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Trump è in vantaggio. La guerra dei dazi con la Cina porta risultati (per ora)

Gli Stati Uniti stanno vincendo la guerra commerciale con la Cina, che sta pagando sulla propria economia il grosso della crisi commerciale, secondo un report della EconPol Europe, una rete di ricercatori nell’Unione europea. Le aziende e i consumatori statunitensi pagheranno solo il 4,5 per cento in più dopo che Washington ha imposto il 25 per cento di dazi su 250 miliardi di prodotti cinesi, mentre l’altro 20,5 percento sta ricadendo e ricadrà sui produttori cinesi, secondo gli autori della ricerca, Benedikt Zoller-Rydzek e Gabriel Felbermayr.

Il merito della situazione sta nell’accuratezza con cui l’amministrazione Trump ha scelto i prodotti da colpire coi dazi: tutti a elevata elasticità commerciale e alta disponibilità di sostituzione – ossia, possono essere facilmente sostituiti da altri, e questo sta costringendo gli esportatori a ridurre i prezzi. E dunque, al momento, pare che la guerra commerciale trumpiana starebbe funzionando, con il deficit commerciale bilaterale tra Stati Uniti e Cina che potrebbe diminuire del 17 per cento e gli sforzi della Casa Bianca potrebbero ridurre le importazioni americane di alcuni beni cinesi.

Attenzione, viene chiaramente specificato che è una valutazione e breve-medio periodo, perché con “l’aggravarsi del conflitto commerciale, tuttavia, l’amministrazione statunitense potrebbe non essere in grado di limitare la sua selezione a prodotti con elevate elasticità di importazione”, hanno scritto, e questo potrebbe far diminuire la prosperità statunitense – “prosperità” è esattamente la parola chiave del documento strategico per la Sicurezza nazionale che il presidente Donald Trump ha presentato davanti alle telecamere a dicembre dello scorso anno, mettendo in chiaro quanto la questione national security fosse, per il suo modo di vedere le cose, estremamente vincolato al benessere economico.

I dati dello studio di EconPol segnano un punto per Trump, che ha usato l’ambito commerciale come terreno di scontro in cui sfogare il confronto globale che ha ingaggiato contro la Cina, nemico strategico che entro il 2030 potrebbe superare per dimensioni l’economia americana e contemporaneamente diventare la potenza mondiale di riferimento – un confronto che passa dalla trade war ma è molto più ampio.

Sabato, contemporaneamente sono stati pubblicati dal servizio news dell’Accademia delle Scienze Sociali cinese i dati e le proiezioni economiche raccolte dall’Università Renmin di Pechino (Ruc). La crescita cinese dovrebbe raggiungere il 6,6 per cento quest’anno, ma scendere al 6,3 per il 2019 (dati che confermano sostanzialmente quelli di un sondaggio che la Reuters ha costruito lo scorso mese sentendo le analisi di settantatré economisti in giro per il mondo). La crescita del trimestre di settembre, al 6,5, è stata la peggiore dal 2009.

Secondo gli specialisti della Scuola di Economia della Ruc – fondata dal partito comunista di governo, considerata una delle top università cinesi – a rallentare la crescita c’è certamente la trade war con l’America, ma anche se le tensioni dovessero essere risolte la Cina andrà incontro comunque a grosse difficoltà perché sta “affrontando un deterioramento del contesto globale, una crescita delle esportazioni e un deprezzamento della valuta”.

La prossima settimana, il presidente americano incontrerà il suo omologo cinese, Xi Jinping, in una riunione laterale al G20 di Buenos Aires. I rappresentati dei due paesi stanno lavorando per creare un contesto favorevole in cui entrambi i leader possano trovare spazi per un qualche aggiustamento – è stato l’americano a cambiare per primo l’interpretazione da dare all’incontro, di cui prima si parlava come una semplice formalità, ma su cui da qualche settimana i media americani più informati hanno iniziato a dare per possibile una sorta di tregua sui dazi (anche solo per dare tempo e terreno ad altri negoziati, che Trump potrebbe sfruttare da una posizione di vantaggio).


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