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Africa ed Europa, sei punti per un’agenda comune di sviluppo

Di Michele Masulli

È l’Africa il convitato di pietra che siede al tavolo dei grandi del mondo. Se c’è un attore destinato a sconvolgere le prospettive globali nei decenni che verranno, questo è sicuramente il continente africano. Non è un caso che da più parti si parli del XXI secolo come del secolo africano. Dotata in misura notevole di risorse naturali e fonti di energia, con una forza lavoro in crescita vertiginosa e mercati in via di ampliamento, l’Africa è destinata non solo a scombussolare equilibri, rapporti di forza e gerarchie, ma anche a garantire nuove possibilità e occasioni inedite al resto del mondo, e ai Paesi sviluppati in particolare. Una consapevolezza, questa, che non può non appartenere a chi, come gli Stati europei, è separato dal continente africano soltanto da un braccio di mare. Come conferma peraltro dal comunicato del ministero dell’Economia e delle Finanze pubblicato a seguito dell’incontro tra Giovanni Tria e il presidente della Banca africana di sviluppo Akinuwumi Adesina (insieme nella foto), nel quale si ricordano le rilevanti potenzialità dell’Africa, l’enorme fabbisogno di investimenti in infrastrutture e il ruolo che già l’Italia svolge in quello scenario, in qualità di primo investitore europeo e terzo a livello globale.

Nelle relazioni con l’Europa sono almeno sei i punti che assumono una dimensione strategica come emerge dal rapporto dal titolo “EU-Africa: lightening up the partnership”, condotto dall’Istituto per la Competitività (I-Com) e presentato nei giorni scorsi al Parlamento europeo di Bruxelles (qui il link alla versione integrale del paper). Secondo lo studio – curato dal vicepresidente dell’istituto Franco D’Amore – al primo posto non si può non inserire la straordinaria crescita della popolazione che si prospetta nei prossimi decenni. Nel 2050 l’Africa sarà l’unico continente al mondo ad aver aumentato la quota della propria popolazione rispetto al totale mondiale: quasi il 26% degli abitanti del globo saranno africani, pari a 2,5 miliardi di persone, il doppio rispetto a oggi. Significativi tassi di natalità e un aumento importante dell’aspettativa di vita sosterranno questa dinamica di crescita, con riflessi lampanti sull’età mediana della popolazione. Nel 2050 metà degli africani avranno meno di 25 anni (contro i 47 degli europei, i 42 dei nord americani e i 40 degli asiatici). Inoltre, se l’Asia – che pure sta vivendo una crescita sostenuta della popolazione – toccherà il picco del numero dei propri abitanti a metà del secolo per poi conoscere una riduzione non trascurabile al 2100, per il boom demografico dell’Africa non si stimano interruzioni. E così, secondo alcune stime, l’apporto africano all’incremento della forza lavoro globale supererà da solo quello di tutti gli altri continenti messi insieme.

Le prospettive demografiche incroceranno le dinamiche economiche, il secondo punto dell’agenda. In questo camp, l’economia africana, nonostante cresca a ritmi consistenti – il pil regionale, a prezzi correnti, è più che triplicato dal 2000 ad oggi – mantiene proporzioni residuali rispetto al volume mondiale. Il prodotto interno lordo dell’Africa è pari al 3% del totale globale, una quota abbastanza costante negli ultimi decenni. Ragguardevole è la distanza dalle altre aree del mondo. IL pil pro-capite africano, infatti, si ferma a 1.800 dollari circa, mentre Europa e Nord America si attestano rispettivamente a 27.430 e 45.760 dollari. L’Asia, invece è più vicina con 6.690 dollari. Evidenti sono anche i divari regionali, con i 400 dollari pro-capite dell’Africa centrale e dell’Est e i 2.200 dell’Africa del Nord.

Esigenza primaria per gli Stati africani è mobilitare finanziamenti per sviluppare infrastrutture strategiche, il terzo punto in agenda. Da questo punto di vista l’Africa soffre di una pesante carenza, che risulta difficile colmare a causa della mancanza di risorse. La Banca africana di sviluppo stima il fabbisogno annuo di infrastrutture in un valore compreso tra i 130 e i 170 miliardi di dollari, con un gap di finanziamenti tra i 68 e i 108 miliardi. Le lacune infrastrutturali si avvertono in modo evidente in tutti i settori (energia, acqua e servizi sanitari, trasporto e ICT), con conseguenze profondamente negative per l’accesso ai servizi essenziali, la qualità della vita e le performance del settore produttivo.

Ciononostante l’Africa ha sviluppato molto la sua integrazione nell’economia globale (quarto punto in agenda) e ha incrementato in misura sostenuta i volumi di commercio estero e la capacità di attrarre investimenti diretti esteri. Che sono aumentati del 440% dal 2000 mentre l’export del 160%. Un ambito di notevole interesse per gli Stati europei che nel 2017 hanno esportato beni per 149 miliardi di euro in Africa, con un surplus pari a 18 miliardi. L’Unione Europea è il secondo maggior partner per commercio di beni con l’Africa, dopo la Cina e prima di Giappone, Stati Uniti e Corea del Sud. L’Italia è il quarto esportatore europeo dopo Francia, Germania e Spagna.

Il grande potenziale africano in termini di risorse naturali, invece, non viene quasi per nulla valorizzato per favorire lo sviluppo dell’energia verde e di un’economia a basso contenuto di carbonio, il quinto punto in agenda. A tal proposito, nonostante la crescita esponenziale della domanda negli scorsi decenni, i consumi di energia pro-capite rimangono più di 10 volte inferiori rispetto agli standard occidentali. Le fonti rinnovabili coprono soltanto il 2% del mix energetico, che poggia quasi esclusivamente sull’utilizzo delle biomasse e dei combustibili fossili. Per queste ragioni risulta necessario potenziare la rete infrastrutturale così da garantire l’accesso all’energia elettrica al 54% della popolazione africana che ne è attualmente privo, e rafforzare i processi di industrializzazione, oltre a riformare il sistema di sussidi alle fonti fossili, che sottrae risorse preziose alle politiche sociali, dell’istruzione e dello sviluppo.

In ultimo, ma non per importanza, bisogna implementare gli strumenti di cooperazione internazionale tra Unione europea ed Africa. In questo senso l’European External Investment Plan rappresenta una prima esperienza significativa. I negoziati per il Multiannual Financial Framework 2021-2027 e per il rinnovo dell’Accordo di Cotonou costituiscono due tasselli fondamentali per rafforzare il dialogo tra Ue e Africa, mobilitare centinaia di miliardi di investimenti all’altezza dell’agguerrita competizione cinese e orientare l’economia e la società africana verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile previsti dalle Nazioni Unite.

Le sfide e le opportunità delle relazioni tra Unione e Africa richiedono la forza dell’unità europea e  una visione di lungo periodo. Due fattori che purtroppo però, di questi tempi, vediamo drammaticamente mancare.

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