Qualche settimana fa abbiamo analizzato il posizionamento della nostra nazione nell’Unione Europea attraverso l’indice Desi. Il confronto è stato impietoso ed evidenzia una bassa propensione all’investimento nel settore dell’innovazione e delle tecnologie. Proprio l’arretratezza evidenziata nei diversi ambiti di analisi è sicuramente una delle cause del principale problema nazionale: la scarsa crescita economica. Mentre gli altri Paesi, sebbene con diversa intensità, finanziavano i piani di sviluppo in innovazione e tecnologia con adeguate risorse economiche, in Italia negli ultimi 15 anni abbiamo investito circa 25 miliardi all’anno in meno rispetto alla media europea, cumulando un gap, ad oggi, di oltre 300 miliardi. E tutto ciò avviene proprio quando ci troviamo a dover gestire la transizione digitale nella Pae nelle aziende.
Affrontare una trasformazione digitale significa riprogettare un Paese, riprogrammare strutture, processi e mentalità spostando il piano della sfida non sull’accessibilità della tecnologia, bensì sulla decisione di cogliere le opportunità che essa offre oppure stare fermi. La tecnologia di per sé e soltanto uno strumento che può essere positivo o negativo; chi davvero determina le organizzazioni e crea nuovo sviluppo, nuovo lavoro, sono le persone. Un pc può fare tutto, tranne avere un’idea nuova. In questo contesto il digitale offre alle aziende la possibilità di aumentare l’efficienza dei processi interni e sviluppare in maniera più efficace un business customer oriented. Ma la trasformazione digitale non è una macchina nuova che si aggiunge al processo produttivo o l’assunzione di un chief digital officer. Il requisito fondamentale è assicurarsi che la cultura e la mentalità del digitale pervada ogni livello aziendale, faccia parte della quotidianità lavorativa di ogni impiegato e dirigente. Assicurato ciò, bisogna anche trovare il giusto equilibrio tra recruiting e reskilling, tra il cambiare le persone o cambiare persone per assicurare l’innesto rapido di nuove professionalità esperte in materia e, allo stesso tempo, facilitare l’apprendimento delle skills digitali richieste. Il digitale cambierà il business model dell’azienda, ma questa modifica non avrà rilevanza e profondità uguale per tutti, e sarà fondamentale quindi studiarne l’impatto ed adeguare l’organizzazione interna.
Da un lato troviamo quindi una vera e propria ondata di rivoluzione tecnologica ormai alle porte e, dall’altra, una naturale paura di non essere pronti, di necessitare di qualità nuove e diverse da quelle sinora possedute, con evidente preoccupazione della tenuta occupazionale. Appare chiaro dunque che quanto più velocemente aumenta la diffusione della tecnologia rispetto alla creazione di competenze ed adeguamenti organizzativi, tanto più aumenta il rischio di disoccupazione. L’unica soluzione, alla luce del fatto che non si può fermare l’avanzata dalla tecnologia, è l’accelerazione dei processi di adeguamento organizzativo e di creazione di competenze che possano sfruttare le opportunità offerte dalla trasformazione digitale. Uno studio di McKinsey segnala che entro il 2020, tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, mancheranno 83mln di lavoratori highly skilled. Già oggi alcune competenze necessarie in Italia per il programma Industria 4.0 e di cui vi è carenza e inadeguata capacità formativa riguardano il Cad 3D, l’additive manufacturing, l’IoT, l’analisi dei dati, i data scientist, gli esperti cyber security, di Ai e di realtà aumentata solo per citarne alcuni.
La sfida diventa quindi duplice: da un lato l’esigenza di retraining delle risorse attualmente impiegate e dall’altro la formazione “ab origine” di nuove leve.
La tecnologia non sostituirà il lavoro umano. Ad eccezione di mansioni ripetitive e standardizzate, la tecnologia agirà in ottica di completamento, affiancamento ed incremento delle capacità della persona, aumentandone le prestazioni, l’efficienza e la produttività e aprendo, a sua volta, strade a nuove attività e a nuove competenze professionali. Le caratteristiche tipiche dell’essere umano, quali quelle legate all’empatia, alle relazioni, alla creatività, ne usciranno enfatizzate e rafforzate. Ma perché ciò si realizzi si rende indispensabile un nuovo approccio alla formazione basato sull’apprendimento continuo e costante.
Per ciò che attiene la formazione di nuove skills, risulta difficile oggi, soprattutto data la velocità del progresso tecnologico e del suo impatto sul lavoro, capire come sarà il lavoro del futuro e quali saranno le competenze necessarie, ma si possono certamente individuare delle linee guida, che inevitabilmente devono contemplare la collaborazione tra scuola ed impresa, per la costruzione delle nuove professionalità. Collaborazione che dovrà iniziare con la rivisitazione del processo formativo attualmente in vigore che attualmente risulta concentrato solo nella fase iniziale della vita, in maniera statica e ripetitiva, basata sul mero trasferimento delle conoscenze e conseguente verifica dell’apprendimento fine a sé stesso. Le competenze sono necessarie e servono per gestire le contingenze quotidiane, ma sono le attitudini, che dobbiamo sviluppare ed incentivare durante il percorso formativo, quelle che consentono di affrontare e vincere le sfide del futuro: curiosità, che è quella cosa che ci fa scoprire il mondo, creatività, che ci consente di risolvere i problemi, ed imprenditorialità, che ci permette di affrontare le nuove sfide.