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Termovalorizzatori, tra Salvini e Di Maio la verità sta nel mezzo. Ecco perché

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La querelle è ormai nota a tutti: Di Maio e Salvini hanno un’idea diametralmente opposta della gestione dei rifiuti. Il primo non vuol neanche sentire nominare gli inceneritori (o temovalorizzatori) come una delle soluzioni per chiudere il cerchio dei rifiuti; il secondo vorrebbe addirittura che se ne costruisse uno per ogni provincia. A ben vedere hanno ragione tutti e due: ha ragione Di Maio quando dice, con un’espressione un po’ colorita, che “gli inceneritori non c’entrano una beneamata ceppa e non sono nel contratto di governo”; ha ragione Salvini quando ne rivendica la “pubblica utilità” nella gestione integrata dei rifiuti, come previsto dal programma elettorale della Lega.

Come sempre in questi casi, “in medio stat virtus”, nel senso che se è vero, come dice il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, che occorre mettere in pratica le famose 4 R (riduzione, recupero, riuso, riciclo), è anche vero che i termivalorizzatori di ultima generazione emettono emissioni prossime allo zero e producono energia a basso costo.

Secondo l’ultimo Rapporto Ispra sui rifiuti, in Italia sono operativi 41 impianti di incenerimento. La maggior parte (63%) sono dislocati nelle regioni settentrionali (26 impianti), in particolare in Lombardia ed Emilia Romagna; al Centro 8 impianti e al Sud 7. Il totale dei rifiuti trattati ammonta a circa 5 milioni e mezzo di tonnellate (dati 2016). Va ricordato che significative quantità di rifiuti avviate a termocombustione negli impianti del Nord provengono dal Centro e dal Sud: “La sola Lombardia riceve nei propri impianti quasi 190 mila tonnellate di rifiuti prodotti nel Lazio, Campania, Puglia e Abruzzo”.

Tutti ricordiamo le polemiche relative all’articolo 35 del decreto “Sblocca Italia” che prevedeva la costruzione di nuovi impianti di incenerimento soprattutto nelle aree meridionali e il successivo DPCM dell’agosto 2016 che individuava numero e capacità impiantistica, bloccato da un ricorso al TAR del Lazio che ha spostato tutta la questione alla Corte Europea. Sulla questione prende una posizione chiara il ministro dell’Ambiente Sergio Costa che afferma di “aver dato disposizione agli uffici legislativi affinché sia modificato l’art. 35 dello Sbloccaitalia. È arrivato il momento di non puntare più sull’incenerimento ma sulla differenziata di qualità e sull’economia circolare”

La carenza di impianti di termovalorizzazione nelle regioni centro-meridionali, trova le sue ragioni d’origine anche, ma non solo, in quell’atteggiamento di rivalsa localistica che va sotto il nome di Nimby: not in my back yard, non nel mio giardino. Per troppi anni si è continuato a pensare che la costruzione di un impianto di trattamento dei rifiuti, di qualsiasi natura, fosse un manufatto che avrebbe prodotto inquinamento a prescindere. Da qui la nascita di comitati locali contro, che nel migliore dei casi ne ritardavano, nel peggiore ne impedivano la costruzione. Come conseguenza, le continue emergenze alle quali abbiamo assistito negli ultimi anni, specialmente nelle regioni del Mezzogiorno.

Di contro abbiamo esempi di eccellenza che hanno tratto benefici economici e ambientali dall’uso di questi impianti. A cominciare da quello di Brescia, eletto dalla Columbia University di New York “il migliore del mondo”. In funzione dal 1998, utilizza tecnologie che garantiscono emissioni in atmosfera di molto inferiori ai limiti previsti dalla legge. Oltre a produrre energia elettrica, recupera il calore e lo convoglia, attraverso una rete di teleriscaldamento di oltre 630 chilometri, fino alle abitazioni dei singoli utenti.

O quello di Torino, uno dei termovalorizzatori più grandi d’Italia. Entrato in funzione nel 2013, brucia 500 mila tonnellate di rifiuti all’anno, produce 65 megawatt di elettricità, sufficienti al fabbisogno di 175 mila famiglie. Sul sito del termovalorizzatore, i cittadini possono controllare i valori delle emissioni dell’impianto.
Sul tetto del nuovo termovalorizzatore di Copenhagen, situato al centro della città, verrà aperta, il prossimo dicembre, addirittura una pista da sci: lunga 200 metri, larga 60, può accogliere fino a 200 sciatori; (il fondo in plastica della pista è stato fornito da una ditta di Bergamo). Il nuovo impianto, inaugurato nel 2017, brucia 400 mila tonnellate di rifiuti l’anno e dalla sua ciminiera, secondo le autorità locali, esce soltanto vapore acqueo. Fornisce elettricità a più di 60 mila abitazioni ed acqua calda a 160 mila.

Esistono anche, ad onor del vero, eccellenze che se la cavano senza ricorrere agli inceneritori. È il caso di Treviso e del Consorzio Contarina (è lo stesso che il vice presidente del Consiglio Di Maio porta ad esempio). Raccolta differenziata spinta, riutilizzo di ogni materiale possibile e tariffa legata all’effettiva produzione del rifiuto domestico: sono questi i capisaldi che hanno permesso di raggiungere numeri di tutto rispetto. La raccolta differenziata è all’85% nei 50 Comuni serviti dal Consorzio (l’obiettivo è di arrivare al 96% entro tre anni) e il residuo non riciclabile è di pochi chili per ogni abitante l’anno.

Secondo Chicco Testa, presidente di Assoambiente, l’associazione delle imprese che trattano i rifiuti, sbaglia chi ha una posizione pregiudiziale contro i termivalorizzatori. Anche se si dovesse arrivare, argomenta Testa, ad una raccolta differenziata in tutta Italia del 70%, dell’altro 30% che ne facciamo? “Hai due scelte: la discarica o la termocombustione. Io preferisco la seconda perché meno inquinante. La stessa Ispra dichiara che il contributo di questi impianti all’inquinamento atmosferico è trascurabile”.

La polemica sembra debba continuare, viste le posizioni difficilmente conciliabili dei due schieramenti al governo. Va comunque ricordato che la gerarchia della gestione dei rifiuti, contenuta nelle varie direttive europee, prevede come prima opzione la prevenzione, poi la preparazione per il riutilizzo, quindi il riciclo, il recupero (inteso come recupero di energia) ed infine lo smaltimento. Voler a tutti i costi demonizzare una soluzione che entra nel diritto e nella pratica di tutti i giorni in una corretta ed efficiente gestione dei rifiuti, sembra una posizione preconcetta e non in linea con quel nuovo paradigma economico-ambientale che va sotto il nome di “economia circolare”.

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