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L’Ue, il governo (tra scricchiolii e dilettantismo) e l’opposizione che non c’è

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Nel contenzioso che si è aperto con la presentazione del programma economico nazionale, si avvia adesso una nuova fase dei rapporti tra Italia e Ue. Stanotte il nostro governo ha replicato con una missiva dove il valente ministro Giovanni Tria ha spiegato la strategia italiana.

Due aspetti tecnici sono molto chiari: il non superamento del limite invalicabile del 2,4 % di deficit e un cuscino di salvaguardia, nel caso il cui le stime di crescita fossero segnate dal ribasso.

Il punto politico tuttavia resta lo stesso della settimana scorsa. Le due posizioni contrastanti sono chiare e, almeno a questo livello di discussione, non rivedibili da ambo le parti.

D’altronde, si fronteggiano due situazioni molto specifiche e completamente diverse. Da un lato l’Ue che procederà a rilento contro un Paese membro che non rispetta pienamente gli accordi. Infrangere nel modo previsto il Patto di stabilità non è un’eresia, è stato già fatto da altri Stati più privilegiati del nostro, e si collega adesso ad una situazione di profonda crisi politica delle istituzioni comunitarie.

La vera frontiera è costituita, oltretutto, dalle elezioni del Parlamento europeo, nelle quali, comunque andranno i risultati in primavera, questo establishment subirà cambiamenti e avvicendamenti. Usando una metafora statunitense, siamo davanti ad una Unione che è un’anatra zoppa, molto imbarazzata dalla posizione di Roma che potrebbe perfino essere l’avamposto di una revisione complessiva per tutti degli accordi tradizionali tra i Paesi del continente, vedendoci nel prossimo autunno in prima linea tra i riformatori vincenti.

Dalla parte dell’Italia, perciò, è logico e giusto che il governo non abbia cambiato posizione e non abbia voluto modificare la linea politica intrapresa. È ormai una questione di principio, di coerenza e di serietà. Tanto più che le rassicuranti e specifiche chiarificazioni di Tria mostrano non una scelta a favore dell’irrazionale follia, ma un ragionevole quadro di tante necessità nazionali che giustificano la rottura della rigidità di Bruxelles: tanto per cominciare, le riforme economiche e strutturali interne, con le quali, piaccia o non piaccia, la maggioranza gialloverde intende affrontare la riforma fiscale, quella previdenziale e soprattutto il flagello della povertà e della disoccupazione meridionale. Semplificando, gli italiani hanno deciso di premiare elettoralmente le ricette di Lega e 5 Stelle: adesso è giusto che tali idee, sia pure mediate tra loro con difficoltà, siano perseguite con azioni corrispondenti. Sarebbe stato peggio vedere un esecutivo che facesse il contrario di quanto promesso.

In seconda istanza, vi è la questione veramente dirimente, legata alle scarse attese di crescita. Nella lettera Tria ha spiegato che comunque, nel caso che il Paese non si sviluppi, è già pronto un pacchetto di privatizzazioni. In effetti, quest’ultima opzione è cruciale, potendo aprire una revisione della gestione pubblica di immobili e, Dio voglia, anche l’avvio di una riforma concreta della Pubblica amministrazione, di cui non si parla più a causa della complessità effettiva nel realizzarla, ma che invece sarebbe veramente essenziale ai fini di una vera modifica della spesa pubblica generale.

L’Italia, in sostanza, ha bisogno di più Stato efficiente e di meno Stato deficiente: in altre parole di rafforzare l’energia del pubblico, selezionando gli interventi a ciò che è realmente essenziale, modificando nel profondo l’organizzazione della macchina elefantiaca e pletorica delle funzioni nazionali, declinandole a vantaggio del locale e del privato.

Non sarà certo il governo Conte a fare tutto ciò, ma è importante che si ragioni in questo senso, anche se forse mai si produrranno le cure dimagranti che l’obesità burocratica necessiterebbe.

Dal punto di vista internazionale, d’altronde, relativo cioè alla politica estera non unicamente europea, la situazione appare ancora meno preoccupante. Non esistendo di fatto alcuna alternativa concreta alle posizioni sovraniste della maggioranza, l’Italia assume il ruolo di Paese amico sia degli Stati Uniti e sia della Russia, oltre che della Cina e di una parte consistente del mondo arabo. Ciò accade non certo perché siamo belli e bravi, ma perché sia Donald Trump e sia Vladimir Putin, da opposte posizioni, convergono su una politica contraria all’Ue, e, in questa fase, i benefici anche economici provenienti dalla dialettica aspra tra Roma e Bruxelles ci vede essere, più di quanto vorremmo, una nazione strategica nel nuovo assetto polimorfo e magmatico di questo strano mondo. È per tutti meglio trattare con un solo Stato, per quanto modesto come il nostro, piuttosto che avere a che fare con politici deboli e non eletti che non contano nulla dal punto di vista della rappresentatività comunitaria dei relativi popoli.

Ad ogni buon conto, bisogna tener presente che l’Italia è e resta una grande democrazia parlamentare, che ha tutti gli svantaggi ma anche tutti i benefici che ne derivano, non da ultimo quello che prevede, nel caso estremo di fallimento delle previsioni economiche o di un rapido cambiamento degli equilibri complessivi, il rimedio di una crisi di governo o di un eventuale ritorno alle urne.

È bene, insomma, che se un’opposizione di destra o di sinistra a questo esecutivo esiste, si faccia avanti seriamente con nuovi leader e alternativi programmi, supportati da una visione politica diversa dall’attuale maggioranza, che tuttavia non appare ancora esserci da nessuna parte. Insomma, la mancanza di credibili scenari sostitutivi, interni ed esterni all’Italia, gioca a favore di una stabilità politica che comunque a Roma sussiste, tra mille scricchiolii, dilettantismi e mal di pancia.

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