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La manovra, Cdp e quel (tentato) blitz sulle farmacie. Parla Andrea Montanino

L’Italia sembra proprio volercela mettere tutta per rimanere sempre un passo indietro al resto delle economie industrializzate. L’ultima prova arriva con la manovra in discussione alla Camera, fronte farmacie. Un terreno da sempre scivoloso e teatro di aspre battaglie nel nome della liberalizzazione. Da una parte plotoni di investitori desiderosi di bucare il monopolio dei camici bianchi (negli ultimi anni hanno fatto la loro comparsa le parafarmacie, ma è fallita la vendita dei generici fuori dalle farmacie). Dall’altra la rete dei farmacisti.

Adesso c’è una nuova questione, o meglio c’era visto che tutto alla fine è saltato. Di che si tratta? Della norma sulla titolarità delle farmacie private, introdotta in manovra a mezzo sub-emendamento. In particolare era stato introdotto l’obbligo per le società private ad assicurare che almeno il 51% del capitale sociale e dei diritti di voto dei soci fosse rappresentato da farmacisti iscritti all’albo. Il venir meno di tale condizione avrebbe costituito causa di scioglimento della società. Una misura che aveva subito innescato la reazione del settore delle farmacie private, le quali avevano chiesto con urgenza un incontro al premier Giuseppe Conte.

Secondo le società, la norma approvata nel corso della seduta notturna della commissione Bilancio di due giorni fa, rappresentava infatti un grave ostacolo agli importanti investimenti già avviati negli ultimi mesi da numerose imprese, italiane ed internazionali, proprio in virtù delle modifiche introdotte dal ddl Concorrenza del 2017 in virtù del quale la liberalizzazione del mercato italiano delle farmacie era stata infatti introdotta in risposta a una chiara sollecitazione dell’Europa, che da tempo chiede ai Paesi membri riforme in questa direzione. La legge, così come approvata nell’agosto 2017, porta vantaggi significativi anche per le farmacie indipendenti, molte delle quali in gravi difficoltà economiche, che hanno potuto e potranno decidere liberalmente se vendere, rimanere indipendenti o espandersi.

A schierarsi con i mercati aperti, in grado di richiamare frotte di investitori, è Andrea Montanino, economista ex Fmi e oggi alla guida del Centro Studi Confindustria. “Tutto ciò che rappresenta apertura del mercato e rende più efficiente il servizio è da guardare con positività, questione che vale anche per le farmacie. Ci sono economie di scala, per esempio nella grande distribuzione, nelle quali si possono avere dei vantaggi, anche in termini di risparmio dei costi, come avviene negli Stati Uniti. Credo che in termini più generali, occorra guardare con favore ai processi di liberalizzazione, il cui effetto non solo è il miglioramento della qualità del servizio offerto ma anche la riduzione dei costi. Naturalmente, è bene sottolinearlo, il tutto deve essere fatto con delle regole, la liberalizzazione se è selvaggia, tanto vale non farla”.

Al netto dello scampato (per ora) pericolo sulle farmacie, “questa manovra non impatta sulla crescita come dovrebbe, perché il grosso della sua sostenibilità si basa sul deficit”, spiega Montanino. “Il che può far sopraggiungere un problema. Una manovra a base di deficit potrebbe generare problemi futuri sui mercati con ripercussioni sull’economia reale: i consumatori potrebbero spaventarsi e dunque decidere di risparmiare piuttosto che spendere. Insomma, quella che viene chiamata manovra espansiva potrebbe avere un effetto opposto”. Non è finita qui. “Va detto”, prosegue Montanino, “che il grosso delle misure poste in manovra, sono a favore delle fasce deboli. Va bene, ma non bisogna dimenticarsi che le fasce cosiddette medio o medio alte sono anche quelle che, pur avendo una propensione al consumo più bassa, hanno una maggiore capacità di spesa e dunque perché non aiutarli” Il vero test però sarà a gennaio, quando l’Italia dovrà collocare 51 miliardi di debito in asta. “L’Italia lo ha sempre fatto, ha sempre collocato il suo debito, ma il tema è un altro. A che prezzo riusciremo a collocarlo?”

Montanino fa un’ultima riflessione, che chiama direttamente in causa la Cdp, fresca di presentazione del piano triennale (qui l’approfondimento). Non è forse un segnale di politica espansiva? “Attenzione ai grandi numeri della Cassa, anche nel piano triennale precedente c’erano grandi numeri. Ma non sono soldi che vanno direttamente alle imprese, sono equity o liquidità per le banche magari. In ogni caso sono cose che l’attuale vertice conosce bene e per questo sono sicuro che opererà con saggezza”.

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