoluogo siciliano, l’uomo forte della Cirenaica parteciperà soltanto al summit collaterale sulla sicurezza – il piano d’azione Onu rimane il cardine principale che muoverà l’evento. Poi, nel caso in cui il pressing del presidente del Consiglio Giuseppe Conte sarà servito a convincere Haftar, questo diventerebbe il primo incontro tra lui e Fayez al Sarraj dal vertice di maggio a Parigi.

Sono trascorsi quasi sei mesi dall’appuntamento francese. Un intervallo considerevole di tempo, nel quale in Libia la tensione è cresciuta fino a esplodere nei violenti scontri di inizio settembre. Sei mesi di confronti serrati, di indecisioni e prese di posizione. Sei mesi in cui l’idea iniziale proposta dalla Francia di arrivare al voto entro la fine del 2018 è stata accantonata definitivamente. Federica Saini Fasanotti, analista della Brookings Institution, raggiunta da Formiche.net commenta la situazione di caos diplomatico-organizzativo e sintetizza l’essenza stessa della questione: “Vorrei dare un suggerimento ai governanti: la situazione attuale impone di essere meno istintivi e ragionare di più su quello che sta accadendo e sulle mosse da mettere in campo. Agire silenziosamente, sul campo e con una preparazione adeguata sull’argomento”.

Ghassan Salamè, che solo pochi giorni fa al Consiglio di Sicurezza aveva rilanciato il progetto per arrivare alle elezioni nel Paese nel 2019 ha dichiarato in un’intervista a Repubblica: “La conferenza sarà un’occasione importante per riunire rappresentanti libici e alti esponenti della comunità internazionale. Due temi saranno quelli centrali, le riforme economiche e la sicurezza”. E ancora il “tema cruciale della distribuzione della ricchezza libica, della crisi economica del Paese”. Insomma, secondo l’inviato Onu “bisogna lavorare perché le risorse della Libia vadano a vantaggio dell’intera popolazione, non di alcuni milionari che diventano sempre più ricchi”.

“Una conferenza dovrebbe essere la parte conclusiva di un processo che sta giungendo a termine – afferma Fasanotti – quello che sta andando in scena a Palermo, dunque, dovrebbe tenere conto che la situazione nel Paese è tutto tranne che vicino ad una soluzione”. E ancora: “Senza dimenticare anche il momento di grossi conflitti che l’Italia sta vivendo a livello europeo. Questi non possono essere dimenticati e hanno sicuramente avuto un peso sul parterre presente all’evento”.

Come se non bastasse, infatti, tra gli altri, è proprio la rivalità tra Roma e Parigi che complica le cose, in uno scenario che di per sé, fa ancora fatica ad abbandonare l’uso del condizionale. La centralità dell’impegno italiano sul fronte libico si scontra con la fermezza francese a ricavarsi un ruolo preciso, puntando i piedi sulle proprie condizioni. E, come si legge nell’analisi del The Economist, Roma fa ancora fatica a non guardare con sospetto le azioni del Paese (la Francia), considerato, a causa del proprio intervento militare, uno dei principali responsabili della crisi della Libia del 2011.

D’altra parte, se dall’Eliseo affermano che per loro “non c’è un contenzioso franco-italiano”, è comprensibile che il problema di base sia molto più ampio. Ognuno vede la Libia come parte della propria sfera d’influenza, ognuno è intenzionato a portare avanti e a promuovere i propri interessi. Emmanuel Macron, infatti, inquadra il processo di pace libico come l’opportunità di affermare la sua leadership europea (solo ieri la sua idea di un esercito europeo aveva sollevato l’indignazione del presidente americano Donald Trump), salvaguardando allo stesso tempo gli interessi francesi nel Sahel, dove vi sono 4.500 soldati a combattere i gruppi jihadisti.

“Il lato positivo, la speranza è comunque quella che tutte le parti presenti possano essere d’accordo con il piano dell’inviato speciale Onu, per arrivare alle elezioni entro il 2019. Anche se a mio parere è ancora presto. Le milizie, in un Paese claudicante come la Libia sono difficili da mettere d’accordo in così poco tempo”, ha continuato Fasanotti. Sempre le parole di Salamè, d’altronde, ci riportano alla chiave di volta della conferenza: stabilizzazione. “È il momento di permettere a un gruppo largo di cittadini libici di incontrarsi sul suolo libico, di poter discutere e decidere del futuro del Paese senza interferenze straniere”. L’obiettivo, dunque, resta una conferenza nazionale, “guidata e controllata da loro, sotto l’egida della Nazioni Unite”, afferma l’inviato Onu. Dunque lo scopo della due giorni italiana deve rimanere quello di creare una piattaforma che spinga le attuali istituzioni ad andare avanti sulla strada delle riforme politiche.

Insomma, i contorni restano incerti, intanto le delegazioni continuano a confluire in Sicilia, la zona rossa intorno al luogo dell’appuntamento è stata transennata. Sorgono dubbi anche sugli esclusi delle varie regioni libiche. Il loro risentimento dovuto alla non partecipazione potrebbe ulteriormente complicare le procedure di dialogo e di congiuntura unanime sotto i propositi di Salamè.

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