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La sfida fintech della Brexit

Brexit

Abbiamo già visto quanto la Gran Bretagna, ed in particolar modo Londra, giochi un ruolo importantissimo nel panorama mondiale del fenomeno fintech. Secondo Kpmg, in quella che viene chiamata la capitale mondiale della finanza tecnologica, nei primi sei mesi dell’anno sono stati investititi circa 16 miliardi di dollari nel mercato fintech, superando la Cina e gli Stati Uniti. Londra, da sola, ospita l’80 percento delle circa 1600 società fintech del Paese ed fornisce lavoro, direttamente ed indirettamente, a circa 120mila persone. Così come abbiamo già delineato della strategia che il nostro Paese avrebbe potuto mettere in atto per diventare un Paese “fintech friendly” al fine anche di attrarre le aziende che potrebbero essere costrette a scegliere un altro Paese in cui operare a causa della Brexit. E proprio la Brexit adesso è tornata protagonista del dibattito europeo alla luce della bozza di accordo rilasciata dal governo britannico che tanto ha fatto discutere, anche nel campo della finanza tecnologica. Ciò che accadrà dopo il 29 marzo 2019, infatti, è stato oggetto della conferenza LendiIt a Londra in cui le aziende Fintech, dalle startup agli incumbents, si sono interrogate su come cambierà il business e quali riverberi si avranno sulle organizzazioni ed hanno chiesto di accelerare questi processi per uscire quanto prima dalla fase di incertezza.

Quello che accadrà ai cittadini britannici, infatti, avrà un effetto sui player finanziari di mercato: già adesso a causa di questo clima di aleatorietà le persone stanno rinviando le loro scelte di investimento ed il credito viene erogato, usando criteri più stringenti, solo alle persone con più alta probabilità di restituzione. Secondo un sondaggio della Cnbc, quasi un terzo dei Cfo globali ha dichiarato di non sapere cosa accadrà con Brexit, mentre Raffael Johnen, Ceo di Auxmoney, ha rilevato che gli investitori stanno spostando denaro dal Regno Unito verso la Germania, ritenuta un porto sicuro. Ma non è solo l’incertezza del business ad impensierire le aziende londinesi. Un’altra fonte seria di preoccupazione viene dalla disponibilità e ricerca di lavoratori qualificati in un mondo post-Brexit. Secondo un sondaggio del 2017 effettuato da Ernst&Young, il 58% delle aziende fintech britanniche ha affermato che l’attrazione di talenti qualificati o adeguati rappresenta la loro più grande sfida. E questa sfida non può che aumentare di intensità in un Regno Unito che rischia di essere percepito come ostile all’immigrazione. Nonostante ciò, le aspettative restano ottimistiche: la lunga storia della città come centro finanziario, la lungimiranza e l’apertura dei suoi regulators e la sua vibrante cultura sono tra le ragioni che portano a ritenere che Londra resterà ancora a lungo la capitale mondale del fintech.

Ma si sa, in finanza non esiste la compassione ed altre nazioni interessate al mondo del fintech, ed in particolar modo al patrimonio britannico, stanno già “affilando le armi” per candidarsi a terra di approdo per le fintech fuggitive.

In Norvegia il Parlamento ha chiesto al governo di istituire una sandbox normativa per assistere l’industria fintech sotto la supervisione dell’Fsa norvegese. La sandbox inizierà ad accettare i progetti al più tardi entro il 31 dicembre 2019, ma il ministero delle Finanze ha già esortato la Fsa norvegese ad accelerare i tempi e di lavorare insieme alle altre istituzioni interessate o impattate dalla nuova normativa: FinanceNorway, IKT-Norvegia, l’autorità norvegese della concorrenza, l’Autorità norvegese dei consumatori e l’autorità norvegese per la protezione dei dati. I tempi sono strettissimi: il Ministero delle Finanze chiede di essere informato sullo stato di avanzamento dei lavori entro il 15 marzo 2019.

Restando in Europa, anche la Lituania promette di essere “il miglior punto di approdo” per le fintech garantendo l’emissione di licenze Ue superveloci, l’accesso diretto alla Sepa e un forte sostegno istituzionale. Attraverso semplificazioni normative, la Lituania vanta di concedere le licenze di Istituto di Pagamento in tre mesi, tre volte più veloce di altre giurisdizioni dell’Ue, regime sandbox in cui non esistono sanzioni per il primo anno e licenza bancaria “light” e con requisiti di capitale iniziale cinque volte inferiore per le banche innovative. E per ciò che riguarda il capitale umano, il governo ha raddoppiato il finanziamento per gli studi in Information Technology nel 2017 facendo registrare un incremento del 17% nella pipeline degli studenti It nel periodo 2013-2015.

Un po’ più lontano, c’è invece chi ha già superato il concetto classico di sandbox. Singapore, al fine di facilitare la sperimentazione e l’introduzione più rapida di servizi finanziari innovativi sul mercato, ha introdotto la “Sandbox Express”. Questo modello di sandbox, che contiene confini, aspettative e rilievi normativi predeterminati, completerebbe la già esistente sandbox fintech lanciata nel 2016 consentendo alle società che desiderano sperimentare l’innovazione, la cui attività concerne rischi generalmente bassi o ben circostanziati che potrebbero essere ragionevolmente contenuti all’interno della sandbox predefinita, di avere approvazioni concesse entro 21 giorni.

Insomma, il titolo di capitale mondiale del fintech è ora più che mai in palio con l’attuale detentore che è sempre forte ma in evidente difficoltà. Gli sfidanti sono tanti ed agguerriti. Non ci dispiacerebbe se anche la nostra nazione possa, con uno scatto d’orgoglio, recuperare il tempo perso e concorrere in questa importante sfida.



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