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Ecco cosa rischia l’Italia se Conte fallisce con Juncker. Le previsioni di Confindustria

Alla fine la settimana decisiva per la manovra è arrivata. Riuscirà il premier Giuseppe Conte a convincere, mercoledì, il presidente della commissione Ue, Jean Claude Juncker della bontà delle scelte economiche italiane? L’Italia ha ancora qualche cartuccia da sparare. Il testo della legge di Bilancio, appena uscito dalla Camera, subirà quasi certamente correttivi importanti al Senato. Di più. Tra oggi e domani dovrebbero vedere la luce le cifre ricalcolate da Inps e Ragioneria che nei fatti alleggeriscono il costo delle due misure chiave del contratto: quota 100 e reddito di cittadinanza. Se le stime dovessero essere ritoccate al ribasso, si potrebbe intervenire sul deficit per addolcirlo ulteriormente perché la manovra risulterebbe un po’ meno costosa.

Conviene sperare in Conte. Perché un flop, dice il Centro Studi di Confindustria diretto da Andrea Montanino (qui l’intervista della settimana scorsa), potrebbe costare caro. Questa mattina Viale dell’Astronomia ha diffuso le sue consuete slide in cui affronta le principali problematiche dell’economia italiana. L’Italia è in una posizione scomoda, appesa a poche scelte che però ne possono determinare la ripresa o il fallimento.

“Nella media dei giudizi delle tre agenzie di rating, l’Italia è a due gradini da BB+: ulteriori declassamenti comporterebbero una maggiore difficoltà per le nostre banche nel reperire liquidità dalla Bce e potrebbero portare a una ricomposizione dei portafogli degli investitori. Ciò farebbe salire ulteriormente il Btp, causando una minore disponibilità e maggiori costi del credito per imprese e famiglie, oltre a un aumento del costo per il finanziamento del debito pubblico”, spiega il Centro studi di Confindustria. A tutto questo si aggiunge il permanere di una certa sfiducia nei confronti del debito italiano che, attenzione, non è che non viene più collocato ma semplicemente sottoscritto a interessi maggiori.

“Gli investitori esteri”, spiega Confindustria, “continuano a vendere titoli di debito italiani, pubblici e privati. L’esposizione verso il nostro Paese è diminuita di oltre 70 miliardi negli ultimi due trimestri: un’uscita di capitali di tale entità non si verificava dal 2012, per questo motivo è necessario e urgente agire con misure di politica economica che siano in grado di migliorare in modo strutturale le tendenze dell’economia italiana. Ciò è cruciale per rassicurare i risparmiatori che investono nel nostro Paese (i mercati) sulla sua tenuta economica”.

Il premier Conte sembra comunque sentire la pressione per un cambio di rotta non trascurabile. Incontrando i sindacati poco fa a Palazzo Chigi, Conte ha aperto a modifiche sostanziali in materia di quota 100: sulle pensioni è in corso “un’interlocuzione con Bruxelles, abbiano detto più volte che la Fornero non è un totem. Stiamo valutando in queste ore le relazioni e le simulazioni dei tecnici per capire l’impatto economico di quota 100 mentre sul fisco non abbiamo pensato di chiudere la partita con la manovra. Il messaggio è: non pensiate che abbiamo rinunciato a un intervento organico che ci avrebbe richiesto oggi risorse cospicue”. Basteranno le buone intenzioni?

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